Punto della situazione che non facevo da un po':
Seconda laurea in Medicina: lo studio va bene, anzi benissimo. In questa sessione ho dato un po' di esami e sono quasi in pari. Mi manca da dare Anatomia 3 (l'ultima delle Anatomie!) che ho tra una settimana.
Non so chi di voi ha mai studiato queste cose. Comunque il sistema nervoso è composto da un insieme di milioni di nomi non necessariamente intuitivi (anzi), e questo è anche il principale motivo per l'attuale carenza di aggiornamenti del blog. A dirla tutta, ora come ora, non so ancora se riuscirò a ricordarmi qualcosa in tempo per l'esame... ma male che vada c'è un altro appello ad Aprile. Anche se vorrei sinceramente evitarmelo.
In ogni caso, tolta o meno Anatomia 3 mi trovo ad aver concluso metà del secondo anno. Che con un'ardita divisione fa un quarto dei sei anni di corso. Sinceramente speravo di dover studiare di meno, ma gli esami vanno meglio sempre di quello che prevedevo. E speriamo anche di continuare così... o magari con qualche esame anche meno impegnativo di questi che ho fatto ora, che sarebbe meglio ^^.
Io scrivo (il mio libro): ho avuto qualche dato di vendita dall'editore. Ora non mi va di scrivere proprio i numeri precisi. Diciamo che il libro non sta andando proprio benissimo (come del resto già sapevo) ma tutto sommato temevo peggio. Il fatto poi che sia un testo che in un certo senso non invecchia troppo facilmente fa comunque sperare che le vendite continuino nei prossimi mesi. Magari inventandomi qualcosa per fare un po' più di pubblicità.
Scrittura: i racconti autobiografici che metto sul blog mi pare che inizino a piacere. L'ultimo ha avuto un sacco di commenti, e a rileggermi mi sembra che piano piano stia iniziando a trovare la chiave giusta con cui raccontare certe cose. Ora metterò uno dei racconti in un mini-concorso su un forum letterario (non vi dico il nome che magari sembra brutto, ma tanto se girate un po' per la rete probabilmente l'avete già trovato) non tanto per sperare di vincere ma per ricevere un po' di commenti grazie ai quali - spero - chiarirmi ancora meglio le idee.
Editoria: ho conosciuto una persona molto gentile che realizza audiolibri, e forse riusciremo a tirare fuori un audio-ebook gratuito, o qualcosa del genere, da uno dei miei vecchi lavori. Non sarebbe male, ma vediamo come andranno le cose.
Ebook: Codice Aggiunto, il mio ultimo ebook, pur essendo passato praticamente inosservato tra blog, siti, forum, recensori e articolisti librari vari, è finito su qualche sito di Torrent che ha portato qualche centinaio di scaricamenti tutti in un colpo. Sono contento, e speriamo che arrivi anche qualche nuovo lettore!
Il romanzo famoso: il romanzo famoso che vorrei scrivere ma che non mi viene niente in mente, è sempre fermo lì alla fase di ideazione iniziale. Però in giro inizio a trovare dei temi molto più interessanti - almeno in apparenza - di quelli che affronto solitamente. Sarà che sto metabolizzando qualcosa prima di una qualche forma di folgorazione. O sarà che l'Anatomia ha distrutto il mio spirito creativo (se mai ne abbia mai posseduto uno)?
Chi lo sa? Intanto io scrivo tutto qui sul blog, per cui in caso quando arriverà la risposta sarete tra i primi a saperlo.
Simone
31/01/10
25/01/10
Segnalazione e Riflessione: Nessun uomo è mio fratello, di Clelia Farris
Ora qualcuno mi dirà che pubblicizzo sempre i libri della Delos, e in effetti è un po' vero. Che ci crediate o no, in questo caso la cosa non era assolutamente voluta e anzi sarei stato ben contento se questo libro fosse stato edito da qualcun altro. Il fatto è che Nessun uomo è mio fratello - vincitore del Premio Odissea - fa aprire una riflessione che a me interessa, e che casualmente coinvolga il mio editore (col rischio che qualcuno se la prenda e che mi tocchi pure litigare) è una semplice casualità.
Chiarisco che non l'ho letto, e non so nemmeno se lo farò (ho il libro di Anatomia accanto alla tastiera che mi dice: ma che cazzo perdi tempo col blog? Guarda che non mi finirai mai, ah ah ah!)
La storia comunque - da quanto ne so - parla di un mondo in cui la gente nasce non ho capito come predestinata a diventare una vittima o un carnefice, e poi ovviamente qualcuno farà qualcosa per cui accadrà qualcos'altro degno di nota. Ok, non lo so tanto di che parla 'sto libro. Sulla copertina c'è un tizio nudo con le catene: si parlerà di un mondo in cui fa caldissimo e la gente si raffredda con delle sciarpe di ferro congelate? Direi che è l'ipotesi più verosimile.
Tolto il piccolo particolare della trama, la cosa degna di nota del libro è che Clelia Farris aveva già vinto il medesimo premio (prima chiamato Fantascienza.com) diversi anni fa con un testo intitolato Rupes Recta, del quale tra l'altro ho sentito parlare benissimo.
Fa riflettere insomma il fatto che, dopo aver vinto un concorso, l'autrice abbia dovuto ri-vincerne un altro per pubblicare un testo analogo con il medesimo editore. E questo non vale solo per la Delos: se date uno sguardo in giro, ci sono tanti scrittori di fantascienza che hanno vinto altri premi, ma che poi non si vedono più arrivare in libreria con qualcosa di nuovo.
Adesso io non sono tanto esperto di editoria, e ignoro i retroscena reali che ci sono dietro a tutte le pubblicazioni (magari l'autrice ha semplicemente deciso di partecipare soltanto a premi letterari, per cui tutto il mio discorso varrebbe davvero poco).
La verità, però, è anche che un libro di fantascienza, scritto da un italiano, non se lo compra nessuno. Se per lo meno ci appiccichi sopra il bollino vincitore del premio X allora non dico che il libro si venderà, ma forse puoi sperare che qualcuno si interessi un pochettino ino ino, facendo magari rientrare l'editore almeno delle spese di stampa.
Se fossi un autore di fantascienza, a questo punto, potrei anche fare un discorso polemico che in realtà ho scritto e cancellato, perché non ne valeva tutto sommato nemmeno la pena. Mi piaceva solo far presente questa cosa anche a chi legge questo mio blog, e sentire magari la vostra opinione.
E poi è un bel po' che non scrivo fantascienza, per cui - tutto sommato - forse non è più nemmeno un problema che mi riguarda. Mi dispiace soltanto un po' per l'autrice, che non la conosco ma che immagino abbia faticato un sacco per arrivare in libreria. Anzi, no: Clelia tutto sommato alla fine ha vinto. Addirittura due volte.
Per cui in ogni caso il suo libro me lo compro. E sono davvero contento per lei.
Simone
Chiarisco che non l'ho letto, e non so nemmeno se lo farò (ho il libro di Anatomia accanto alla tastiera che mi dice: ma che cazzo perdi tempo col blog? Guarda che non mi finirai mai, ah ah ah!)
La storia comunque - da quanto ne so - parla di un mondo in cui la gente nasce non ho capito come predestinata a diventare una vittima o un carnefice, e poi ovviamente qualcuno farà qualcosa per cui accadrà qualcos'altro degno di nota. Ok, non lo so tanto di che parla 'sto libro. Sulla copertina c'è un tizio nudo con le catene: si parlerà di un mondo in cui fa caldissimo e la gente si raffredda con delle sciarpe di ferro congelate? Direi che è l'ipotesi più verosimile.
Tolto il piccolo particolare della trama, la cosa degna di nota del libro è che Clelia Farris aveva già vinto il medesimo premio (prima chiamato Fantascienza.com) diversi anni fa con un testo intitolato Rupes Recta, del quale tra l'altro ho sentito parlare benissimo.
Fa riflettere insomma il fatto che, dopo aver vinto un concorso, l'autrice abbia dovuto ri-vincerne un altro per pubblicare un testo analogo con il medesimo editore. E questo non vale solo per la Delos: se date uno sguardo in giro, ci sono tanti scrittori di fantascienza che hanno vinto altri premi, ma che poi non si vedono più arrivare in libreria con qualcosa di nuovo.
