Avendo deciso di migliorare (per quanto possibile) la mia scrittura, analizzando e studiando le storie che hanno avuto maggior successo (sia di gradimento che commerciale), mi pare utile fare una breve carrellata sui sette libri di Harry Potter.
Che questi romanzi li ha scritti una tale Rowling lo saprete già tutti. Che il nome intero è Joanne Kathleen Rowling già lo saprete di meno. Che la storia parla di un ragazzino che va alla scuola dei maghi lo saprete allo stesso modo tutti quanti, mentre l'effettivo contenuto dei sette libri lo conoscerà magari chi se li è letti tutti, o che ha semplicemente visto i film che ne sono stati tratti.
L'idea di questo articolo è di fare un'analisi dell'intera eptalogia, e di vedere se riusciamo a cavarne fuori qualcosa d'interessante che ci aiuti nella nostra remunerativa professione di scrittori sconosciuti:
Harry Potter e la pietra filosofale: un bambino orfano e allevato da dei genitori adottivi stronzi, scopre di provenire da una famiglia di maghi e va a studiare alla scuola di magia.
Perché è una buona idea: il bambino orfano, da un punto di vista narrativo, equivale a colpire l'intelletto dei lettori con lo spigolo di un tavolo. E qui vi do un consiglio: evitate i bambini nelle vostre storie se non potete fare altro che ucciderne i genitori. A dire il vero, io stesso ho in progetto una storia con un bambino abbandonato... ma lasciamo perdere.
Insomma, l'orfanello non mi pare troppo una buona idea. È invece un'idea ottima il viaggio verso la scuola di magia: si passa da una realtà deprimente a un mondo fantastico, del quale il lettore vorrà scoprire i diversi particolari. Insomma, come inizio la storia c'è.
Approfondimento: adesso, da un semplice punto di vista della trama (senza cioè analizzare lo stile narrativo, che invece in Harry Potter è fondamentale) l'autore ha queste carte per tirare fuori un bel lavoro: siamo invitati a leggere di un mondo fantastico. Siamo nel fantasy, appunto. Che cosa ci aspetta?
E qui la Rowling ha vinto (da cui i cento mila milioni di copie venduti) perché il mondo fantasy è bello. Ci sono personaggi secondari ben delineati e interessanti (tra tutti Silente, il mago "amico" del protagonista e Piton, il professore "cattivo"). C'è un'ambientazione principale estremamente curata (i quadri che parlano, i fantasmi che abitano la scuola, le varie case degli studenti e molto altro) e ci sono tantissimi particolari di per sé inutili (per dirne una: le rane di cioccolata che nella confezione danno in regalo le figurine magiche animate) ma che nel complesso delineano un mondo non tanto verosimile (visto che non lo è) ma che è sicuramente interessante per il lettore.
Per sintetizzare, il bello di Harry Potter (almeno dei primi libri) è che l'autrice promette al lettore un viaggio in un mondo fantastico, e che effettivamente riesce a onorare questa promessa inserendo, pagina dopo pagina, una serie di posti, personaggi e particolari degni di essere letti.
E se ci fate caso la storia non è ancora nemmeno presa in considerazione. Il successo di questa serie di libri è semplicemente legato al fatto che la Rowling ha raggiunto l'obiettivo di trasportare il lettore in un posto magico, insieme ai suoi protagonisti. Questa cosa potremmo chiamarla qualità intellettuale dell'opera (nome inventato da me in questo esatto momento): io se leggo un libro o se guardo un film non voglio una sequenza di luoghi comuni standard, ma voglio rimanere in qualche modo colpito.
Evidentemente la Rowling ha avuto la cultura, la capacità o anche solo la fortuna di fare questo. Altri autori, troppi, non si avvicinano neanche lontanamente a un livello del genere. Direi che forse nemmeno ci provano, ed è il motivo per cui ormai vado raramente al cinema e certi libri li sfoglio appena o poi li lascio sullo scaffale: perché la qualità di quello che vediamo o leggiamo non deriva dai soldi spesi in effetti speciali o dal numero di zombie presenti in una singola scena, e io semplicemente mi diverto di più a studiare Anatomia che a sorbirmi certe cose per lunghe, interminabili ore.
La trama vera e propria: ed eccoci al solito problema che, come autori, ci troviamo a dover affrontare. Harry Potter va alla scuola di magia... e poi, che succede dopo?! Cioè, il libro deve pur raccontare degli eventi, e la storia bene o male deve avere una struttura. Ed eccovi (per quanto mi ricordo) la trama più definita:
I genitori di Harry Potter sono stati uccisi da un mago cattivo che (caso strano) tornerà ad affrontare il protagonista e (caso strano) ne verrà sconfitto. Harry Potter è tipo (caso strano) una specie di prescelto.
Ok, secondo me è veramente tremendo. O meglio...
Perché è una buona storia: questa è una trama fantasy piuttosto standard, solo inserita in un contesto fantastico originale. Il fatto poi che tutto si svolga in una scuola di magia con protagonisti ancora alle prime armi in fatto di incantesimi, mi sembra uno spunto piuttosto buono. Infine la lotta buono/cattivo è uno dei sistemi per far terminare una storia in maniera soddisfacente: la trama va avanti in maniera indefinita, poi Harry uccide Voldemort e il libro si chiude, pronto a riprodursi in altri sei besteller da centinaia di milioni di copie vendute. Evvai!!!
A questo punto bisogna scrivere una scaletta più concreta. Cioè: Harry va a scuola e incontra Voldemort, ma come si verificano gli eventi nello specifico? Che c'è scritto, insomma, nei singoli capitoli?
A differenza di UP!, di cui ho parlato qualche tempo fa e nel quale la trama aveva bisogno di qualche spunto un po' arbitrario (l'uccello da salvare), qui l'idea principale è talmente forte da giustificare un po' tutto, e la trama viene da sé:
- Harry Potter sta dai genitori adottivi stronzi, soffre ed è infelice.
- Il mago buono arriva e porta Harry alla scuola di magia, coi genitori che rosicano.
- Alla scuola di magia, Harry conosce degli amici e frequenta le lezioni. Visto che, come spiegato, la Rowling è brava a descrivere il mondo, qui il libro funziona a meraviglia. Sette volte. Quando Harry si guarderà nello specchio dei desideri per vedersi accanto alla sua famiglia defunta il malvagio trucco del bambino orfano avrà sconfitto anche voi, e vi toccherà leggervi tutti gli altri libri. Il quidditch, personalmente, è una gran rottura di palle.
- Qualcuno sta cercando una misteriosa pietra filosofale... che poi a che servisse non l'ho manco tanto capito.
- Nascono dei conflitti: un professore è in realtà Voldemort travestito, alcuni studenti rompono le palle a tutti e (caso strano) sono imparentati coi cattivi. Qualcuno (mi pare) cerca di uccidere Harry Potter.
- Esce fuori Voldemort, Harry potter dopo 2 lezioni di magia gli fa un culo così, e il libro finisce.
Ok. Una struttura analoga si ripete per tutti gli altri sei libri, tolto forse l'ultimo. Taglio corto, e ne faccio un mega schema riassuntivo.
Harry Potter e la camera dei segreti: Harry torna a scuola. Torna pure Voldemort, Harry je mena e il libro finisce. Il peggiore dei primi 3, che sono comunque meglio degli ultimi 4.
Harry Potter e il prigioniero di Azzaban... Akzaban... Akzapan... oh, ma vaffanculo: qui vengono introdotti i dissennatori. Poi c'è un amuleto per viaggiare nel tempo, un ippogrifo da salvare, un nuovo padre adottivo di Harry Potter, personaggi licantropi, mappe magiche, intrighi e cospirazioni e chi più ne ha più ne metta. Lo stile dell'autrice ormai è solido come il granito, e il risultato è il miglior libro della serie (tolto forse il primo che introduceva tutto) e uno dei romanzi fantasy più divertenti che abbia mai letto.
Harry Potter 4, che non mi ricordo come si chiama tipo il torneo 3 maghi ma so che non era così: un torneo tra le varie scuole di magia mette tutti in agitazione. Per il resto ricicliamo un po' di idee, e c'è un taglio verso il cupo e tetro che non c'entra niente (a parer mio) con lo spirito della serie, al punto che da qui in poi potete anche evitare di leggere gli altri.
Per chiarire, da un certo punto in poi la Rowling ha deciso di rendere le storie più forti, ma con personaggi morti ammazzati e innumerevoli altri bambini orfani con meno idee geniali - a parer mio - ha dimostrato che il suo genere è soprattutto quello dei primi libri. Altri la penseranno diversamente.
Harry Potter 5 e la professoressa bastarda: un libro praticamente identico al quarto, dove non succede nulla. Solo c'è una professoressa cattiva che tortura Harry Potter per 500 pagine di un libro per il resto dimenticabile.
Harry Potter e il principe mezzosangue: qui c'è la scoperta di un diario misterioso. Poi si inizia a capire che per sconfiggere definitivamente Voldemort Harry dovrà trovare sette oggetti magici sparsi per la mappa... volevo dire: per il fantastico mondo fantasy inventato dalla Rowling, e che ormai è andato definitivamente a puttane.
Da notare come ormai siamo nel più classico dei classici del genere, e le idee iniziano a scarseggiare. Anche Primo Mazzini 7 sarà un po' così... ma voi compratevelo lo stesso.
E chiudiamo col settimo libro:
Harry Potter e non c'ho avuto il coraggio di farlo schiattare, che se no i fan mi linciavano o finivo tipo quello di Misery non deve morire: da quanto ho capito il libro parla di Harry che va in giro a fare punti esperienza, e che alla fine inaspettatamente uccide Voldemort per la centomilionesima volta (o era solo la settima?) e poi il libro finisce. Almeno da quanto mi hanno detto, perché non l'ho letto.
Forse, al limite, quando uscirà andrò a vedermi il film.
Simone
30/11/09
27/11/09
Segnalazione: Alessandro Girola - Il viaggio della Prometeo (ebook gratuito),
Visto che sto studiando Anatomia e non c'ho voglia di aggiornare il blog, o meglio visto che c'ho voglia di aggiornare il blog ma non mi va di scriverci dentro qualcosa, spero di cavarmela almeno in parte segnalandovi comunque qualcosa da leggere.
Se non si fosse capito dal titolo del post, Il viaggio della Prometeo è l'ultimo lavoro del collega di sventure letterarie Alessandro Girola. Come sempre è un ebook, è horror, è gratuitissimo e poi alle volte Alex scrive anche molto bene... anche se qui non lo so, perché non l'ho ancora letto. Ma immagino comunque che possiate fidarvi ^^.