Adesso io non sono tanto esperto di editoria, e ignoro i retroscena reali che ci sono dietro a tutte le pubblicazioni (magari l'autrice ha semplicemente deciso di partecipare soltanto a premi letterari, per cui tutto il mio discorso varrebbe davvero poco).
La verità, però, è anche che un libro di fantascienza, scritto da un italiano, non se lo compra nessuno. Se per lo meno ci appiccichi sopra il bollino vincitore del premio X allora non dico che il libro si venderà, ma forse puoi sperare che qualcuno si interessi un pochettino ino ino, facendo magari rientrare l'editore almeno delle spese di stampa.
Se fossi un autore di fantascienza, a questo punto, potrei anche fare un discorso polemico che in realtà ho scritto e cancellato, perché non ne valeva tutto sommato nemmeno la pena. Mi piaceva solo far presente questa cosa anche a chi legge questo mio blog, e sentire magari la vostra opinione.
E poi è un bel po' che non scrivo fantascienza, per cui - tutto sommato - forse non è più nemmeno un problema che mi riguarda. Mi dispiace soltanto un po' per l'autrice, che non la conosco ma che immagino abbia faticato un sacco per arrivare in libreria. Anzi, no: Clelia tutto sommato alla fine ha vinto. Addirittura due volte.
Per cui in ogni caso il suo libro me lo compro. E sono davvero contento per lei.
Simone
22/01/10
Come inventare una storia, 3: Tre millimetri al giorno, di Richard Matheson
Torniamo a studiare le storie famose, con una storia che così tanto famosa non è.
Richard Matheson lo conoscerete sicuramente per il ben più famoso Io sono leggenda, trasformato nel corso degli anni in ben 3 film di fantascienza tutti più o meno orrendi e più o meno di successo.
La scelta è ricaduta però su questo Tre millimetri al giorno perché, semplicemente, è un libro scritto meglio di quell'altro famoso, che sinceramente in alcuni punti rallenta un bel po'. Questo di cui vi parlo ha più mordente e - a mio avviso - è anche tecnicamente più complesso. Probabilmente il finale di Io sono leggenda è su un livello più elevato, cosa che comunque non ha impedito agli autori dell'ultimo film di cambiarlo con uno molto meno interessante.
Ma adesso non parliamo di film e leggende, ma di libri e millimetri al giorno. Per cui, andiamo:
Come scrivere una storia ecc ecc: 3 millimetri al giorno di Matheson.
L'idea iniziale: un uomo rimpicciolisce di 3 millimetri al giorno. Fine.
Perché è una buona idea: le idee semplici e facili da spiegare sono generalmente ottime. Matheson sfrutta spesso una sorta di alterazione del quotidiano per le sue storie. In questo caso, la normalità è che una persona adulta si svegli alta quanto era alta il giorno precedente. Invece il protagonista del libro diventa ogni giorno un po' più piccolo, al punto che teme di scomparire del tutto.
Come viene sviluppata la trama: e qui arrivano i guai. Scrivete voi una storia con uno che rimpicciolisce, ovviamente lunga come un romanzo (attorno alle 200 pagine, diciamo). Ci riuscite? Vediamo come farei io, noto romanziere di talmente tanta fama che mi conosce quasi tutto il quartiere. O almeno mezzo condominio:
3 millimetri al giorno, scritto da Simone Maria Navarra:
- Un tizio si sveglia e, che ne so, si accorge di pesare di meno.
- Lì per lì è contento, ma poi il suo peso sempre più basso lo spinge a cercare un dottore.
- Il dottore lo visita e gli spiega la storia dei 3 millimetri al giorno.
- Lui è depresso e infelice e ha un sacco di crisi, problemi e menate deprimenti. Parla molto di editoria e di cazzi suoi, del tipo di quando andava all'università.
- La storia finisce che in realtà lui era un puffo alieno nascosto nel corpo di di un essere umano, che in realtà è il resto del mondo che cresce e che sta per scoppiare, o qualche altro colpo di scena penoso e scritto in maniera traballante.
Fermo restando che il romanzo verrà comunque rifiutato a priori da qualsiasi editore (è una storia fantastica scritta da un italiano) tutto sommato non è che succeda questo gran che. Il problema di questa storia, o meglio dell'idea del romanzo, è che ancora non c'è molto su cui costruire. Cerchiamo allora di trovare qualche spunto aggiuntivo:
Il protagonista diventa piccolo. E poi? Non so, pensiamoci: che succederà a uno che diventa piccolo? All'inizio non molto: in fin dei conti, certe cose del mondo come i treni, i posti sugli aerei o le sedie a teatro sembrano concepiti per degli esseri umani alti un metro e mezzo. Tutto sommato, sul momento, diventare più piccoli quasi conviene.
Ma poi iniziano i guai: i rapporti con gli altri diventano difficoltosi, la famiglia vive male la situazione, e il mondo "normale" diventa enorme e pericoloso.
Pericoloso suona bene. È una parola che dà molto l'idea di una storia. E allora rivediamo la trama più approfondita:
Tre millimetri al giorno, trama più approfondita:
- Un uomo diventa sempre più piccolo.
- Col tempo la famiglia lo abbandona (più che altro, nella storia semplicemente non lo trovano più).
- Corre dei pericoli legati alle sue dimensioni. In particolare - e qui la chiave di tutto il romanzo - resta chiuso in cantina dove diventa la preda di una vedova nera enorme e schifosa.
Perché è una buona idea: la storia della famiglia, tutto sommato, non è che mi faccia impazzire. La vedova nera gigante che, ogni giorno, sembra diventare ancora più enorme (ricordate che il protagonista continua a rimpicciolire) è descritta invece così bene che vi toglierà il sonno.
Adesso la storia c'è tutta: il protagonista scappa dalla vedova nera per un tempo generico X (un certo numero di pagine) poi però c'è uno scontro, il ragno muore e il libro può finire degnamente. Vedete? Anche da premesse del tutto originali, la storia è trascinata di forza nel rapporto protagonista/antagonista in cui il "cattivo" è il ragno. Ci sono storie che si concludono senza una risoluzione di qualche conflitto? Non credo, ma ci devo pensare. Andiamo avanti.
Adesso entra in gioco l'altra idea che rafforza ancora più il tutto il romanzo, e si tratta di una semplice scelta tecnica: il libro inizia con il personaggio principale che è già chiuso in cantina e rimpicciolito alla scala pasto per il ragno, e tutto quello che è accaduto prima ci viene spiegato con dei flashback.
Schema finale di tre millimetri al giorno:
- Un uomo alto 3 centimetri è intrappolato in una cantina, dove si nasconde da una vedova nera che lo cerca per mangiarlo.
- Nei suoi ricordi, l'uomo pensa alla sua famiglia e a come è diventato così piccolo.
- Il protagonista combatte col ragno, e lo uccide.
- Nel finale, l'uomo diventa così piccolo da poter sperimentare un mondo microscopico (la superficie di una foglia, se non erro) in cui inizierà una nuova vita. Diciamo che il finale poteva anche essere diverso. Non è che questo non sia importante, ma la conclusione in un certo senso c'è già stata con la morte del ragno, e qui si tratta solo di chiudere in una maniera che non scontenti i lettori.
Particolare degno di nota: il ragno rompe i coglioni dalla prima alla (quasi) ultima pagina. Odierete quel ragno, perché fa paura e non sparisce mai ed è un motivo di ansia perenne.
A un certo punto il protagonista capisce che sta ormai per "sparire". Decide allora che, prima della sua morte, si arrampicherà fino alla tana di quel maledetto ragno del cavolo per affrontarlo e ucciderlo.
Quante storie avete letto, o visto, col buono che alla fine sconfigge il cattivo? E quanto erano noiose, in genere? Qui invece il lettore non aspetta altro che la vendetta contro quella bestiaccia maledetta che l'ha fatto soffrire per 200 pagine. Ma cosa c'è di diverso, in Matheson? Vediamo che cosa è riuscito a fare:
- Creare un antagonista effettivamente pauroso (il ragno).
- Porre il protagonista in una situazione di enorme svantaggio (in apparenza non c'è modo di sconfiggere il ragno, che anzi diventa ogni giorno più grande).
- Far desiderare che il protagonista uccida quel ragnaccio maledetto.
- Offrire al lettore quello che vuole: sarebbe bello che il personaggio principale affrontasse la paura e uccidesse quel mostro orrendo. Ed è quello che succede.
Adesso sembra facile: perché in centinaia di storie la risoluzione del conflitto porta sì alla fine della storia (ottimo per l'autore) ma è davvero scontata (meno ottimo per il lettore)? Perché qui il giochetto funziona così bene? Pur sapendo quali sono gli elementi giusti (conflitto, paura, desiderio del lettore) come si fa a metterli sicuramente tutti insieme?
Se lo sapessi, allora scriverei 100 libri così e sarei un super mega grande autore di best-seller (non pubblicati, magari, perché il genere non tira). Forse la storia di Matheson ha solo il pregio di essere verosimile: i protagonisti fanno quello che ci si aspetta che facciano, e lo scontro è un'evoluzione naturale e non una situazione forzata.
Il ragno insomma non è il classico cattivo stupido che non fa paura a nessuno. Sarà questo il trucco per un libro appassionante?
Per rispondere, non resta che continuare a studiare.
Simone
Richard Matheson lo conoscerete sicuramente per il ben più famoso Io sono leggenda, trasformato nel corso degli anni in ben 3 film di fantascienza tutti più o meno orrendi e più o meno di successo.
La scelta è ricaduta però su questo Tre millimetri al giorno perché, semplicemente, è un libro scritto meglio di quell'altro famoso, che sinceramente in alcuni punti rallenta un bel po'. Questo di cui vi parlo ha più mordente e - a mio avviso - è anche tecnicamente più complesso. Probabilmente il finale di Io sono leggenda è su un livello più elevato, cosa che comunque non ha impedito agli autori dell'ultimo film di cambiarlo con uno molto meno interessante.
Ma adesso non parliamo di film e leggende, ma di libri e millimetri al giorno. Per cui, andiamo:
Come scrivere una storia ecc ecc: 3 millimetri al giorno di Matheson.
L'idea iniziale: un uomo rimpicciolisce di 3 millimetri al giorno. Fine.
Perché è una buona idea: le idee semplici e facili da spiegare sono generalmente ottime. Matheson sfrutta spesso una sorta di alterazione del quotidiano per le sue storie. In questo caso, la normalità è che una persona adulta si svegli alta quanto era alta il giorno precedente. Invece il protagonista del libro diventa ogni giorno un po' più piccolo, al punto che teme di scomparire del tutto.
Come viene sviluppata la trama: e qui arrivano i guai. Scrivete voi una storia con uno che rimpicciolisce, ovviamente lunga come un romanzo (attorno alle 200 pagine, diciamo). Ci riuscite? Vediamo come farei io, noto romanziere di talmente tanta fama che mi conosce quasi tutto il quartiere. O almeno mezzo condominio:
3 millimetri al giorno, scritto da Simone Maria Navarra:
- Un tizio si sveglia e, che ne so, si accorge di pesare di meno.
- Lì per lì è contento, ma poi il suo peso sempre più basso lo spinge a cercare un dottore.
- Il dottore lo visita e gli spiega la storia dei 3 millimetri al giorno.
- Lui è depresso e infelice e ha un sacco di crisi, problemi e menate deprimenti. Parla molto di editoria e di cazzi suoi, del tipo di quando andava all'università.
- La storia finisce che in realtà lui era un puffo alieno nascosto nel corpo di di un essere umano, che in realtà è il resto del mondo che cresce e che sta per scoppiare, o qualche altro colpo di scena penoso e scritto in maniera traballante.
Fermo restando che il romanzo verrà comunque rifiutato a priori da qualsiasi editore (è una storia fantastica scritta da un italiano) tutto sommato non è che succeda questo gran che. Il problema di questa storia, o meglio dell'idea del romanzo, è che ancora non c'è molto su cui costruire. Cerchiamo allora di trovare qualche spunto aggiuntivo:
Il protagonista diventa piccolo. E poi? Non so, pensiamoci: che succederà a uno che diventa piccolo? All'inizio non molto: in fin dei conti, certe cose del mondo come i treni, i posti sugli aerei o le sedie a teatro sembrano concepiti per degli esseri umani alti un metro e mezzo. Tutto sommato, sul momento, diventare più piccoli quasi conviene.
Ma poi iniziano i guai: i rapporti con gli altri diventano difficoltosi, la famiglia vive male la situazione, e il mondo "normale" diventa enorme e pericoloso.
Pericoloso suona bene. È una parola che dà molto l'idea di una storia. E allora rivediamo la trama più approfondita:
Tre millimetri al giorno, trama più approfondita:
- Un uomo diventa sempre più piccolo.
- Col tempo la famiglia lo abbandona (più che altro, nella storia semplicemente non lo trovano più).
- Corre dei pericoli legati alle sue dimensioni. In particolare - e qui la chiave di tutto il romanzo - resta chiuso in cantina dove diventa la preda di una vedova nera enorme e schifosa.
Perché è una buona idea: la storia della famiglia, tutto sommato, non è che mi faccia impazzire. La vedova nera gigante che, ogni giorno, sembra diventare ancora più enorme (ricordate che il protagonista continua a rimpicciolire) è descritta invece così bene che vi toglierà il sonno.
Adesso la storia c'è tutta: il protagonista scappa dalla vedova nera per un tempo generico X (un certo numero di pagine) poi però c'è uno scontro, il ragno muore e il libro può finire degnamente. Vedete? Anche da premesse del tutto originali, la storia è trascinata di forza nel rapporto protagonista/antagonista in cui il "cattivo" è il ragno. Ci sono storie che si concludono senza una risoluzione di qualche conflitto? Non credo, ma ci devo pensare. Andiamo avanti.
Adesso entra in gioco l'altra idea che rafforza ancora più il tutto il romanzo, e si tratta di una semplice scelta tecnica: il libro inizia con il personaggio principale che è già chiuso in cantina e rimpicciolito alla scala pasto per il ragno, e tutto quello che è accaduto prima ci viene spiegato con dei flashback.
Schema finale di tre millimetri al giorno:
- Un uomo alto 3 centimetri è intrappolato in una cantina, dove si nasconde da una vedova nera che lo cerca per mangiarlo.
- Nei suoi ricordi, l'uomo pensa alla sua famiglia e a come è diventato così piccolo.
- Il protagonista combatte col ragno, e lo uccide.
- Nel finale, l'uomo diventa così piccolo da poter sperimentare un mondo microscopico (la superficie di una foglia, se non erro) in cui inizierà una nuova vita. Diciamo che il finale poteva anche essere diverso. Non è che questo non sia importante, ma la conclusione in un certo senso c'è già stata con la morte del ragno, e qui si tratta solo di chiudere in una maniera che non scontenti i lettori.
Particolare degno di nota: il ragno rompe i coglioni dalla prima alla (quasi) ultima pagina. Odierete quel ragno, perché fa paura e non sparisce mai ed è un motivo di ansia perenne.
A un certo punto il protagonista capisce che sta ormai per "sparire". Decide allora che, prima della sua morte, si arrampicherà fino alla tana di quel maledetto ragno del cavolo per affrontarlo e ucciderlo.
Quante storie avete letto, o visto, col buono che alla fine sconfigge il cattivo? E quanto erano noiose, in genere? Qui invece il lettore non aspetta altro che la vendetta contro quella bestiaccia maledetta che l'ha fatto soffrire per 200 pagine. Ma cosa c'è di diverso, in Matheson? Vediamo che cosa è riuscito a fare:
- Creare un antagonista effettivamente pauroso (il ragno).
- Porre il protagonista in una situazione di enorme svantaggio (in apparenza non c'è modo di sconfiggere il ragno, che anzi diventa ogni giorno più grande).
- Far desiderare che il protagonista uccida quel ragnaccio maledetto.
- Offrire al lettore quello che vuole: sarebbe bello che il personaggio principale affrontasse la paura e uccidesse quel mostro orrendo. Ed è quello che succede.
Adesso sembra facile: perché in centinaia di storie la risoluzione del conflitto porta sì alla fine della storia (ottimo per l'autore) ma è davvero scontata (meno ottimo per il lettore)? Perché qui il giochetto funziona così bene? Pur sapendo quali sono gli elementi giusti (conflitto, paura, desiderio del lettore) come si fa a metterli sicuramente tutti insieme?
Se lo sapessi, allora scriverei 100 libri così e sarei un super mega grande autore di best-seller (non pubblicati, magari, perché il genere non tira). Forse la storia di Matheson ha solo il pregio di essere verosimile: i protagonisti fanno quello che ci si aspetta che facciano, e lo scontro è un'evoluzione naturale e non una situazione forzata.