Eccovi la presentazione del testo scritta dall'autore:
Questo e-book è nato inizialmente come blog-book (racconto a puntate) pubblicato sul mio Live Journal. Da qui la necessità di scrivere capitoli brevi e incisivi, poco conformi al mio consueto stile. Il risultato è un racconto lungo che è nato durante il mio viaggio a Creta, terra ricca di suggestioni, specialmente per chi, come me, è cresciuto con la passione per la mitologia greca e i film di Ray Harryhausen.
“Il viaggio della Prometeo” omaggia proprio il filone peplum-mitologico, ma strizza l'occhio al genere catastrofico, specialmente a “E venne il giorno”, di M.Night Shyamalan, forse più meritevole di attenzioni rispetto a quelle che la critica gli tributò.
Ci sono altri riferimenti, citazioni e strizzate d'occhio: a voi il lettori il compito di scovarli.
O, meno prosaicamente, divertitevi nello scoprire le sorti dell'equipaggio della Prometeo durante il suo pericoloso periplo.
E qui potete scaricarvi il testo completo.
Simone
Se non si fosse capito dal titolo del post, Il viaggio della Prometeo è l'ultimo lavoro del collega di sventure letterarie Alessandro Girola. Come sempre è un ebook, è horror, è gratuitissimo e poi alle volte Alex scrive anche molto bene... anche se qui non lo so, perché non l'ho ancora letto. Ma immagino comunque che possiate fidarvi ^^.
Eccovi la presentazione del testo scritta dall'autore:
Questo e-book è nato inizialmente come blog-book (racconto a puntate) pubblicato sul mio Live Journal. Da qui la necessità di scrivere capitoli brevi e incisivi, poco conformi al mio consueto stile. Il risultato è un racconto lungo che è nato durante il mio viaggio a Creta, terra ricca di suggestioni, specialmente per chi, come me, è cresciuto con la passione per la mitologia greca e i film di Ray Harryhausen.
“Il viaggio della Prometeo” omaggia proprio il filone peplum-mitologico, ma strizza l'occhio al genere catastrofico, specialmente a “E venne il giorno”, di M.Night Shyamalan, forse più meritevole di attenzioni rispetto a quelle che la critica gli tributò.
Ci sono altri riferimenti, citazioni e strizzate d'occhio: a voi il lettori il compito di scovarli.
O, meno prosaicamente, divertitevi nello scoprire le sorti dell'equipaggio della Prometeo durante il suo pericoloso periplo.
E qui potete scaricarvi il testo completo.
Simone
24/11/09
7 anni fa.
Un grigio pomeriggio di un grigio novembre. Il cielo è un mattone scuro, e io sono ingabbiato nel traffico.
Spingo sull'acceleratore quel tanto che basta per percorrere un paio di metri, e poi mi fermo di nuovo. Qualcuno suona il clacson. La strada è un inferno di rumori sgradevoli. Persone ansiose vanno di fretta sul marciapiede.
Guardando fuori dal finestrino, chissà perché mi fermo a fissare il muro di un vecchio palazzo. E dentro mi sale una tristezza che congela ogni cosa. Non ho voglia di piangere, non mi viene da mollare la macchina lì e poi, non lo so, scendere e mandare tutti a quel paese. È solo un vuoto che si mangia tutto, una disperazione senza scopo. Il nulla che è venuto a cercarmi.
Arrivo a scuola, salgo nel laboratorio d'informatica e inizio la mia lezione. I ragazzini corrono e strillano come sempre, e io come sempre gli spiego le mie quattro cose. Ma i loro giochi sono distanti, e lo sono anche i miei pensieri.
È un po' che ogni tanto, di colpo, mi gira la testa. Poi tutto diventa mosso e sfuocato, e mi sento quasi svenire. Il dottore ha detto che non ho niente, e che devo solo prendere le gocce per dormire. Io prendo le gocce e mi sento ancora più triste, e poi sogno certe cose che era meglio restare sveglio.
Il lavoro lo odio, ma a cambiarlo non ci riesco. Un tempo scrivevo, ma ormai ho smesso, che erano solo delusioni. Progetto cose che non faccio, e sogno una vita che non ho il coraggio di andarmi a prendere. Poi mi alzo tardi con la noia per quello che mi aspetta, e ogni giorno mi sembra identico al precedente.
Finisco la mia lezione. I ragazzini mi fanno ciao prof, e poi corrono via, e le uniche due ore decenti della settimana sono già passate. La testa mi gira di nuovo, ho cento ore di sonno arretrato e le scale mi portano verso un'altra serata tra il PC e la noia.
Rimonto in macchina. La strada è il solito incubo di traffico e casino. Non voglio stare in questo posto. Non voglio andare a casa, non ho davvero voglia di fare niente. Ogni routine mi mette ancora più tristezza, e pensare a qualcosa di nuovo è una fatica che non so affrontare.
Mi chiedo se è tutto qui quello che mi aspetta. Se davvero sono io che valgo così poco, o se la vita è la stessa tristezza per tutti quanti. Magari dovrei solo accontentarmi, e smettere di starci male. Forse conviene semplicemente arrendersi.
E aspettare che il tempo ci porti via.
Simone
Spingo sull'acceleratore quel tanto che basta per percorrere un paio di metri, e poi mi fermo di nuovo. Qualcuno suona il clacson. La strada è un inferno di rumori sgradevoli. Persone ansiose vanno di fretta sul marciapiede.
Guardando fuori dal finestrino, chissà perché mi fermo a fissare il muro di un vecchio palazzo. E dentro mi sale una tristezza che congela ogni cosa. Non ho voglia di piangere, non mi viene da mollare la macchina lì e poi, non lo so, scendere e mandare tutti a quel paese. È solo un vuoto che si mangia tutto, una disperazione senza scopo. Il nulla che è venuto a cercarmi.
Arrivo a scuola, salgo nel laboratorio d'informatica e inizio la mia lezione. I ragazzini corrono e strillano come sempre, e io come sempre gli spiego le mie quattro cose. Ma i loro giochi sono distanti, e lo sono anche i miei pensieri.
È un po' che ogni tanto, di colpo, mi gira la testa. Poi tutto diventa mosso e sfuocato, e mi sento quasi svenire. Il dottore ha detto che non ho niente, e che devo solo prendere le gocce per dormire. Io prendo le gocce e mi sento ancora più triste, e poi sogno certe cose che era meglio restare sveglio.
Il lavoro lo odio, ma a cambiarlo non ci riesco. Un tempo scrivevo, ma ormai ho smesso, che erano solo delusioni. Progetto cose che non faccio, e sogno una vita che non ho il coraggio di andarmi a prendere. Poi mi alzo tardi con la noia per quello che mi aspetta, e ogni giorno mi sembra identico al precedente.
Finisco la mia lezione. I ragazzini mi fanno ciao prof, e poi corrono via, e le uniche due ore decenti della settimana sono già passate. La testa mi gira di nuovo, ho cento ore di sonno arretrato e le scale mi portano verso un'altra serata tra il PC e la noia.
Rimonto in macchina. La strada è il solito incubo di traffico e casino. Non voglio stare in questo posto. Non voglio andare a casa, non ho davvero voglia di fare niente. Ogni routine mi mette ancora più tristezza, e pensare a qualcosa di nuovo è una fatica che non so affrontare.
Mi chiedo se è tutto qui quello che mi aspetta. Se davvero sono io che valgo così poco, o se la vita è la stessa tristezza per tutti quanti. Magari dovrei solo accontentarmi, e smettere di starci male. Forse conviene semplicemente arrendersi.
E aspettare che il tempo ci porti via.
Simone
19/11/09
Medicina, blog, scrittura, riviste, eventi, talk show, programmi TV e gli (altri) scrittori emergenti
Un rapido elenco delle ultime novità, così sapete che anche se non aggiorno troppo spesso il blog mi sto comunque tenendo impegnato:
Nuovo blog: il nuovo blog mi piace molto, perché i post che sto scrivendo sono più lunghi, più riflessivi e (spero) più interessanti di quelli che scrivevo qualche mese fa.
Probabilmente sto invecchiando anch'io, e tra un po' non scriverò altro che deprimenti commenti nostalgici su quanto fosse bella la vita quando ero giovane e tutti piagnistei del caso. Per inciso, comunque, la mia vita è stata molto più bella in questi ultimi 2-3 anni che nei 30 precedenti. Saranno i morti dissezionati di Anatomia, che mettono di buonumore.
Unico neo (parlando del blog) è che con 30-40 accessi giornalieri mi sento un po' solo soletto. Ai tempi dello scrittore emergente ne contavo quasi 300... anche se devo dire che i commenti che ricevo ora mi sembrano un po' più interessanti e non è che parlare all'infinito di scrittura sia un'attività che mi manchi poi molto.
Università: il 22 Dicembre (o giù di lì) ho la prova di Anatomia II. Manca un mese, non mi sembra di aver fatto altro nella mia vita che studiare Anatomia, e allo stesso tempo mi sembra di non ricordarmi assolutamente un cavolo di niente. Cioè, non è che mi sembra: lo so, che non mi ricordo niente. E il brutto è che dopo Anatomia 2 c'è pure la 3.
A Medicina hanno il problema, o la fissazione diciamo, di farti fare esami giganteschi con centinaia di pagine da ricordare con maniacale pignoleria. Se consideriamo poi che, per il 90%, sono cose che dimenticherai il giorno dopo superato l'esame (chiedete a un qualsiasi medico quante formule di Biochimica ricorda), potrebbero scegliere di farti studiare meno cose però magari fatte bene, con minore sforzo e miglior risultato.
E ok: poi Medicina sarebbe troppo facile e si laureerebbero tutti (cosa che tra l'altro già accade)... ma anche in questo caso a me starebbe benissimo ^^.
Scrittura: più che di scrittura, potremmo parlare di eventi letterari. Serate, programmi, show, manifestazioni... insomma, ormai sono così famoso che mi cercano tutti. O forse si è semplicemente sparsa la voce che possono farmi lavorare gratis, anche se questo vale un po' per tutti gli scrittori o anche per gli artisti in generale.
Comunque dicevo, eccovi le notità:
Qui trovate due miei ebook. Vengono dati in premio nel corso di questa trasmissione televisiva a premi, dove dovrebbe apparire regolarmente anche la pubblicità del mio lavoro. Dico dovrebbe perché io la trasmissione ancora non l'ho beccata mai (visto che tra l'altro non so nemmeno su che canale è!) vedete voi se avete più fortuna.
Ancora riguardo ai miei exploit mondani, nella veste di blogger/scrittore ho partecipato a una serata di Facetalk, un talk-show dedicato al mondo dei trentenni che si tiene in un grosso locale di Roma (il Caffè Emporio).
A questo indirizzo trovate un breve filmato della serata. Io sono al quinto minuto, e a parte che sembro uscito da una Cresima, ho un accento romano agghiacciante, non si capisce quello che dico e anzi quello che si capisce era meglio che non si capiva, direi che non è andata proprio troppo male. Magari, la prossima volta, proverò a farmi capire con dei gesti ^^.
In ultimo, sul numero 16 della Writers Magazine Italia, la rivista di scrittura della Delos trovate non uno, ma ben due articoli scritti da me (e precedentemente apparsi anche sui miei vecchi blog). Insomma, immaginate che io sia uno scrittore emergente, e mettetevi nei miei panni: mi arriva la WMI, la scarto tutto contento pensando: evvai, la rivista per imparare a scrivere e per migliorare il mio stile! La apro eccitato come non mai e... metà rivista l'ho scritta io?! Ma che caz... !?
Eh sì: alle volte, il mondo è profondamente ingiusto.
Simone
Nuovo blog: il nuovo blog mi piace molto, perché i post che sto scrivendo sono più lunghi, più riflessivi e (spero) più interessanti di quelli che scrivevo qualche mese fa.
Probabilmente sto invecchiando anch'io, e tra un po' non scriverò altro che deprimenti commenti nostalgici su quanto fosse bella la vita quando ero giovane e tutti piagnistei del caso. Per inciso, comunque, la mia vita è stata molto più bella in questi ultimi 2-3 anni che nei 30 precedenti. Saranno i morti dissezionati di Anatomia, che mettono di buonumore.
Unico neo (parlando del blog) è che con 30-40 accessi giornalieri mi sento un po' solo soletto. Ai tempi dello scrittore emergente ne contavo quasi 300... anche se devo dire che i commenti che ricevo ora mi sembrano un po' più interessanti e non è che parlare all'infinito di scrittura sia un'attività che mi manchi poi molto.
Università: il 22 Dicembre (o giù di lì) ho la prova di Anatomia II. Manca un mese, non mi sembra di aver fatto altro nella mia vita che studiare Anatomia, e allo stesso tempo mi sembra di non ricordarmi assolutamente un cavolo di niente. Cioè, non è che mi sembra: lo so, che non mi ricordo niente. E il brutto è che dopo Anatomia 2 c'è pure la 3.
A Medicina hanno il problema, o la fissazione diciamo, di farti fare esami giganteschi con centinaia di pagine da ricordare con maniacale pignoleria. Se consideriamo poi che, per il 90%, sono cose che dimenticherai il giorno dopo superato l'esame (chiedete a un qualsiasi medico quante formule di Biochimica ricorda), potrebbero scegliere di farti studiare meno cose però magari fatte bene, con minore sforzo e miglior risultato.
E ok: poi Medicina sarebbe troppo facile e si laureerebbero tutti (cosa che tra l'altro già accade)... ma anche in questo caso a me starebbe benissimo ^^.
Scrittura: più che di scrittura, potremmo parlare di eventi letterari. Serate, programmi, show, manifestazioni... insomma, ormai sono così famoso che mi cercano tutti. O forse si è semplicemente sparsa la voce che possono farmi lavorare gratis, anche se questo vale un po' per tutti gli scrittori o anche per gli artisti in generale.
Comunque dicevo, eccovi le notità:
Qui trovate due miei ebook. Vengono dati in premio nel corso di questa trasmissione televisiva a premi, dove dovrebbe apparire regolarmente anche la pubblicità del mio lavoro. Dico dovrebbe perché io la trasmissione ancora non l'ho beccata mai (visto che tra l'altro non so nemmeno su che canale è!) vedete voi se avete più fortuna.
Ancora riguardo ai miei exploit mondani, nella veste di blogger/scrittore ho partecipato a una serata di Facetalk, un talk-show dedicato al mondo dei trentenni che si tiene in un grosso locale di Roma (il Caffè Emporio).
A questo indirizzo trovate un breve filmato della serata. Io sono al quinto minuto, e a parte che sembro uscito da una Cresima, ho un accento romano agghiacciante, non si capisce quello che dico e anzi quello che si capisce era meglio che non si capiva, direi che non è andata proprio troppo male. Magari, la prossima volta, proverò a farmi capire con dei gesti ^^.
In ultimo, sul numero 16 della Writers Magazine Italia, la rivista di scrittura della Delos trovate non uno, ma ben due articoli scritti da me (e precedentemente apparsi anche sui miei vecchi blog). Insomma, immaginate che io sia uno scrittore emergente, e mettetevi nei miei panni: mi arriva la WMI, la scarto tutto contento pensando: evvai, la rivista per imparare a scrivere e per migliorare il mio stile! La apro eccitato come non mai e... metà rivista l'ho scritta io?! Ma che caz... !?
Eh sì: alle volte, il mondo è profondamente ingiusto.
Simone
16/11/09
La prima volta che ho dato Fisica.
Secondo la leggenda, il professore di Fisica che avevo al primo anno di Ingegneria era stato talmente cattivo da finire gambizzato dagli studenti, e che in seguito a questo episodio fosse finalmente diventato buono. Una sorta di versione pulp della favola di Pinocchio, insomma, dove se ti comporti male arriva la Fata Turchina col passamontagna, tira fuori il pezzo e ti spara alle gambe. Potremmo chiamarla la Fata Turchina della magica saletta occupata, la Fata Turchina che s'è fumata la zucca. La Fatta Turchina. La... ok: basta.
E adesso non so se la leggenda fosse vera e se il nostro professore fosse stato davvero ancora più cattivo nei tempi passati della sua giovinezza, ma vi giuro che - almeno con noi - era veramente uno S-T-R-O-N-Z-O. Se tardavi anche un minuto a lezione non ti faceva entrare. Se facevi una domanda ti diceva che non capivi niente, che si sarebbe ricordato di te e che tanto valeva che cambiassi facoltà. Spiegava in maniera meno che incomprensibile, e secondo me lo faceva anche apposta. Agli esami poi bocciava 90 persone su 100 e - come scoprirete dal resto della storia - non è che si limitasse a bocciarti e basta... ma questo lo vedremo dopo.
E va bene. Tutta questa chiacchierata serviva a introdurre il fatto che, la prima volta che ho provato a sostenere l'esame di Fisica, allo scritto ho preso quattordici.
A Ingegneria, quattordici trentesimi allo scritto di Fisica I era considerato un votone. Con 14 allo scritto non si veniva infatti bocciati, ma era invece concesso di presentarsi all'orale. Se tenete inoltre presente che la parte teorica di Fisica I consta prevalentemente di teoremi e dimostrazioni da sapere a memoria, qualsiasi idiota poteva sperare di superare l'esame più difficile del primo anno semplicemente aprendo il libro e ripetendo in maniera acritica per centinaia di ore le parole in esso contenute (cosa che qualcuno chiamerebbe studiare).
Certo, magari finiva che ti ritrovavi con un voto basso... ma passato il 17 per me era tutto assolutamente altissimo, e anzi prendere un 18 era motivo d'orgoglio perché - in fondo in fondo - era come aver fregato il professore.
Ma torniamo al mio esame. Passato insomma lo scritto con il voto più basso minimo indispensabile, mi reco a sostenere la prova teorica, già comunque sapendo che non è che fossi tanto tanto preparato (diciamo che io e lo studiare di cui parlavo poco sopra non siamo andati proprio sempre daccordo). E insomma faccio questo benedetto orale (che poi era scritto pure quello) rispondendo a tutte le domande, e un paio di giorni dopo mi ritrovo fuori dallo studio del professore, in attesa di discutere quello che sarebbe stato il risultato definitivo.
L'atmosfera è quella tipica degli esami di Fisica, che non vi descrivo per non farvi angosciare. Non siamo in molti, per cui il mio turno arriva abbastanza in fretta.
«Navarra» è la voce del professore, che mi chiama dal suo ufficio.
«Eccomi» rispondo io, affacciandomi subito alla porta. «Che faccio, entro?»
Il tono del docente è un mix di disgustato, accusatorio e semplice presa per il culo.
«Ah, allora sarebbe lei? Venga, Navarra. Venga».
Io già me l'aspetto di essere andato male, per cui non è che la cosa mi stupisca. Entro nello studio, prendo una sedia e mi siedo alla scrivania, mentre il docente fruga un po' tra le carte che ha lì davanti.
«Questo è il suo compito» dice, passandomi un foglio protocollo.
Riconosco a stento la mia calligrafia: la prima risposta che ho dato è stata completamente riscritta in rosso dalla mano del professore. Nella prima riga della seconda domanda c'è un commento che non riesco a leggere (immagino poco lusinghiero) e poi tutto il resto del mio esame è stato semplicemente barrato con la penna rossa senza più correzioni o altro, come se non valesse nemmeno la pena di provare a metterci le mani.
In alto a destra, invece, c'è il mio voto. Prima mi sembra un tondo, poi un cerchio, una "o". Poi la devastante realtà diventa inconfutabile: all'orale di Fisica I ho preso ZERO trentesimi.
Il professore mi guarda come si guarda uno che... che ne so: come guardereste voi una persona che considerate meritevole di un giudizio nullo? Ma in realtà era molto peggio di così, perchè oltre al disprezzo c'era anche l'odio.
«Il suo compito non merita neanche un punto» mi sembra che abbia detto. O forse era «purtroppo è vietato dare voti negativi». O ancora, e magari l'avrei preferito «le do un minuto di vantaggio per scappare, da questo momento. E poi la cercherò per ucciderla».
In ogni caso io sono sempre stato uno che prende le cose dal punto di vista positivo. Adesso parlerò col professore, mi dissi. Lui capirà che sono simpatico e intelligente, penserà che si è sbagliato sul mio conto, e magari mi darà un bel voto. Forse, alla fine, diventeremo addirittura amici. Insegneremo Fisica insieme, e diventerò anch'io uno misantropo che non sa comunicare con le persone e che tutti odiano.
«Pensavo anch'io che il compito fosse andato male» ammisi (ammettei? Tanto non ho fatto Lettere). Il tono era quello di qualcuno in difficoltà che cerca un assist per sdrammatizzare. «Però sinceramente ZERO TRENTESIMI mi sembra un voto un po' basso».