Il ragno insomma non è il classico cattivo stupido che non fa paura a nessuno. Sarà questo il trucco per un libro appassionante?
Per rispondere, non resta che continuare a studiare.
Simone
18/01/10
Per aiutare Haiti.
Vi riportaro gli estremi di alcune iniziative che ho trovato su Internet. Ho evidenziato i numeri a cui inviare sms da 2 o 3 euro, perché ritengo che sia un metodo semplice e immediato. Se volete fare di più, non scordate però tutte le altre iniziative!
Donazioni per il popolo di Haiti, aiuti alla popolazione dopo il terremoto
Caritas Italiana
- C/c postale n.347013, causale Emergenza terremoto Haiti, oppure tramite altri canali quali:
- Unicredit Banca di Roma Spa, via Taranto 49, Roma - Iban: It50 H030 0205 2060 0001 1063 119;
- Intesa Sanpaolo, via Aurelia 796, Roma - Iban: It19 W030 6905 0921 0000 0000 012;
- Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma - Iban: It29 U050 1803 2000 0000 0011 113;
- CartaSi e Diners telefonando a Caritas Italiana tel.06.66177001 (orario d'ufficio).
Croce Rossa Italiana
causale Pro emergenza Haiti, tramite:
- sms 48540 per donare 2 euro da numero "Wind" e "3";
- bonifico bancario causale "Pro emergenza Haiti" Iban: It66 - C010 0503 3820 0000 0218020;
- donazione online causale "Pro emergenza Haiti", www.cri.it; - numero verde tel.800.166.666. -
Unicef Italia:
- C/c postale n.745000, causale "Emergenza Haiti";
- C/c bancario Banca Popolare Etica, Iban: It51 R050 1803 2000 0000 0510 051;
- carta di credito online su www.unicef.it, oppure chiamando il numero verde 800.745.000;
- comitati locali Unicef in tutta Italia, www.unicef.it.
Medici Senza Frontiere
con carta di credito al numero verde 800.99.66.55 oppure lo 06.44.86.92.25;
- bonifico bancario Iban It58d0501803200000000115000;
- c.c. postale 87486007; - donazione on line sul sito www.medicisenzafrontiere.it.
La comunità internazionale si sta mobilitando per fare fronte all'emergenza. Al fine di evitare una dispersione degli aiuti, Mediafriends ha deciso di supportare l'iniziativa di AGIRE, l'Agenzia Italiana di Risposta alle Emergenze che raccoglie alcune tra le maggiori ONG presenti in Italia. E' possibile effettuare una donazione di 2 euro inviando un sms al 48541 da cellulari Tim e Vodafone o chiamando lo stesso numero da rete fissa Telecom Italia.
Inoltre si ricorda che la numerazione è attiva da oggi fino al 31 gennaio 2010. Altre modalità di donazione possibile: Donazioni con carta di credito al numero verde 800.132870. Versamento sul conto corrente postale n. 85593614, intestato ad AGIRE onlus, via Nizza 154, 00198 Roma, causale Emergenza Haiti. Bonifico bancario sul conto Bpm - IBAN IT47 U 05584 03208 000000005856, Causale: emergenza Haiti. Donazioni on line dal sito internet www.agire.it.
Un sms anche per la Croce Rossa
Per donare 2 euro alla Croce Rossa Italiana "Pro Emergenza Haiti" basta inviare un sms da numero 'Wind' e '3' al 48540. Il numero sara' attivo fino al 27 gennaio. I fondi saranno utilizzati per sostenere l'impegno umanitario della Croce Rossa Italiana sul territorio di Haiti, colpito dal terremoto.
Milano, comune e curia aprono un conto corrente
L'arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, e il sindaco di Milano Letizia Moratti, hanno unito le loro voci davanti alla tragedia del terremoto di Haiti per un appello comune per portare un aiuto a una delle popolazioni più povere del Pianeta ora colpite dal cataclisma. Sia il Comune sia la Curia hanno già versato 100mila euro, ciascuno: la diocesi nel conto corrente della Caritas Ambrosiana (IT16P0351201602000000000578), Palazzo Marino nel conto speciale Milano per Haiti, acceso presso Banca Intesa (IT94L0306901783100000000069).
Le Misericordie d'Italia hanno aperto una sottoscrizione
Sono pronti a partire per Haiti i Confratelli delle Misericordie d'Italia, la cui Confederazione nazionale ha aperto una sottoscrizione in favore delle popolazioni colpite. Le Misericordie Italiane hanno anche aperto una sottoscrizione in favore delle popolazioni colpite sul c/c 000005000036, MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, Firenze Agenzia 6, IBAN: IT 03 Y 01030 02806 000005000036; oppure sul CONTO CORRENTE POSTALE N 000021468509, Firenze Agenzia 29, IBAN: IT 67 Q 07601 02800 000021468509, entrambi intestati a "Confederazione Nazionale" con causale "PRO HAITI".
Torino, Sermig raccoglie generi di prima necessità
Il Sermig di Torino raccoglie generi di prima necessità per portare un primo aiuto alla popolazione di Haiti. "Stiamo allestendo un container - precisa il Servizio Missionario Giovani che fa capo ad Ernesto Olivero - che partirà per Port-au-Prince nei prossimi giorni. In particolare raccogliamo prodotti alimentari a lunga conservazione, prodotti igienici e disinfettanti". Per aiuti in denaro è stato predisposto dal Sermig un conto corrente postale (numero 29509106) intestato a Sermig, piazza Borgo Dora 61, 10152 Torino. La causale è "Terremoto Haiti".
Medici senza Frontiere lancia raccolta fondi straordinaria
Medici Senza Frontiere (MSF) lancia una raccolta fondi straordinaria per potere continuare a soccorrere le vittime del devastante terremoto che ha colpito Haiti. Per contribuire all'azione di soccorso di Msf a Haiti si può donare attraverso la carta di credito telefonando al numero verde 800.99.66.55 oppure allo 06.44.86.92.25; bonifico bancario IBAN IT58D0501803200000000115000; conto corrente postale 87486007 intestato a Medici Senza Frontiere onlus causale Terremoto Haiti; sul sito www.medicisenzafrontiere.it.
La caritas all'opera
È possibile donare il proprio contributo tramite: - donazione diretta presso l'Ufficio Raccolta Fondi in via San Bernardino, 4 a Milano (orari: dal lunedì al giovedì dalle ore 9.30 alle ore 12.30 e dalle ore 14.30 alle ore 17.30 e il venerdì dalle ore 9.30 alle ore 12.30) - conto corrente postale n. 13576228 intestato a Caritas Ambrosiana ONLUS - conto corrente bancario presso l'ag. 1 di Milano del Credito Artigiano e intestato a Caritas Ambrosiana ONLUS IBAN: IT16 P 03512 01602 000000000578 - tramite carte di credito: donazione telefonica chiamando il numero 02.76.037.324 in orari di ufficio (vedi sopra) donazione diretta: collegandosi al sito www.caritas.it. Causale delle offerte (detraibili fiscalmente): “Emergenza terremoto Haiti 2010”
Donazioni per il popolo di Haiti, aiuti alla popolazione dopo il terremoto
Caritas Italiana
- C/c postale n.347013, causale Emergenza terremoto Haiti, oppure tramite altri canali quali:
- Unicredit Banca di Roma Spa, via Taranto 49, Roma - Iban: It50 H030 0205 2060 0001 1063 119;
- Intesa Sanpaolo, via Aurelia 796, Roma - Iban: It19 W030 6905 0921 0000 0000 012;
- Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma - Iban: It29 U050 1803 2000 0000 0011 113;
- CartaSi e Diners telefonando a Caritas Italiana tel.06.66177001 (orario d'ufficio).
Croce Rossa Italiana
causale Pro emergenza Haiti, tramite:
- sms 48540 per donare 2 euro da numero "Wind" e "3";
- bonifico bancario causale "Pro emergenza Haiti" Iban: It66 - C010 0503 3820 0000 0218020;
- donazione online causale "Pro emergenza Haiti", www.cri.it; - numero verde tel.800.166.666. -
Unicef Italia:
- C/c postale n.745000, causale "Emergenza Haiti";
- C/c bancario Banca Popolare Etica, Iban: It51 R050 1803 2000 0000 0510 051;
- carta di credito online su www.unicef.it, oppure chiamando il numero verde 800.745.000;
- comitati locali Unicef in tutta Italia, www.unicef.it.