Ma i professori di Fisica non sdrammatizzano mai.
«Se pensa che zero è poco, è per la sua preparazione disastrosa. Lei non sa niente di Fisica e si è presentato a fare l'esame (lei non sa niente di sarebbe diventato una specie di mantra per tutto il biennio). Mi dica: quanto tempo ha studiato per prepararsi?»
«Due mesi» dissi io. Una ventina di minuti al giorno, aggiunsi. Ma solo con me stesso.
«Ecco. Allora sono stati due mesi buttati, perché lei di Fisica non ha capito niente».
Lo sguardo del docente era quasi estatico. Secondo me si sentiva davvero vivo solo quando maltrattava gli studenti, e se fossi scoppiato a piangere avrebbe tranquillamente accettato che lo gambizzassero di nuovo.
«Le do un consiglio» aggiunse. E io che ero così negativo! Adesso il professore mi aiuterà. Aiutare gli altri: non è forse questo il senso della vita?
«Prenda il libro di Fisica, e ripeta le parole del libro. Tanto lei non capisce niente, e può solo imparare a memoria».
Ok: il senso della vita, un par di palle.
«E va bene» dissi, a quel punto. Iniziavo a pensare che mi sarei trovato decisamente più a mio agio in qualsiasi altro posto. Magari dentro a un recinto di alligatori. «È andata male, grazie e arrivederci».
Feci il gesto di raccogliere le mie cose per andarmene, ma il professore mi fermò.
«Un attimo. Dobbiamo prima verbalizzare».
Detto questo prese il mio scritto (il famoso 14) il mio orale (il ben più famoso zero) li sommò e fece la media.
«Quattordici più zero fa sempre quattordici» spiegò, nel caso che mi trovassi in difficoltà anche con le somme. «E il tutto diviso due fa sette».
Detto così aprì il registro degli esami, lo riempì col mio nome, cognome e matricola. Nello spazio del voto scrisse sette trentesimi, e poi me lo fece firmare.
A ripensarci adesso, devo ammettere che la cosa avrebbe potuto scoraggiarmi un attimino. Ma guardiamo il lato positivo: alla fine superai Fisica l'anno successivo con un altro professore, dopo aver speso milioni in ripetizioni, ma avendoci per lo meno capito qualcosa. Poi non presi mai un voto più basso di quello (anche se ci andai vicino, e con Medicina non è ancora detto) e quando altri professori mi hanno trattato malissimo ormai ero diventato impenetrabile ai loro insulti. A 15 anni di distanza, poi, ho ancora una fantastica esperienza universitaria di cui farmi vanto e con la quale terrorizzare i ragazzini che mi dicono di voler studiare ingegneria.
Ma sì, dài: tutto sommato, poteva andare molto peggio.
Simone
E adesso non so se la leggenda fosse vera e se il nostro professore fosse stato davvero ancora più cattivo nei tempi passati della sua giovinezza, ma vi giuro che - almeno con noi - era veramente uno S-T-R-O-N-Z-O. Se tardavi anche un minuto a lezione non ti faceva entrare. Se facevi una domanda ti diceva che non capivi niente, che si sarebbe ricordato di te e che tanto valeva che cambiassi facoltà. Spiegava in maniera meno che incomprensibile, e secondo me lo faceva anche apposta. Agli esami poi bocciava 90 persone su 100 e - come scoprirete dal resto della storia - non è che si limitasse a bocciarti e basta... ma questo lo vedremo dopo.
E va bene. Tutta questa chiacchierata serviva a introdurre il fatto che, la prima volta che ho provato a sostenere l'esame di Fisica, allo scritto ho preso quattordici.
A Ingegneria, quattordici trentesimi allo scritto di Fisica I era considerato un votone. Con 14 allo scritto non si veniva infatti bocciati, ma era invece concesso di presentarsi all'orale. Se tenete inoltre presente che la parte teorica di Fisica I consta prevalentemente di teoremi e dimostrazioni da sapere a memoria, qualsiasi idiota poteva sperare di superare l'esame più difficile del primo anno semplicemente aprendo il libro e ripetendo in maniera acritica per centinaia di ore le parole in esso contenute (cosa che qualcuno chiamerebbe studiare).
Certo, magari finiva che ti ritrovavi con un voto basso... ma passato il 17 per me era tutto assolutamente altissimo, e anzi prendere un 18 era motivo d'orgoglio perché - in fondo in fondo - era come aver fregato il professore.
Ma torniamo al mio esame. Passato insomma lo scritto con il voto più basso minimo indispensabile, mi reco a sostenere la prova teorica, già comunque sapendo che non è che fossi tanto tanto preparato (diciamo che io e lo studiare di cui parlavo poco sopra non siamo andati proprio sempre daccordo). E insomma faccio questo benedetto orale (che poi era scritto pure quello) rispondendo a tutte le domande, e un paio di giorni dopo mi ritrovo fuori dallo studio del professore, in attesa di discutere quello che sarebbe stato il risultato definitivo.
L'atmosfera è quella tipica degli esami di Fisica, che non vi descrivo per non farvi angosciare. Non siamo in molti, per cui il mio turno arriva abbastanza in fretta.
«Navarra» è la voce del professore, che mi chiama dal suo ufficio.
«Eccomi» rispondo io, affacciandomi subito alla porta. «Che faccio, entro?»
Il tono del docente è un mix di disgustato, accusatorio e semplice presa per il culo.
«Ah, allora sarebbe lei? Venga, Navarra. Venga».
Io già me l'aspetto di essere andato male, per cui non è che la cosa mi stupisca. Entro nello studio, prendo una sedia e mi siedo alla scrivania, mentre il docente fruga un po' tra le carte che ha lì davanti.
«Questo è il suo compito» dice, passandomi un foglio protocollo.
Riconosco a stento la mia calligrafia: la prima risposta che ho dato è stata completamente riscritta in rosso dalla mano del professore. Nella prima riga della seconda domanda c'è un commento che non riesco a leggere (immagino poco lusinghiero) e poi tutto il resto del mio esame è stato semplicemente barrato con la penna rossa senza più correzioni o altro, come se non valesse nemmeno la pena di provare a metterci le mani.
In alto a destra, invece, c'è il mio voto. Prima mi sembra un tondo, poi un cerchio, una "o". Poi la devastante realtà diventa inconfutabile: all'orale di Fisica I ho preso ZERO trentesimi.
Il professore mi guarda come si guarda uno che... che ne so: come guardereste voi una persona che considerate meritevole di un giudizio nullo? Ma in realtà era molto peggio di così, perchè oltre al disprezzo c'era anche l'odio.
«Il suo compito non merita neanche un punto» mi sembra che abbia detto. O forse era «purtroppo è vietato dare voti negativi». O ancora, e magari l'avrei preferito «le do un minuto di vantaggio per scappare, da questo momento. E poi la cercherò per ucciderla».
In ogni caso io sono sempre stato uno che prende le cose dal punto di vista positivo. Adesso parlerò col professore, mi dissi. Lui capirà che sono simpatico e intelligente, penserà che si è sbagliato sul mio conto, e magari mi darà un bel voto. Forse, alla fine, diventeremo addirittura amici. Insegneremo Fisica insieme, e diventerò anch'io uno misantropo che non sa comunicare con le persone e che tutti odiano.
«Pensavo anch'io che il compito fosse andato male» ammisi (ammettei? Tanto non ho fatto Lettere). Il tono era quello di qualcuno in difficoltà che cerca un assist per sdrammatizzare. «Però sinceramente ZERO TRENTESIMI mi sembra un voto un po' basso».
Ma i professori di Fisica non sdrammatizzano mai.
«Se pensa che zero è poco, è per la sua preparazione disastrosa. Lei non sa niente di Fisica e si è presentato a fare l'esame (lei non sa niente di sarebbe diventato una specie di mantra per tutto il biennio). Mi dica: quanto tempo ha studiato per prepararsi?»
«Due mesi» dissi io. Una ventina di minuti al giorno, aggiunsi. Ma solo con me stesso.
«Ecco. Allora sono stati due mesi buttati, perché lei di Fisica non ha capito niente».
Lo sguardo del docente era quasi estatico. Secondo me si sentiva davvero vivo solo quando maltrattava gli studenti, e se fossi scoppiato a piangere avrebbe tranquillamente accettato che lo gambizzassero di nuovo.
«Le do un consiglio» aggiunse. E io che ero così negativo! Adesso il professore mi aiuterà. Aiutare gli altri: non è forse questo il senso della vita?
«Prenda il libro di Fisica, e ripeta le parole del libro. Tanto lei non capisce niente, e può solo imparare a memoria».
Ok: il senso della vita, un par di palle.
«E va bene» dissi, a quel punto. Iniziavo a pensare che mi sarei trovato decisamente più a mio agio in qualsiasi altro posto. Magari dentro a un recinto di alligatori. «È andata male, grazie e arrivederci».
Feci il gesto di raccogliere le mie cose per andarmene, ma il professore mi fermò.
«Un attimo. Dobbiamo prima verbalizzare».
Detto questo prese il mio scritto (il famoso 14) il mio orale (il ben più famoso zero) li sommò e fece la media.
«Quattordici più zero fa sempre quattordici» spiegò, nel caso che mi trovassi in difficoltà anche con le somme. «E il tutto diviso due fa sette».
Detto così aprì il registro degli esami, lo riempì col mio nome, cognome e matricola. Nello spazio del voto scrisse sette trentesimi, e poi me lo fece firmare.
A ripensarci adesso, devo ammettere che la cosa avrebbe potuto scoraggiarmi un attimino. Ma guardiamo il lato positivo: alla fine superai Fisica l'anno successivo con un altro professore, dopo aver speso milioni in ripetizioni, ma avendoci per lo meno capito qualcosa. Poi non presi mai un voto più basso di quello (anche se ci andai vicino, e con Medicina non è ancora detto) e quando altri professori mi hanno trattato malissimo ormai ero diventato impenetrabile ai loro insulti. A 15 anni di distanza, poi, ho ancora una fantastica esperienza universitaria di cui farmi vanto e con la quale terrorizzare i ragazzini che mi dicono di voler studiare ingegneria.
Ma sì, dài: tutto sommato, poteva andare molto peggio.
Simone
13/11/09
Il muro inutile.
Ciò che resta del muro di Berlino ha un aspetto davvero surreale: da quanto ho capito, in un primo momento l'hanno buttato giù tutto quanto. Ma poi, dopo un po', si sono pentiti e ne hanno ricostruiti un paio di chilometri con tanto di graffiti ri-disegnati, solo per far contenti i turisti.