Medici Senza Frontiere
con carta di credito al numero verde 800.99.66.55 oppure lo 06.44.86.92.25;
- bonifico bancario Iban It58d0501803200000000115000;
- c.c. postale 87486007; - donazione on line sul sito www.medicisenzafrontiere.it.
La comunità internazionale si sta mobilitando per fare fronte all'emergenza. Al fine di evitare una dispersione degli aiuti, Mediafriends ha deciso di supportare l'iniziativa di AGIRE, l'Agenzia Italiana di Risposta alle Emergenze che raccoglie alcune tra le maggiori ONG presenti in Italia. E' possibile effettuare una donazione di 2 euro inviando un sms al 48541 da cellulari Tim e Vodafone o chiamando lo stesso numero da rete fissa Telecom Italia.
Inoltre si ricorda che la numerazione è attiva da oggi fino al 31 gennaio 2010. Altre modalità di donazione possibile: Donazioni con carta di credito al numero verde 800.132870. Versamento sul conto corrente postale n. 85593614, intestato ad AGIRE onlus, via Nizza 154, 00198 Roma, causale Emergenza Haiti. Bonifico bancario sul conto Bpm - IBAN IT47 U 05584 03208 000000005856, Causale: emergenza Haiti. Donazioni on line dal sito internet www.agire.it.
Un sms anche per la Croce Rossa
Per donare 2 euro alla Croce Rossa Italiana "Pro Emergenza Haiti" basta inviare un sms da numero 'Wind' e '3' al 48540. Il numero sara' attivo fino al 27 gennaio. I fondi saranno utilizzati per sostenere l'impegno umanitario della Croce Rossa Italiana sul territorio di Haiti, colpito dal terremoto.
Milano, comune e curia aprono un conto corrente
L'arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, e il sindaco di Milano Letizia Moratti, hanno unito le loro voci davanti alla tragedia del terremoto di Haiti per un appello comune per portare un aiuto a una delle popolazioni più povere del Pianeta ora colpite dal cataclisma. Sia il Comune sia la Curia hanno già versato 100mila euro, ciascuno: la diocesi nel conto corrente della Caritas Ambrosiana (IT16P0351201602000000000578), Palazzo Marino nel conto speciale Milano per Haiti, acceso presso Banca Intesa (IT94L0306901783100000000069).
Le Misericordie d'Italia hanno aperto una sottoscrizione
Sono pronti a partire per Haiti i Confratelli delle Misericordie d'Italia, la cui Confederazione nazionale ha aperto una sottoscrizione in favore delle popolazioni colpite. Le Misericordie Italiane hanno anche aperto una sottoscrizione in favore delle popolazioni colpite sul c/c 000005000036, MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, Firenze Agenzia 6, IBAN: IT 03 Y 01030 02806 000005000036; oppure sul CONTO CORRENTE POSTALE N 000021468509, Firenze Agenzia 29, IBAN: IT 67 Q 07601 02800 000021468509, entrambi intestati a "Confederazione Nazionale" con causale "PRO HAITI".
Torino, Sermig raccoglie generi di prima necessità
Il Sermig di Torino raccoglie generi di prima necessità per portare un primo aiuto alla popolazione di Haiti. "Stiamo allestendo un container - precisa il Servizio Missionario Giovani che fa capo ad Ernesto Olivero - che partirà per Port-au-Prince nei prossimi giorni. In particolare raccogliamo prodotti alimentari a lunga conservazione, prodotti igienici e disinfettanti". Per aiuti in denaro è stato predisposto dal Sermig un conto corrente postale (numero 29509106) intestato a Sermig, piazza Borgo Dora 61, 10152 Torino. La causale è "Terremoto Haiti".
Medici senza Frontiere lancia raccolta fondi straordinaria
Medici Senza Frontiere (MSF) lancia una raccolta fondi straordinaria per potere continuare a soccorrere le vittime del devastante terremoto che ha colpito Haiti. Per contribuire all'azione di soccorso di Msf a Haiti si può donare attraverso la carta di credito telefonando al numero verde 800.99.66.55 oppure allo 06.44.86.92.25; bonifico bancario IBAN IT58D0501803200000000115000; conto corrente postale 87486007 intestato a Medici Senza Frontiere onlus causale Terremoto Haiti; sul sito www.medicisenzafrontiere.it.
La caritas all'opera
È possibile donare il proprio contributo tramite: - donazione diretta presso l'Ufficio Raccolta Fondi in via San Bernardino, 4 a Milano (orari: dal lunedì al giovedì dalle ore 9.30 alle ore 12.30 e dalle ore 14.30 alle ore 17.30 e il venerdì dalle ore 9.30 alle ore 12.30) - conto corrente postale n. 13576228 intestato a Caritas Ambrosiana ONLUS - conto corrente bancario presso l'ag. 1 di Milano del Credito Artigiano e intestato a Caritas Ambrosiana ONLUS IBAN: IT16 P 03512 01602 000000000578 - tramite carte di credito: donazione telefonica chiamando il numero 02.76.037.324 in orari di ufficio (vedi sopra) donazione diretta: collegandosi al sito www.caritas.it. Causale delle offerte (detraibili fiscalmente): “Emergenza terremoto Haiti 2010”
13/01/10
La storia di me e Francesca.
Ho conosciuto Francesca attraverso un editore: lei faceva la valutatrice di testi, e - caso più unico che raro - ha scritto un breve commento su un libro che avevo proposto per la pubblicazione. Del mio romanzo, ha detto che era tutto sbagliato, ma che riscrivendolo completamente da capo sarebbe stato (forse) un tantino meno illegibile. In ogni caso - trattandosi di una storia di fantascienza - ogni speranza di pubblicazione con loro sarebbe stata da abbandonare a priori.
In qualche modo mi ha affascinato, Francesca: ho immaginato questa ragazza che leggeva il mio libro a letto, mentre la luna dalla finestra socchiusa sfiorava la sua pelle dorata lasciando intravedere, che so: una terza, una quarta o magari addirittura una quinta di reggiseno. E come potesse leggere al buio non ne ho idea. Ma così me l'immaginavo, e così avrei voluto incontrarla.
Mi dissi allora che dovevo conoscerla. Nell'aria c'era una sensazione strana, come se stesse nascendo qualcosa d'importante: non era solo un caso, se il mio impubblicabile libro ci aveva uniti. Era di sicuro destino.
Decisi di partecipare a un evento organizzato dall'editore per cui lavorava, sperando di incontrarla lì. Era la premiazione di un concorso, di quelli in cui mandi un racconto, e se vinci ti fanno la raccolta col racconto tuo insieme a quelli di altri 20 aspiranti scrittori che nemmeno conosci e che non leggeresti nemmeno morto. Quello che hai scritto tu, però, risalterà sicuramente nel gruppo.
Mi ritrovai insomma in una sala così stracolma di gente, che non riuscivo nemmeno a spostarmi di mezzo metro. Pareva che tutti gli scrittori di Roma avessero partecipato a quella selezione, o magari anche quelli delle zone limitrofe, e che si fossero portati appresso ogni singolo e altrimenti dimenticato parente. Ma a me non importava nulla di quegli autori e dei loro racconti, perché in fondo alla sala c'era la donna più meravigliosa che avessi mai visto:
Altissima. Dei capelli neri stupendi e luminosi, che le scendevano dietro alle spalle come il mantello di un'amazzone. Aveva un trucco leggero messo con mano d'artista, un vestito scuro che l'avvolgeva lasciando immaginare un po' tutto, e sotto dei tacchi a spillo da far girare la testa. Profumava di passera a 20 metri di distanza.
Dev'essere lei! Mi dissi, spingendomi avanti tra la folla. La gente era ammucchiata peggio che sotto al palco del Primo Maggio. Lo sapevo che era destino.
Con una naturalezza da lasciare sbalorditi, la donna più bella del mondo si accostò a un microfono che era sul palco, e iniziò a parlare.
«Benvenuti a tutti i nostri scrittori» disse, con un sorriso da svenire.
A quel punto il pubblico scoppiò in un boato, e mi sentii spingere da tutte le parti. Ma forse credo che comprimere sia una parola più adatta.O schiacciare, se non - ancora meglio - ridurre in poltiglia.