Il bello è che dall'altra parte c'è una specie di spiaggia finta, con tanto di sabbia (questa vera) e sedie a sdraio. Così uno può provare l'ebrezza di sfuggire al tetro grigiore di questa enorme città tedesca, passando oltre il muro per sbucare nella libertà di un paesaggio caraibico. Peccato solo che il freddo fottuto che fa a Berlino resti sempre lo stesso, da una parte e dall'altra, e che per scappare davvero ci vorrebbe solo un aereo.
Ancora più surreale è il cosiddetto Check Point Charlie, il punto dove una volta si entrava e si usciva da uno e dall'altro mondo. Adesso da un verso è esposta la foto di un soldato ex-tedesco dell'est, dall'altro lato vediamo la foto di un altro soldato pure lui ex-tedesco, ma dell'ovest. Sulla destra ci sono delle croci dedicate a chi è morto cercando di scappare, e sulla sinistra altre croci ancora. Così uno pensa: ah vabbe', ma in fondo non sono tantissime e poi si gira e rimane fregato.
E in mezzo a tutto questo, appena un dieci metri più avanti, l'invitante Snack (non Check) Point Charlie può venderci un bel Wurstel formato gigante, da mangiucchiare passeggiando tra croci e lapidi commemorative.
Mentre ero a Berlino, Mark, Paul e Anna erano i miei insegnanti di Tedesco. Avevano la mia stessa età, i miei stessi interessi, e si vestivano uguali a me. Solo che loro erano nati dall'altra parte, oltre il muro. Nella parte sfigata, direbbe qualcuno.
E i miei insegnanti mi hanno raccontato un po' della loro vita di ragazzini di Berlino Est. Per dirne una, la TV dell'ex DDR non doveva essere tutto questo gran che, perché era un'usanza piuttosto comune quella di seguire i programmi che arrivavano dalla parte occidentale. Il muro e i proiettili fermavano le persone, ma certo non un'onda trasmessa nell'etere.
Soltanto che era una cosa illegale, per cui - anche se lo facevano tutti - non potevi andare in giro a parlarne: Mark, Anna, Paul e un altro paio di milioni di persone guardavano la TV tutte le sere, ma poi il giorno dopo a scuola non potevano dire: hai visto che figo il film di ieri? Perché, se no, passavi i guai.
Ancora: se avevi dei parenti dall'altra parte, di tanto in tanto poteva capitare che ti spedissero qualche regalo. Ma non è che la cosa fosse vista così di buon occhio: una volta Paul è andato a scuola con le carte di un gioco che andava tanto di moda in occidente, e un professore gliele ha sequestrate. Poi la polizia ha chiamato i genitori, e si è fatta spiegare come e perché il loro ragazzino andasse in giro con un pericoloso e sovversivo gioco americano.
La cosa che più mi ha lasciato perplesso era che i miei coetanei dell'ex-DDR studiavano Inglese e Francese, anche se andare in Inghilterra e in Francia era vietato. Ma non avrebbe avuto più senso insegnargli il Russo e il Cinese? Anche se poi, per come sono andate le cose, gli è decisamente convenuto così.
Una volta gli ho chiesto che cosa avessero provato, quando il muro è venuto giù. Ci siete andati? Avete dato qualche picconata pure voi? Vi siete riabbracciati col vostro amore segreto scappato con un tunnel 15 anni prima, come si vede nei film? Ma loro non hanno fatto nulla: il giorno che il muro è caduto io, Mark, Anna e Paul avevamo sempre la stessa età. 14 anni. E a 14 anni non è che esci di casa a fare la rivoluzione, ed è già tanto se guardi il telegiornale e ci capisci almeno qualcosa.
Mi hanno spiegato che non c'è stato un tempo effettivo nel corso del quale si è svolta la cosa. Un attimo prima qualcuno ha detto: adesso abbattono il muro, e l'attimo dopo già non c'era più. Altro che lasciare 2 chilometri: nel giro di una notte il muro si è come vaporizzato, e tutto ciò che ne restava era una montagna di sassolini da rivendere ai turisti.
E insomma, ne avevamo di cose in comune io e i ragazzini della DDR: guardavamo gli stessi programmi alla TV, ci piacevano i giochi che arrivavano dagli Stati Uniti, e le astruse vicende del mondo non ci coinvolgevano ancora troppo concretamente, e le seguivamo un po' da lontano.
Alla fine c'era questo muro in mezzo, protetto da soldati che ti tiravano una fucilata come solo ti avvicinavi, ma non è che ci avesse separati davvero.
A questo punto, tanto valeva non costruirlo per niente.
Simone
Il bello è che dall'altra parte c'è una specie di spiaggia finta, con tanto di sabbia (questa vera) e sedie a sdraio. Così uno può provare l'ebrezza di sfuggire al tetro grigiore di questa enorme città tedesca, passando oltre il muro per sbucare nella libertà di un paesaggio caraibico. Peccato solo che il freddo fottuto che fa a Berlino resti sempre lo stesso, da una parte e dall'altra, e che per scappare davvero ci vorrebbe solo un aereo.
Ancora più surreale è il cosiddetto Check Point Charlie, il punto dove una volta si entrava e si usciva da uno e dall'altro mondo. Adesso da un verso è esposta la foto di un soldato ex-tedesco dell'est, dall'altro lato vediamo la foto di un altro soldato pure lui ex-tedesco, ma dell'ovest. Sulla destra ci sono delle croci dedicate a chi è morto cercando di scappare, e sulla sinistra altre croci ancora. Così uno pensa: ah vabbe', ma in fondo non sono tantissime e poi si gira e rimane fregato.
E in mezzo a tutto questo, appena un dieci metri più avanti, l'invitante Snack (non Check) Point Charlie può venderci un bel Wurstel formato gigante, da mangiucchiare passeggiando tra croci e lapidi commemorative.
Mentre ero a Berlino, Mark, Paul e Anna erano i miei insegnanti di Tedesco. Avevano la mia stessa età, i miei stessi interessi, e si vestivano uguali a me. Solo che loro erano nati dall'altra parte, oltre il muro. Nella parte sfigata, direbbe qualcuno.
E i miei insegnanti mi hanno raccontato un po' della loro vita di ragazzini di Berlino Est. Per dirne una, la TV dell'ex DDR non doveva essere tutto questo gran che, perché era un'usanza piuttosto comune quella di seguire i programmi che arrivavano dalla parte occidentale. Il muro e i proiettili fermavano le persone, ma certo non un'onda trasmessa nell'etere.
Soltanto che era una cosa illegale, per cui - anche se lo facevano tutti - non potevi andare in giro a parlarne: Mark, Anna, Paul e un altro paio di milioni di persone guardavano la TV tutte le sere, ma poi il giorno dopo a scuola non potevano dire: hai visto che figo il film di ieri? Perché, se no, passavi i guai.
Ancora: se avevi dei parenti dall'altra parte, di tanto in tanto poteva capitare che ti spedissero qualche regalo. Ma non è che la cosa fosse vista così di buon occhio: una volta Paul è andato a scuola con le carte di un gioco che andava tanto di moda in occidente, e un professore gliele ha sequestrate. Poi la polizia ha chiamato i genitori, e si è fatta spiegare come e perché il loro ragazzino andasse in giro con un pericoloso e sovversivo gioco americano.
La cosa che più mi ha lasciato perplesso era che i miei coetanei dell'ex-DDR studiavano Inglese e Francese, anche se andare in Inghilterra e in Francia era vietato. Ma non avrebbe avuto più senso insegnargli il Russo e il Cinese? Anche se poi, per come sono andate le cose, gli è decisamente convenuto così.
Una volta gli ho chiesto che cosa avessero provato, quando il muro è venuto giù. Ci siete andati? Avete dato qualche picconata pure voi? Vi siete riabbracciati col vostro amore segreto scappato con un tunnel 15 anni prima, come si vede nei film? Ma loro non hanno fatto nulla: il giorno che il muro è caduto io, Mark, Anna e Paul avevamo sempre la stessa età. 14 anni. E a 14 anni non è che esci di casa a fare la rivoluzione, ed è già tanto se guardi il telegiornale e ci capisci almeno qualcosa.
Mi hanno spiegato che non c'è stato un tempo effettivo nel corso del quale si è svolta la cosa. Un attimo prima qualcuno ha detto: adesso abbattono il muro, e l'attimo dopo già non c'era più. Altro che lasciare 2 chilometri: nel giro di una notte il muro si è come vaporizzato, e tutto ciò che ne restava era una montagna di sassolini da rivendere ai turisti.
E insomma, ne avevamo di cose in comune io e i ragazzini della DDR: guardavamo gli stessi programmi alla TV, ci piacevano i giochi che arrivavano dagli Stati Uniti, e le astruse vicende del mondo non ci coinvolgevano ancora troppo concretamente, e le seguivamo un po' da lontano.
Alla fine c'era questo muro in mezzo, protetto da soldati che ti tiravano una fucilata come solo ti avvicinavi, ma non è che ci avesse separati davvero.
A questo punto, tanto valeva non costruirlo per niente.
Simone
10/11/09
Vietiamo tutto.
Io quando ascolto certa musica pop mi sento di cattivo umore. Cioè, mi hanno spiegato che posso anche non accendere la radio, o sentire altre stazioni dove certa roba non la passano. Però capita comunque di trovarsi in qualche locale dove magari hanno messo il CD, di ritrovarsela in filodiffusione al supermercato, o perfino inserita a tradimento dentro qualche pubblicità che passano in televisione.
Insomma, ritengo sinceramente che sarebbe giusto se l'ascolto di musica pop fosse dichiarato illegale, così da rispettare me e i tanti che la pensano allo stesso modo.
Ancora: l'altro giorno stavo facendo la spesa, e dal reparto frigo arrivava un odore tremendo. Doveva essere uno di quei formaggi schifosi, che piacciono a non so che razza di gentaglia. Ma andate a farvelo a casa vostra il formaggio, no? Se ve ne restate nel vostro appartamento, potete anche mangiarvi tutte le porcherie che vi pare. Ma cosa c'entro, io?
A dirla tutta, sarebbe bene che la Comunità Europea bandisse tutte le pietanze disgustose e maleodoranti: la trippa, la lingua e le lumache che mi fanno senso, tutte quelle porcherie etniche che fanno anche ingrassare, le pannocchie e i caldarrostari che appestano le piazze. Vi rendete conto? Io devo andare al centro, e subirmi l'odore delle castagne alla griglia. Dovrebbero prima cucinare le cose in qualche locale chiuso, magari anche protetto da filtri anti-odore. Poi si potrebbero installare per strada dei gazebo con porte e finestre oscurate, e chi vuole si mangia quello che deve mangiare lì dentro, che io non voglio vederlo.