Dopo qualche altra parola di presentazione, la donna disse qualche ovvietà sulla scrittura e poi iniziò a declamare un elenco di vincitori scelti in seguito a un'accurata e severa selezione (non erano di fantascienza, immagino). E i presenti - famiglie e accompagnatori vari compresi - andarono in delirio.
Mi ritrovai intrappolato senza possibilità di fuga nella massa di scrittori romani. La mia futura sposa faceva l'appello come se fossimo in classe, e la gente si agitava e saltava e applaudiva come se avessero vinto il superenalotto. Ero sballottato di qua e di là, e non riuscivo più ad andare avanti.
«Pierpaolo Paolini, col racconto: il triste sospiro che c'è nel mio cuore di persona sola» disse il mio amore predestinato.
E via tutti di applausi, grida, e calci negli stinchi a me.
«Alberto Muoravia con: morte di un impiegato che ha fatto per 30 anni un lavoro che odiava ma che non ha avuto le palle di cercarsene un altro» continua la donna. E poi ancora «Luciano De Crescienzio col suo: racconto privo di stimoli».
Ma quanta gente aveva vinto quel cavolo di concorso? Non finivano mai. La mia fidanzata innamoratissima continuava a sciorinare nomi, e a ogni vincitore seguivano altre urla, altre ovazioni e un sacco di altre botte che non credevo di meritarmi. Iniziai a pensare che avessero vinto tutti. Quanta gente c'era lì dentro? Migliaia, milioni forse di scrittori emergenti in un'unica raccolta di infinite pagine, e tutti si erano portati appresso mogli, figli e passanti raccattati per strada, col solo scopo di darsi delle arie e calpestare a morte me, che non c'entravo niente.
Quando il panico stava ormai per portarmi via, grazie a Dio la premiazione giunse al termine.
«Grazie a tutti per avere partecipato» concluse la voce soave che pensavo già di conoscere da sempre. «Ci vediamo alla prossima antologia, tra sei giorni!»
Ultima ondata di urla scalmanate e poi, d'improvviso, la pressione sulle mie costole iniziò ad allentarsi. Piano piano gli scrittori presero a defluire lontano, forse per rintanarsi in qualche buio pertugio dove comporre altre storie pregevoli e degne di comparire in una nuova raccolta. E io - finalmente - riuscii a raggiungere il mio obiettivo e crollai di peso davanti a quella donna stupenda: avevo il fiatone, e il cuore mi batteva come una macchina mangiadocumenti (tanto per rimanere in tema editoriale). I miei occhi indugiarono per non più di qualche secondo sulla meritevole scollatura, e poi si tuffarono nei suoi: scuri, lucenti, tanto meravigliosi da perdercisi dentro.
«Sei Francesca?» gli domandai, felice solo a parlarle. Ora il destino si sarebbe compiuto: ci saremmo baciati con una passione ancora mai scoperta, poi me la sarei portata a casa, e...
Ma lei scosse la testa, rovinando un po' tutta la scena che m'ero figurato fino a quel momento.
«Veramente no» disse. «Francesca oggi non c'è. La trovi la settimana prossima, quando faremo una presentazione».
Lì per lì, per circa due o tre secondi, ci rimasi anche male. Non era la mia Francesca, era solo una tizia che stava lì. Un'altra, non lei. Poi per qualche ragione il mio cervello tornò sul pianeta Terra, e mi suggerì le seguenti parole: ma sticazzi di Francesca! Provaci con questa qua, che è pure bona.
«Io mi chiamo Simone» dissi allora. «È un po' che seguo la vostra casa editrice, per cui ho voluto partecipare a una delle vostre serate».
«Ah, bene. Ottimo!»
Lei pareva contenta. Sorrideva. I suoi occhi continuavano a farmi impazzire, e aveva un profumo buonissimo che mi faceva girare la testa. E pure quell'idea di portarmela a casa non era niente male.
«Io sono Veronica» mi disse lei, porgendomi la mano. Era morbida, liscia, delicata. «E sono la moglie dell'editore».
Ugh. Pensai io. Ma che razza di sfiga!
«Che è lui» concluse Veronica, indicando alla sua sinistra.
Mezzo metro dietro di lei, in qualche maniera mimetizzato sui gradini del palco, un tizio giovane e dall'aspetto elegante guardava nella nostra direzione. In particolare nella mia, direzione. E aveva - chissà perché - un aspetto vagamente infastidito.
«Piacere» gli dissi, facendo segno di ciao con la mano.
Poi mi rivolsi nuovamente a Veronica.
«Ora purtroppo però devo andare, che è tardi».
«Ciao» disse lei, tutto sommato divertita dalla palese evidenza di quello che era accaduto.
«Ciao» concluse il marito, sempre un po' sul poco socievole. E sempre chissà perché.
E sempre ancora di nuovo chissà perché, con quell'editore non pubblicai mai niente.
Rimase il fatto che ormai mi ero fatto i film in testa con questa cavolo di Francesca, e dovevo per forza conoscerla. Così la settimana seguente andai a quella benedetta presentazione, stavolta accompagnato da Massimo, un mio amico.
«Ma ci credo che la moglie dell'editore è una bona» fu il suo commento al mio racconto della serata precedente. «Che ti aspetti, invece, da quella che corregge le bozze?»
In effetti, ognuno frequenta i propri simili. E pure voi: che vi aspettavate da Massimo, dopo aver conosciuto me?
Alla presentazione c'era sempre una calca mostruosa. Stavolta però il locale era più grande: ci si poteva muovere con più facilità, e ritrovai subito Veronica.
«C'è Francesca?» le chiesi, assicurandomi che il marito non fosse nelle vicinanze. E lei, con un cenno di assenso, mi indicò un angolo della sala
In un cantuccio del locale, c'erano sei o sette ragazzi. Dovevano essere quelli che rivedevano i testi. Quelli che contattavano gli autori, e che scrivevano le schede di valutazione. Quelli che - tutto sommato - i libri se li leggevano davvero, e poi scrivevano pure i commenti a chi glieli aveva mandati.
Mi feci avanti, mentre il cuore iniziava a correre un po' troppo forte, e tra un ragazzotto ciccione e untarello, e un piccoletto vestito talmente male che pareva l'avessero appena picchiato - finalmente - la vidi. Era lei, la ragazza che aveva commentato il mio romanzo. La persona sulla quale avevo fatto tutti quei sogni. La donna del mio destino.
E, mannaggia alla porca miseria, era davvero un cesso inguardabile.
Stava lì in compagnia dei suoi amici goffi e trasandati. Credo che stessero discutendo di qualche filosofo morto impiccato, o forse dell'ultimo romanzo di qualche autore di uno stato sovietico ormai scomparso, e che conoscevano soltanto loro.
«Ciao» le dissi finalmente, fermandomi davanti al loro tavolo.
Francesca interruppe la conversazione per voltarsi verso di me. Aveva i capelli spenti, il viso di chi dorme poco, la pelle un po' pallida senza nemmeno un filo di trucco. Andai alla ricerca di un barlume di fascino nel suo sguardo, ma trovai soltanto un po' di disappunto per essere stata interrotta.
«Io sono Simone» spiegai. «Abbiamo parlato via posta elettronica. Tu hai fatto la critica di un mio libro, e io ti ho risposto».
A quel punto lei parve riaccendersi, e annuì con aria convinta.
«Mi ricordo di te. Mi sei rimasto impresso!»
«Davvero?»
«Ma certo» spiegò. «Di solito gli aspiranti scrittori sono convinti di aver scritto qualche capolavoro, e come qualcuno prova a criticarli si offendono a morte. Tu, invece, sei l'unico che ha risposto alla mia scheda di valutazione senza insultarmi».
«È vero!» confermai. «Io però penso che ognuno è libero di dirmi quello che pensa del mio lavoro. Poi magari non gli do retta, ma non è che me la prendo».
Appena terminata la frase, mi resi conto del mio gravissimo errore: ma che mi era venuto in mente? Avevo appena sottointeso che dei suoi stupidi consigli non poteva fregarmene una mazza. Ma se al mondo c'è qualcuno più permaloso degli scrittori emergenti, questi sono proprio i critici letterari! Infatti Francesca fece una mezza smorfia, e tornò a voltarsi verso il suo amico ciccione.
«Secondo me» gli disse, riprendendo la conversazione interrotta. «I vecchi film di Star Wars sono più comunicativi se visti in VHS, mentre la rimasterizzazione digitale in DVD finisce con lo snaturare l'idea originale del regista».
A quel punto, incrociai lo sguardo di Massimo.
«Non è andata» mi trasmise lui quasi telepaticamente, stringendosi nelle spalle. «Ma tanto era antipatica. E poi, soprattutto, era un cesso».
Così ci allontanammo dalla comitiva dei redattori, e restammo un po' in giro per il locale a seguire la presentazione e a bere qualcosa. Poi, quando stavamo già meditando di andarcene, presi la mia decisione.
«Comunque il numero provo a chiederglielo lo stesso» spiegai all'amico che stava con me. «Poi magari ci vado daccordo, e vedremo come vanno le cose».
Stavo proprio lì lì per partire come un treno, quando Massimo mi placcò saltandomi letteralmente addosso.
«Ma che cazzo fai?» disse, tirandomi via per le spalle. «Ma che sei scemo?»
«Non è così brutta, dài. E abbiamo un sacco di cose in comune».
«A Simo': quella non si può vedere, è davvero inguardabile. E poi è una rompicoglioni che parla solo di libri e che se la tira pure. Non hai visto?»
«Ma almeno ci posso provare!» mi lamentai, mentre lui mi trascinava fuori dal locale, fin dentro la macchina.
«Ma che vuoi provare? Tu non l'hai vista bene, oppure te sei rincoglionito».
E con quella frase il mio amico chiuse il discorso, ingranò la marcia e mi portò verso casa. Lontano dall'editore, lontano dal popolo degli scrittori emergenti, lontano dai lavoratori editoriali stanchi e sottopagati e - soprattutto - lontano da Francesca.
Adesso, quando ripenso a questa storia, mi dico che forse il destino esiste davvero, e che ho fatto male a non tornare a parlare con lei. Forse io e Francesca saremmo andati daccordissimo: uno scrittore e la sua assistente, pronti ad affrontare il mondo con la forza dell'amore e della critica letteraria.
Saremmo stati felici, noi due insieme. Forse. E invece ho dato retta a Massimo: sono scappato via, e ora tra me e lei non esiste altro che un vuoto incolmabile. Non riesco più neanche a immaginare il suo volto, o come fosse fatta fisicamente. E confesso che anche Francesca è un nome inventato, perché non ricordo più nemmeno come si chiamava.
Ma invece Veronica, stranamente, me la ricordo benissimo.
Simone
In qualche modo mi ha affascinato, Francesca: ho immaginato questa ragazza che leggeva il mio libro a letto, mentre la luna dalla finestra socchiusa sfiorava la sua pelle dorata lasciando intravedere, che so: una terza, una quarta o magari addirittura una quinta di reggiseno. E come potesse leggere al buio non ne ho idea. Ma così me l'immaginavo, e così avrei voluto incontrarla.
Mi dissi allora che dovevo conoscerla. Nell'aria c'era una sensazione strana, come se stesse nascendo qualcosa d'importante: non era solo un caso, se il mio impubblicabile libro ci aveva uniti. Era di sicuro destino.
Decisi di partecipare a un evento organizzato dall'editore per cui lavorava, sperando di incontrarla lì. Era la premiazione di un concorso, di quelli in cui mandi un racconto, e se vinci ti fanno la raccolta col racconto tuo insieme a quelli di altri 20 aspiranti scrittori che nemmeno conosci e che non leggeresti nemmeno morto. Quello che hai scritto tu, però, risalterà sicuramente nel gruppo.
Mi ritrovai insomma in una sala così stracolma di gente, che non riuscivo nemmeno a spostarmi di mezzo metro. Pareva che tutti gli scrittori di Roma avessero partecipato a quella selezione, o magari anche quelli delle zone limitrofe, e che si fossero portati appresso ogni singolo e altrimenti dimenticato parente. Ma a me non importava nulla di quegli autori e dei loro racconti, perché in fondo alla sala c'era la donna più meravigliosa che avessi mai visto:
Altissima. Dei capelli neri stupendi e luminosi, che le scendevano dietro alle spalle come il mantello di un'amazzone. Aveva un trucco leggero messo con mano d'artista, un vestito scuro che l'avvolgeva lasciando immaginare un po' tutto, e sotto dei tacchi a spillo da far girare la testa. Profumava di passera a 20 metri di distanza.
Dev'essere lei! Mi dissi, spingendomi avanti tra la folla. La gente era ammucchiata peggio che sotto al palco del Primo Maggio. Lo sapevo che era destino.
Con una naturalezza da lasciare sbalorditi, la donna più bella del mondo si accostò a un microfono che era sul palco, e iniziò a parlare.
«Benvenuti a tutti i nostri scrittori» disse, con un sorriso da svenire.
A quel punto il pubblico scoppiò in un boato, e mi sentii spingere da tutte le parti. Ma forse credo che comprimere sia una parola più adatta.O schiacciare, se non - ancora meglio - ridurre in poltiglia.
Dopo qualche altra parola di presentazione, la donna disse qualche ovvietà sulla scrittura e poi iniziò a declamare un elenco di vincitori scelti in seguito a un'accurata e severa selezione (non erano di fantascienza, immagino). E i presenti - famiglie e accompagnatori vari compresi - andarono in delirio.
Mi ritrovai intrappolato senza possibilità di fuga nella massa di scrittori romani. La mia futura sposa faceva l'appello come se fossimo in classe, e la gente si agitava e saltava e applaudiva come se avessero vinto il superenalotto. Ero sballottato di qua e di là, e non riuscivo più ad andare avanti.
«Pierpaolo Paolini, col racconto: il triste sospiro che c'è nel mio cuore di persona sola» disse il mio amore predestinato.
E via tutti di applausi, grida, e calci negli stinchi a me.
«Alberto Muoravia con: morte di un impiegato che ha fatto per 30 anni un lavoro che odiava ma che non ha avuto le palle di cercarsene un altro» continua la donna. E poi ancora «Luciano De Crescienzio col suo: racconto privo di stimoli».
Ma quanta gente aveva vinto quel cavolo di concorso? Non finivano mai. La mia fidanzata innamoratissima continuava a sciorinare nomi, e a ogni vincitore seguivano altre urla, altre ovazioni e un sacco di altre botte che non credevo di meritarmi. Iniziai a pensare che avessero vinto tutti. Quanta gente c'era lì dentro? Migliaia, milioni forse di scrittori emergenti in un'unica raccolta di infinite pagine, e tutti si erano portati appresso mogli, figli e passanti raccattati per strada, col solo scopo di darsi delle arie e calpestare a morte me, che non c'entravo niente.
Quando il panico stava ormai per portarmi via, grazie a Dio la premiazione giunse al termine.
«Grazie a tutti per avere partecipato» concluse la voce soave che pensavo già di conoscere da sempre. «Ci vediamo alla prossima antologia, tra sei giorni!»
Ultima ondata di urla scalmanate e poi, d'improvviso, la pressione sulle mie costole iniziò ad allentarsi. Piano piano gli scrittori presero a defluire lontano, forse per rintanarsi in qualche buio pertugio dove comporre altre storie pregevoli e degne di comparire in una nuova raccolta. E io - finalmente - riuscii a raggiungere il mio obiettivo e crollai di peso davanti a quella donna stupenda: avevo il fiatone, e il cuore mi batteva come una macchina mangiadocumenti (tanto per rimanere in tema editoriale). I miei occhi indugiarono per non più di qualche secondo sulla meritevole scollatura, e poi si tuffarono nei suoi: scuri, lucenti, tanto meravigliosi da perdercisi dentro.
«Sei Francesca?» gli domandai, felice solo a parlarle. Ora il destino si sarebbe compiuto: ci saremmo baciati con una passione ancora mai scoperta, poi me la sarei portata a casa, e...
Ma lei scosse la testa, rovinando un po' tutta la scena che m'ero figurato fino a quel momento.
«Veramente no» disse. «Francesca oggi non c'è. La trovi la settimana prossima, quando faremo una presentazione».
Lì per lì, per circa due o tre secondi, ci rimasi anche male. Non era la mia Francesca, era solo una tizia che stava lì. Un'altra, non lei. Poi per qualche ragione il mio cervello tornò sul pianeta Terra, e mi suggerì le seguenti parole: ma sticazzi di Francesca! Provaci con questa qua, che è pure bona.
«Io mi chiamo Simone» dissi allora. «È un po' che seguo la vostra casa editrice, per cui ho voluto partecipare a una delle vostre serate».