Un'altra cosa che proprio non sopporto, poi, sono quelli che si vestono tutti eleganti, sempre col completo e la giacca. Vai a una festicciola, o a teatro, e devi sentirti un barbone perché questa gente deve vestirsi meglio di te. È veramente offensivo, non trovate? Però io non sono il tipo a cui piace obbligare nessuno, ci mancherebbe altro! Ognuno deve potersi vestire come preferisce. Basterebbe solo che poi indossassimo tutti delle tute da lavoro sopra il vestito normale: comode, larghe e perfettamente omologanti.
Se vuoi fare il damerino, passi. Però poi sopra ti metti la tuta, e non stai lì a rovinare la vita al resto del mondo con la tua eleganza razzista e insopportabile.
E insomma, sì. Siamo circondati da tanta intolleranza, ma io sono fiducioso. Grazie alle nuove direttive internazionali e al rinato senso di unità e indipendenza dei singoli stati, sembra che qualcosa si stia muovendo.
Tra un po' leveranno i simboli religiosi, che se li vede qualcuno di una religione diversa c'è pure il rischio che ci rimanga male. Anche turbanti, veli e cappelli vari saranno presto banditi, che non è che uno prende e può mettersi in testa quello che gli pare, col rischio di spaventare qualcuno. Verranno banditi i condimenti e i cibi troppo pesanti, che se uno poveraccio sta a dieta e se li ritrova davanti è un po' come prenderlo per il sedere. Oscuriamo i colori sgargianti per rispetto verso i daltonici, e poi via le bistecche, antibiotici e insetticidi: se vuoi uccidere gli animali al paese tuo fai pure, ma io qui di certe barbarie non voglio nemmeno saperne.
E facciamola finita anche co' 'sto cavolo d'inglese, che a me la gente che parla strano mi fa imbestialire. Anche all'università: piuttosto che tante lauree diverse che sono motivo d'intolleranza, dovremmo mettere un corso collettivo unico. E se anche non lo vuoi seguire, perché giustamente ognuno è diverso, il diploma te lo daranno lo stesso... anche se sarà comunque vietato appenderselo in ufficio.
Stacchiamo la TV, con tutti quei canali violenti e razzisti. Cancelliamo i preti e le chiese, i giornali e i politici, gli elettori e chi è contro il governo: se non comandi sei in minoranza, e dicendo la tua offenderesti per forza qualcuno.
E alla fine via Dio, via il sesso, via i vestiti e via le case. Via i pensieri impuri e le opinioni sbagliate. Via queste parole che ho appena scritto e via pure i commenti che vorreste lasciarmi, col rischio di dire qualcosa che potrei non gradire.
Vivremo seduti per terra, davanti a uno schermo bianco, e in mano un telecomando con un tasto solo.
Il nostro vuoto ci renderà identici.
Simone
Insomma, ritengo sinceramente che sarebbe giusto se l'ascolto di musica pop fosse dichiarato illegale, così da rispettare me e i tanti che la pensano allo stesso modo.
Ancora: l'altro giorno stavo facendo la spesa, e dal reparto frigo arrivava un odore tremendo. Doveva essere uno di quei formaggi schifosi, che piacciono a non so che razza di gentaglia. Ma andate a farvelo a casa vostra il formaggio, no? Se ve ne restate nel vostro appartamento, potete anche mangiarvi tutte le porcherie che vi pare. Ma cosa c'entro, io?
A dirla tutta, sarebbe bene che la Comunità Europea bandisse tutte le pietanze disgustose e maleodoranti: la trippa, la lingua e le lumache che mi fanno senso, tutte quelle porcherie etniche che fanno anche ingrassare, le pannocchie e i caldarrostari che appestano le piazze. Vi rendete conto? Io devo andare al centro, e subirmi l'odore delle castagne alla griglia. Dovrebbero prima cucinare le cose in qualche locale chiuso, magari anche protetto da filtri anti-odore. Poi si potrebbero installare per strada dei gazebo con porte e finestre oscurate, e chi vuole si mangia quello che deve mangiare lì dentro, che io non voglio vederlo.
Un'altra cosa che proprio non sopporto, poi, sono quelli che si vestono tutti eleganti, sempre col completo e la giacca. Vai a una festicciola, o a teatro, e devi sentirti un barbone perché questa gente deve vestirsi meglio di te. È veramente offensivo, non trovate? Però io non sono il tipo a cui piace obbligare nessuno, ci mancherebbe altro! Ognuno deve potersi vestire come preferisce. Basterebbe solo che poi indossassimo tutti delle tute da lavoro sopra il vestito normale: comode, larghe e perfettamente omologanti.
Se vuoi fare il damerino, passi. Però poi sopra ti metti la tuta, e non stai lì a rovinare la vita al resto del mondo con la tua eleganza razzista e insopportabile.
E insomma, sì. Siamo circondati da tanta intolleranza, ma io sono fiducioso. Grazie alle nuove direttive internazionali e al rinato senso di unità e indipendenza dei singoli stati, sembra che qualcosa si stia muovendo.
Tra un po' leveranno i simboli religiosi, che se li vede qualcuno di una religione diversa c'è pure il rischio che ci rimanga male. Anche turbanti, veli e cappelli vari saranno presto banditi, che non è che uno prende e può mettersi in testa quello che gli pare, col rischio di spaventare qualcuno. Verranno banditi i condimenti e i cibi troppo pesanti, che se uno poveraccio sta a dieta e se li ritrova davanti è un po' come prenderlo per il sedere. Oscuriamo i colori sgargianti per rispetto verso i daltonici, e poi via le bistecche, antibiotici e insetticidi: se vuoi uccidere gli animali al paese tuo fai pure, ma io qui di certe barbarie non voglio nemmeno saperne.
E facciamola finita anche co' 'sto cavolo d'inglese, che a me la gente che parla strano mi fa imbestialire. Anche all'università: piuttosto che tante lauree diverse che sono motivo d'intolleranza, dovremmo mettere un corso collettivo unico. E se anche non lo vuoi seguire, perché giustamente ognuno è diverso, il diploma te lo daranno lo stesso... anche se sarà comunque vietato appenderselo in ufficio.
Stacchiamo la TV, con tutti quei canali violenti e razzisti. Cancelliamo i preti e le chiese, i giornali e i politici, gli elettori e chi è contro il governo: se non comandi sei in minoranza, e dicendo la tua offenderesti per forza qualcuno.
E alla fine via Dio, via il sesso, via i vestiti e via le case. Via i pensieri impuri e le opinioni sbagliate. Via queste parole che ho appena scritto e via pure i commenti che vorreste lasciarmi, col rischio di dire qualcosa che potrei non gradire.
Vivremo seduti per terra, davanti a uno schermo bianco, e in mano un telecomando con un tasto solo.
Il nostro vuoto ci renderà identici.
Simone
09/11/09
Segnalazione: Carthago. Il nuovo romanzo di Franco Forte (l'editore di Simone Maria Navarra)
Per chi non lo conoscesse già, Franco è uno dei fondatori della casa editrice Delos Books, nonché mio editor, editore, insegnante di scrittura, consulente, consigliere e non so che altro. Davvero se avete qualcosa da ridire su quello che scrivo posso darvi la sua email e lasciarvi parlare direttamente con lui.
Per spezzare una lancia a suo favore (dopo averlo incolpato di aver portato in libreria me), Franco scrive e lavora nel settore editoriale davvero da una vita, ed è la dimostrazione che è effettivamente possibile raggiungere traguardi importanti andando avanti a piccoli passi, con costanza e determinazione.
Se volete altre informazioni sul libro, qui potete leggerne qualche pagina.
Questa invece è una breve biografia dell'autore, a cui ho aggiunto l'ultima parte che la Mondadori ha stranamente dimenticato di inserire:
Franco Forte (Milano, 1962) è giornalista, traduttore, sceneggiatore e consulente editoriale, ha esordito nel 1990 con il romanzo Gli eretici di Zlatos (Editrice Nord), al quale sono seguiti Il figlio del cielo e L'orda d'oro (Mondadori) - da cui ha tratto uno sceneggiato tv su Gengis Khan prodotto da Mediaset -, China killer (Marco Tropea/Il Saggiatore) e La stretta del pitone (Mursia). Collabora con Rai e Mediaset; per quest'ultima ha scritto la sceneggiatura di un film tv su Giulio Cesare e ha collaborato a serie televisive quali "RIS - Delitti imperfetti", "Distretto di polizia" e "Intelligence". Vicedirettore del mensile "PC World Italia" e direttore di "Fiction TV", ha fondato la rivista "Writers Magazine Italia" e pubblicato Il prontuario dello scrittore (Delos books), un manuale di scrittura creativa.
La sua vera passione resta comunque quella di rifiutare i manoscritti inviatigli da Simone M. Navarra, di cui però alla fine ha pubblicato "Io scrivo - manuale di sopravvivenza creativa per scrittori emergenti" forse scambiandolo per un promettente autore spagnolo di libri a sfondo sessuale o - semplicemente - illudendosi che fosse il giusto modo per toglierselo finalmente dalle palle.
Simone
Per spezzare una lancia a suo favore (dopo averlo incolpato di aver portato in libreria me), Franco scrive e lavora nel settore editoriale davvero da una vita, ed è la dimostrazione che è effettivamente possibile raggiungere traguardi importanti andando avanti a piccoli passi, con costanza e determinazione.
Se volete altre informazioni sul libro, qui potete leggerne qualche pagina.
Questa invece è una breve biografia dell'autore, a cui ho aggiunto l'ultima parte che la Mondadori ha stranamente dimenticato di inserire:
Franco Forte (Milano, 1962) è giornalista, traduttore, sceneggiatore e consulente editoriale, ha esordito nel 1990 con il romanzo Gli eretici di Zlatos (Editrice Nord), al quale sono seguiti Il figlio del cielo e L'orda d'oro (Mondadori) - da cui ha tratto uno sceneggiato tv su Gengis Khan prodotto da Mediaset -, China killer (Marco Tropea/Il Saggiatore) e La stretta del pitone (Mursia). Collabora con Rai e Mediaset; per quest'ultima ha scritto la sceneggiatura di un film tv su Giulio Cesare e ha collaborato a serie televisive quali "RIS - Delitti imperfetti", "Distretto di polizia" e "Intelligence". Vicedirettore del mensile "PC World Italia" e direttore di "Fiction TV", ha fondato la rivista "Writers Magazine Italia" e pubblicato Il prontuario dello scrittore (Delos books), un manuale di scrittura creativa.
La sua vera passione resta comunque quella di rifiutare i manoscritti inviatigli da Simone M. Navarra, di cui però alla fine ha pubblicato "Io scrivo - manuale di sopravvivenza creativa per scrittori emergenti" forse scambiandolo per un promettente autore spagnolo di libri a sfondo sessuale o - semplicemente - illudendosi che fosse il giusto modo per toglierselo finalmente dalle palle.
Simone
04/11/09
La morte della paura.
Laboratorio di Anatomia.
Generalmente ci fanno osservare dei vetrini al microscopio, mentre un docente commenta le immagini proiettate su dei monitor. Oggi però è diverso: uno dei professori si presenta con 2 o 3 assistenti al seguito, e inizia a passare tra i tavoli distribuendo campioni di organi interni veri e propri.
Io mi ritrovo con in mano un cuore essiccato, o plastificato o non so come hanno fatto a conservarlo. Il fatto che molti (ma non tutti) gli organi siano di maiale mi fa sperare che quello che mi ritrovo davanti al naso non sia appartenuto a un essere umano, e solo grazie a questo resisto alla tentazione di correre in bagno per dare di stomaco.
Gli assistenti si allontanano per un po', e mentre noi stiamo lì a commentare quelle che potrebbero essere valvole, atri e ventricoli (diciamo che le nostre conoscenze sono ancora piuttosto vaghe) rientrano in laboratorio portando dei contenitori trasparenti con dentro qualcosa che sembrerebbe più adatta al banco frigo del supermercato che a un'aula universitaria: sono sezioni di teste umane, estratte dalla formalina per poter essere studiate. Prive di cervello (a medicina lo chiamano encefalo) e scatola cranica, consentono di osservare in maniera chiara e distinta tutte quelle strutture anatomiche che, normalmente, si possono vedere solo all'interno di qualche tavola disegnata.
Ci dividiamo in gruppetti, e nel giro di qualche minuto un assistente viene da noi con quella roba terrificante e inizia a spiegarci cos'è e cosa stiamo vedendo. Nel far questo tocca ovviamente ossa, vasi e cartilagini.
«Qui si vede il vestibolo della bocca» commenta, tirando la mezza-lingua verso l'esterno. «Non vedete i denti perché, evidentemente, questa persona non li aveva».
La lezione continua facendo passare uno strumento (ok: temo sia un semplice pezzo di filo di ferro) all'interno di fori e cavità, mentre io guardo e non guardo con la testa che mi sembra sempre più leggera e la paura di crollare a terra senza nemmeno accorgermene.
Tra i miei compagni di corso, c'è chi dice che schifo che schifo! e si volta dall'altra parte. C'è chi ridacchia per sdrammatizzare. Chi sembra quasi che ci provi gusto (e questi un po' mi preoccupano), chi si scambia occhiate a metà tra lo sconcertato e divertito, chi dà un'occhiata veloce per poi tornare a farsi gli affari suoi, e anche chi guarda con distacco: dopo un anno e mezzo di Medicina si sente già un grande chirurgo, e certe cose non lo impressionano per niente.
«Volete toccare qualcosa anche voi?» domanda l'assistente, finita la spiegazione. «Sulla cattedra ci sono dei guanti».
Io incontro lo sguardo di una ragazza che sta davanti a me, e i nostri pensieri si dicono all'unisono: non lo tocco neanche morto. Un'altra studentessa, invece, corre a mettersi i guanti. Poi torna, e inizia a maneggiare tranquillamente quella cosa terribile che gronda formalina ed emana una puzza tremenda che non dimenticherò mai. A quel punto mi dico che, se lo tocco adesso, potrei desensibilizzarmi un po' e provare meno repulsione per queste cose. La prossima volta potrei avere un po' meno paura, e alla fine dei sei anni - magari - riuscirò addirittura a mettere le mani su una persona ancora viva.
Rimedio insomma un paio di guanti, e torno al mio posto prima che lo facciano tutti e si formi una folla.
«Sentite l'Epiglottide» dice l'assistente, toccando una parte del corpo umano su cui è effettivamente piuttosto inusuale arrivare a mettere le mani senza rimediare un pugno sul naso.
Io mi copro gli occhi con una mano. Porto avanti l'altra, allungo un dito, e sento una cosa rigida che si sposta leggermente sotto la spinta del polpastrello. Il laboratorio attorno a me sembra inclinarsi a destra e a sinistra come nei vecchi telefilm di Star Trek, e io sono abbastanza convinto di stare per svenire. Per fortuna, però, resto in piedi.
«Continuate un po' per conto vostro» conclude l'assistente. E detto questo si allontana.
Restiamo in cinque o sei studenti attorno al preparato anatomico (se lo chiamo testa umana mozzata ho paura che qualche lettore s'impressioni). Piano piano il terrore inizia ad allentarsi, e le nostre manovre si fanno più ardite. Riconosciamo il nervo ottico (ok, per quello ci voleva poco) le ossa del cranio, le cavità nasali.
«Vediamo com'è dall'altro verso?» chiedo io, in un improvviso amore per l'anatomopatologia che - vi giuro - non fa proprio parte della mia indole.
Il silenzio degli altri equivale a un sì misto a paura, repulsione e gusto per le cose orride tipico dei ventenni. Porto la mano guantata sotto alla mandibola del reperto. Lo sollevo un po', e mentre la formalina mi cola giù dai guanti, gocciolando nel contenitore, sento che pesa davvero come la testa di qualcuno. E non è una sensazione gradevole.
Alzo il preparato ancora un altro po', e tra le esclamazioni di disgusto dei miei compagni mi ritrovo faccia a faccia (ok: metà faccia) con quello che era il suo legittimo proprietario: un vecchietto piccolo, con la pelle raggrinzita, che sarà morto che avrà avuto 80 anni o - gli auguro - anche di più.
Di colpo la morte non è più un vuoto lontano e incolmabile, ma si è trasformata nel viso di quel signore. In un primo momento è uno spettacolo che fa davvero impressione, ma poi mi chiedo se questa paura che mi trasmette abbia davvero un senso, oppure no. Di certo non ha avuto paura lui di donarsi alla scienza, e di finire così tagliato, aperto, svuotato, fatto a pezzi con una sega e lasciato a mollo dentro qualche schifezza chimica. Non si è preoccupato di finire in un contenitore, ammucchiato a chissà quante altre teste di sconosciuti. Coi professori che lo lasciano in giro come se fosse niente, studenti che che ci giocano e gli fanno le foto col cellulare, e quelli come me che lo toccano da tutte le parti solo per vedere se trovano davvero il coraggio di farlo.
Ha accettato di affrontare tutto questo, solo per insegnare l'Anatomia a dei ragazzini: da un corso di più di 100 persone uscirà fuori almeno un bravo chirurgo. Magari quel bravo chirurgo farà del bene a qualcuno, e tutto sommato sarà come aver pareggiato i conti con la morte in persona.
Di certo non farò il chirurgo io, che a mettermi a tagliare la gente non ci penso nemmeno, e di sicuro non diventerò il medico più bravo del mio corso. Non so insomma se sarà valsa davvero la pena d'insegnare l'Anatomia anche a me. Però a quel punto mi sono lavato le mani, ho cambiato i guanti, e ho ripreso a studiare quel preparato, cercando davvero di capirci qualcosa.
E non ho più avuto paura.
Simone
Generalmente ci fanno osservare dei vetrini al microscopio, mentre un docente commenta le immagini proiettate su dei monitor. Oggi però è diverso: uno dei professori si presenta con 2 o 3 assistenti al seguito, e inizia a passare tra i tavoli distribuendo campioni di organi interni veri e propri.
Io mi ritrovo con in mano un cuore essiccato, o plastificato o non so come hanno fatto a conservarlo. Il fatto che molti (ma non tutti) gli organi siano di maiale mi fa sperare che quello che mi ritrovo davanti al naso non sia appartenuto a un essere umano, e solo grazie a questo resisto alla tentazione di correre in bagno per dare di stomaco.
Gli assistenti si allontanano per un po', e mentre noi stiamo lì a commentare quelle che potrebbero essere valvole, atri e ventricoli (diciamo che le nostre conoscenze sono ancora piuttosto vaghe) rientrano in laboratorio portando dei contenitori trasparenti con dentro qualcosa che sembrerebbe più adatta al banco frigo del supermercato che a un'aula universitaria: sono sezioni di teste umane, estratte dalla formalina per poter essere studiate. Prive di cervello (a medicina lo chiamano encefalo) e scatola cranica, consentono di osservare in maniera chiara e distinta tutte quelle strutture anatomiche che, normalmente, si possono vedere solo all'interno di qualche tavola disegnata.
Ci dividiamo in gruppetti, e nel giro di qualche minuto un assistente viene da noi con quella roba terrificante e inizia a spiegarci cos'è e cosa stiamo vedendo. Nel far questo tocca ovviamente ossa, vasi e cartilagini.
«Qui si vede il vestibolo della bocca» commenta, tirando la mezza-lingua verso l'esterno. «Non vedete i denti perché, evidentemente, questa persona non li aveva».
La lezione continua facendo passare uno strumento (ok: temo sia un semplice pezzo di filo di ferro) all'interno di fori e cavità, mentre io guardo e non guardo con la testa che mi sembra sempre più leggera e la paura di crollare a terra senza nemmeno accorgermene.
Tra i miei compagni di corso, c'è chi dice che schifo che schifo! e si volta dall'altra parte. C'è chi ridacchia per sdrammatizzare. Chi sembra quasi che ci provi gusto (e questi un po' mi preoccupano), chi si scambia occhiate a metà tra lo sconcertato e divertito, chi dà un'occhiata veloce per poi tornare a farsi gli affari suoi, e anche chi guarda con distacco: dopo un anno e mezzo di Medicina si sente già un grande chirurgo, e certe cose non lo impressionano per niente.
«Volete toccare qualcosa anche voi?» domanda l'assistente, finita la spiegazione. «Sulla cattedra ci sono dei guanti».
Io incontro lo sguardo di una ragazza che sta davanti a me, e i nostri pensieri si dicono all'unisono: non lo tocco neanche morto. Un'altra studentessa, invece, corre a mettersi i guanti. Poi torna, e inizia a maneggiare tranquillamente quella cosa terribile che gronda formalina ed emana una puzza tremenda che non dimenticherò mai. A quel punto mi dico che, se lo tocco adesso, potrei desensibilizzarmi un po' e provare meno repulsione per queste cose. La prossima volta potrei avere un po' meno paura, e alla fine dei sei anni - magari - riuscirò addirittura a mettere le mani su una persona ancora viva.
Rimedio insomma un paio di guanti, e torno al mio posto prima che lo facciano tutti e si formi una folla.
«Sentite l'Epiglottide» dice l'assistente, toccando una parte del corpo umano su cui è effettivamente piuttosto inusuale arrivare a mettere le mani senza rimediare un pugno sul naso.
Io mi copro gli occhi con una mano. Porto avanti l'altra, allungo un dito, e sento una cosa rigida che si sposta leggermente sotto la spinta del polpastrello. Il laboratorio attorno a me sembra inclinarsi a destra e a sinistra come nei vecchi telefilm di Star Trek, e io sono abbastanza convinto di stare per svenire. Per fortuna, però, resto in piedi.
«Continuate un po' per conto vostro» conclude l'assistente. E detto questo si allontana.
Restiamo in cinque o sei studenti attorno al preparato anatomico (se lo chiamo testa umana mozzata ho paura che qualche lettore s'impressioni). Piano piano il terrore inizia ad allentarsi, e le nostre manovre si fanno più ardite. Riconosciamo il nervo ottico (ok, per quello ci voleva poco) le ossa del cranio, le cavità nasali.
«Vediamo com'è dall'altro verso?» chiedo io, in un improvviso amore per l'anatomopatologia che - vi giuro - non fa proprio parte della mia indole.
Il silenzio degli altri equivale a un sì misto a paura, repulsione e gusto per le cose orride tipico dei ventenni. Porto la mano guantata sotto alla mandibola del reperto. Lo sollevo un po', e mentre la formalina mi cola giù dai guanti, gocciolando nel contenitore, sento che pesa davvero come la testa di qualcuno. E non è una sensazione gradevole.
Alzo il preparato ancora un altro po', e tra le esclamazioni di disgusto dei miei compagni mi ritrovo faccia a faccia (ok: metà faccia) con quello che era il suo legittimo proprietario: un vecchietto piccolo, con la pelle raggrinzita, che sarà morto che avrà avuto 80 anni o - gli auguro - anche di più.
Di colpo la morte non è più un vuoto lontano e incolmabile, ma si è trasformata nel viso di quel signore. In un primo momento è uno spettacolo che fa davvero impressione, ma poi mi chiedo se questa paura che mi trasmette abbia davvero un senso, oppure no. Di certo non ha avuto paura lui di donarsi alla scienza, e di finire così tagliato, aperto, svuotato, fatto a pezzi con una sega e lasciato a mollo dentro qualche schifezza chimica. Non si è preoccupato di finire in un contenitore, ammucchiato a chissà quante altre teste di sconosciuti. Coi professori che lo lasciano in giro come se fosse niente, studenti che che ci giocano e gli fanno le foto col cellulare, e quelli come me che lo toccano da tutte le parti solo per vedere se trovano davvero il coraggio di farlo.
Ha accettato di affrontare tutto questo, solo per insegnare l'Anatomia a dei ragazzini: da un corso di più di 100 persone uscirà fuori almeno un bravo chirurgo. Magari quel bravo chirurgo farà del bene a qualcuno, e tutto sommato sarà come aver pareggiato i conti con la morte in persona.
Di certo non farò il chirurgo io, che a mettermi a tagliare la gente non ci penso nemmeno, e di sicuro non diventerò il medico più bravo del mio corso. Non so insomma se sarà valsa davvero la pena d'insegnare l'Anatomia anche a me. Però a quel punto mi sono lavato le mani, ho cambiato i guanti, e ho ripreso a studiare quel preparato, cercando davvero di capirci qualcosa.
E non ho più avuto paura.
Simone
02/11/09
Io e la tecnologia moderna.
L'ultimo modello di lettore MP3 della Samsung è davvero bellissimo. Piccolino, con lo schermo grande quanto tutta la facciata, 16 giga di memoria, radio e possibilità di vedere i filmati. Costa 130 euro, e viene proprio voglia di comprarselo solo per avere in tasca un oggetto così ben realizzato e - sicuramente - piacevole da usare.
L'unico problema è che il mio lettore MP3, sempre della Samsung, modello vecchio di 4 anni fa, costava 15 euro meno di quello che c'è adesso. Soltanto che il mio ha di giga ne ha 20 (4 in più di quello nuovo insomma) potevi già vederci i filmati, aveva sempre la radio e in più poteva servire anche da hard disk portatile.
Sarà poi una cavolata inutile, ma sempre il Samsung più vecchio aveva installati dei giochini stupidissimi che in quello nuovo non sembrano essere sopravvissuti (almeno nella vetrina del negozio dove è esposto non l'hanno scritto) e funziona inoltre come registratore digitale che salva l'audio già in un comodo formato MP3 con tanto di tasto REC appositamente dedicato... anche se ammetto di non averlo usato mai.
Insomma, cè qualcosa di strano. O no?! Il modello nuovo costa di più di quello vecchio (e di 4 anni) ha meno funzioni e l'unica innovazione degna di nota è uno schermo un po' più bello e colorato con cui tanto un film non ce lo vedi lo stesso, perché rimane comunque troppo piccolo per non accecarti irreversibilmente dopo meno di mezzora. Il bello è che il nuovo software che ti daranno in allegato sarà fatto per girare su un computer di 4 anni più nuovo, e per questo sarà molto più pesante e più lento del suo predecessore.
Ancora: io vorrei tanto portarmi sempre in tasca una macchina fotografica compatta che non sgrani le foto a morte appena c'è un po' meno luce, un grandangolo degno di tale nome e una messa a fuoco il più veloce possibile, visto che sono queste le caratteristiche che aiutano davvero a realizzare delle belle immagini. Un paio d'anni fa ho trovato una Ixus che andava abbastanza bene, o se non altro potevo dire di essermi accontentato. Adesso che mi si è rotta, ho scoperto che tutti i modelli nuovi sono peggiori di quello che avevo prima: hanno aumentato i megapixel al punto da rovinare la qualità delle immagini, il grandangolo è stato sostituito da uno zoom che io però non voglio, e il prezzo è praticamente il doppio di quello degli analoghi modelli precedenti (che però non si trovano più). Ma chi lo sa: magari l'innovazione è che non si rompono.
La tecnologia moderna sembra essersi ridotta a pupazzetti che poppano sullo schermo a rallentare tutto, schermi giganti per strumenti che non ne avrebbero bisogno e tanti inutili milioni di pixel che poi nessuna legge ottica della natura ti consentirà mai di sfruttare con quegli obiettivi microscopici che ci appiccicano davanti. Il tutto - ovviamente - al solo (condivisibile) scopo di rivenderti sempre la stessa roba a un prezzo maggiore, giustificando la cosa con qualche numerino aumentato: 12 Megapixel, Zoom 10X, schermo 16 pollici, nuovo processore versione 4,5,6 o quello che è. Se produci qualcosa di veramente innovativo, invece, magari la gente nemmeno lo capisce e va a finire che non se lo compra nessuno.
Sarà che sono strano io, che pretendo di avere cose che - evidentemente - interessano soltanto a me. Sarà.
Eppure qualcosa davvero non mi torna...
Simone
L'unico problema è che il mio lettore MP3, sempre della Samsung, modello vecchio di 4 anni fa, costava 15 euro meno di quello che c'è adesso. Soltanto che il mio ha di giga ne ha 20 (4 in più di quello nuovo insomma) potevi già vederci i filmati, aveva sempre la radio e in più poteva servire anche da hard disk portatile.
Sarà poi una cavolata inutile, ma sempre il Samsung più vecchio aveva installati dei giochini stupidissimi che in quello nuovo non sembrano essere sopravvissuti (almeno nella vetrina del negozio dove è esposto non l'hanno scritto) e funziona inoltre come registratore digitale che salva l'audio già in un comodo formato MP3 con tanto di tasto REC appositamente dedicato... anche se ammetto di non averlo usato mai.
Insomma, cè qualcosa di strano. O no?! Il modello nuovo costa di più di quello vecchio (e di 4 anni) ha meno funzioni e l'unica innovazione degna di nota è uno schermo un po' più bello e colorato con cui tanto un film non ce lo vedi lo stesso, perché rimane comunque troppo piccolo per non accecarti irreversibilmente dopo meno di mezzora. Il bello è che il nuovo software che ti daranno in allegato sarà fatto per girare su un computer di 4 anni più nuovo, e per questo sarà molto più pesante e più lento del suo predecessore.
Ancora: io vorrei tanto portarmi sempre in tasca una macchina fotografica compatta che non sgrani le foto a morte appena c'è un po' meno luce, un grandangolo degno di tale nome e una messa a fuoco il più veloce possibile, visto che sono queste le caratteristiche che aiutano davvero a realizzare delle belle immagini. Un paio d'anni fa ho trovato una Ixus che andava abbastanza bene, o se non altro potevo dire di essermi accontentato. Adesso che mi si è rotta, ho scoperto che tutti i modelli nuovi sono peggiori di quello che avevo prima: hanno aumentato i megapixel al punto da rovinare la qualità delle immagini, il grandangolo è stato sostituito da uno zoom che io però non voglio, e il prezzo è praticamente il doppio di quello degli analoghi modelli precedenti (che però non si trovano più). Ma chi lo sa: magari l'innovazione è che non si rompono.
La tecnologia moderna sembra essersi ridotta a pupazzetti che poppano sullo schermo a rallentare tutto, schermi giganti per strumenti che non ne avrebbero bisogno e tanti inutili milioni di pixel che poi nessuna legge ottica della natura ti consentirà mai di sfruttare con quegli obiettivi microscopici che ci appiccicano davanti. Il tutto - ovviamente - al solo (condivisibile) scopo di rivenderti sempre la stessa roba a un prezzo maggiore, giustificando la cosa con qualche numerino aumentato: 12 Megapixel, Zoom 10X, schermo 16 pollici, nuovo processore versione 4,5,6 o quello che è. Se produci qualcosa di veramente innovativo, invece, magari la gente nemmeno lo capisce e va a finire che non se lo compra nessuno.
Sarà che sono strano io, che pretendo di avere cose che - evidentemente - interessano soltanto a me. Sarà.
Eppure qualcosa davvero non mi torna...
Simone
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