«Ah, bene. Ottimo!»
Lei pareva contenta. Sorrideva. I suoi occhi continuavano a farmi impazzire, e aveva un profumo buonissimo che mi faceva girare la testa. E pure quell'idea di portarmela a casa non era niente male.
«Io sono Veronica» mi disse lei, porgendomi la mano. Era morbida, liscia, delicata. «E sono la moglie dell'editore».
Ugh. Pensai io. Ma che razza di sfiga!
«Che è lui» concluse Veronica, indicando alla sua sinistra.
Mezzo metro dietro di lei, in qualche maniera mimetizzato sui gradini del palco, un tizio giovane e dall'aspetto elegante guardava nella nostra direzione. In particolare nella mia, direzione. E aveva - chissà perché - un aspetto vagamente infastidito.
«Piacere» gli dissi, facendo segno di ciao con la mano.
Poi mi rivolsi nuovamente a Veronica.
«Ora purtroppo però devo andare, che è tardi».
«Ciao» disse lei, tutto sommato divertita dalla palese evidenza di quello che era accaduto.
«Ciao» concluse il marito, sempre un po' sul poco socievole. E sempre chissà perché.
E sempre ancora di nuovo chissà perché, con quell'editore non pubblicai mai niente.
Rimase il fatto che ormai mi ero fatto i film in testa con questa cavolo di Francesca, e dovevo per forza conoscerla. Così la settimana seguente andai a quella benedetta presentazione, stavolta accompagnato da Massimo, un mio amico.
«Ma ci credo che la moglie dell'editore è una bona» fu il suo commento al mio racconto della serata precedente. «Che ti aspetti, invece, da quella che corregge le bozze?»
In effetti, ognuno frequenta i propri simili. E pure voi: che vi aspettavate da Massimo, dopo aver conosciuto me?
Alla presentazione c'era sempre una calca mostruosa. Stavolta però il locale era più grande: ci si poteva muovere con più facilità, e ritrovai subito Veronica.
«C'è Francesca?» le chiesi, assicurandomi che il marito non fosse nelle vicinanze. E lei, con un cenno di assenso, mi indicò un angolo della sala
In un cantuccio del locale, c'erano sei o sette ragazzi. Dovevano essere quelli che rivedevano i testi. Quelli che contattavano gli autori, e che scrivevano le schede di valutazione. Quelli che - tutto sommato - i libri se li leggevano davvero, e poi scrivevano pure i commenti a chi glieli aveva mandati.
Mi feci avanti, mentre il cuore iniziava a correre un po' troppo forte, e tra un ragazzotto ciccione e untarello, e un piccoletto vestito talmente male che pareva l'avessero appena picchiato - finalmente - la vidi. Era lei, la ragazza che aveva commentato il mio romanzo. La persona sulla quale avevo fatto tutti quei sogni. La donna del mio destino.
E, mannaggia alla porca miseria, era davvero un cesso inguardabile.
Stava lì in compagnia dei suoi amici goffi e trasandati. Credo che stessero discutendo di qualche filosofo morto impiccato, o forse dell'ultimo romanzo di qualche autore di uno stato sovietico ormai scomparso, e che conoscevano soltanto loro.
«Ciao» le dissi finalmente, fermandomi davanti al loro tavolo.
Francesca interruppe la conversazione per voltarsi verso di me. Aveva i capelli spenti, il viso di chi dorme poco, la pelle un po' pallida senza nemmeno un filo di trucco. Andai alla ricerca di un barlume di fascino nel suo sguardo, ma trovai soltanto un po' di disappunto per essere stata interrotta.
«Io sono Simone» spiegai. «Abbiamo parlato via posta elettronica. Tu hai fatto la critica di un mio libro, e io ti ho risposto».
A quel punto lei parve riaccendersi, e annuì con aria convinta.
«Mi ricordo di te. Mi sei rimasto impresso!»
«Davvero?»
«Ma certo» spiegò. «Di solito gli aspiranti scrittori sono convinti di aver scritto qualche capolavoro, e come qualcuno prova a criticarli si offendono a morte. Tu, invece, sei l'unico che ha risposto alla mia scheda di valutazione senza insultarmi».
«È vero!» confermai. «Io però penso che ognuno è libero di dirmi quello che pensa del mio lavoro. Poi magari non gli do retta, ma non è che me la prendo».
Appena terminata la frase, mi resi conto del mio gravissimo errore: ma che mi era venuto in mente? Avevo appena sottointeso che dei suoi stupidi consigli non poteva fregarmene una mazza. Ma se al mondo c'è qualcuno più permaloso degli scrittori emergenti, questi sono proprio i critici letterari! Infatti Francesca fece una mezza smorfia, e tornò a voltarsi verso il suo amico ciccione.
«Secondo me» gli disse, riprendendo la conversazione interrotta. «I vecchi film di Star Wars sono più comunicativi se visti in VHS, mentre la rimasterizzazione digitale in DVD finisce con lo snaturare l'idea originale del regista».
A quel punto, incrociai lo sguardo di Massimo.
«Non è andata» mi trasmise lui quasi telepaticamente, stringendosi nelle spalle. «Ma tanto era antipatica. E poi, soprattutto, era un cesso».
Così ci allontanammo dalla comitiva dei redattori, e restammo un po' in giro per il locale a seguire la presentazione e a bere qualcosa. Poi, quando stavamo già meditando di andarcene, presi la mia decisione.
«Comunque il numero provo a chiederglielo lo stesso» spiegai all'amico che stava con me. «Poi magari ci vado daccordo, e vedremo come vanno le cose».
Stavo proprio lì lì per partire come un treno, quando Massimo mi placcò saltandomi letteralmente addosso.
«Ma che cazzo fai?» disse, tirandomi via per le spalle. «Ma che sei scemo?»
«Non è così brutta, dài. E abbiamo un sacco di cose in comune».
«A Simo': quella non si può vedere, è davvero inguardabile. E poi è una rompicoglioni che parla solo di libri e che se la tira pure. Non hai visto?»
«Ma almeno ci posso provare!» mi lamentai, mentre lui mi trascinava fuori dal locale, fin dentro la macchina.
«Ma che vuoi provare? Tu non l'hai vista bene, oppure te sei rincoglionito».
E con quella frase il mio amico chiuse il discorso, ingranò la marcia e mi portò verso casa. Lontano dall'editore, lontano dal popolo degli scrittori emergenti, lontano dai lavoratori editoriali stanchi e sottopagati e - soprattutto - lontano da Francesca.
Adesso, quando ripenso a questa storia, mi dico che forse il destino esiste davvero, e che ho fatto male a non tornare a parlare con lei. Forse io e Francesca saremmo andati daccordissimo: uno scrittore e la sua assistente, pronti ad affrontare il mondo con la forza dell'amore e della critica letteraria.
Saremmo stati felici, noi due insieme. Forse. E invece ho dato retta a Massimo: sono scappato via, e ora tra me e lei non esiste altro che un vuoto incolmabile. Non riesco più neanche a immaginare il suo volto, o come fosse fatta fisicamente. E confesso che anche Francesca è un nome inventato, perché non ricordo più nemmeno come si chiamava.
Ma invece Veronica, stranamente, me la ricordo benissimo.
Simone
09/01/10
Una specie di musica.
Se prendete un libro di Anatomia, e leggete la descrizione di una qualsiasi cellula a caso, troverete scritto vita, morte e miracoli del più piccolo organello citoplasmatico in essa contenuto.
Adesso magari il dettaglio non sarà proprio così assoluto e privo di dubbi e incertezze, ma - bene o male - come è fatto lessere umano in sé l'abbiamo quasi non dico tanto capito, ma per lo meno osservato a dovere.
Su ogni libro di Fisiologia, invece, vi spiegheranno a livello effettivamente microscopico come il singolo ione di Sodio, Potassio o Calcio possa legarsi a dei recettori cellulari (roba grande magari pochi nanometri) per modificare la pressione arteriosa o l'andamento del battito cardiaco.
Parliamo insomma di una conoscenza scientifica quasi assoluta, in cui niente - o quasi - di quello che avviene nel corpo umano rimane ancora da scoprire.
Se invece torniamo ad aprire il solito libro di Anatomia, ma questa volta nella parte del sistema nervoso, ci troveremo di fronte a una descrizione del genere: l'area sensitiva primaria (stiamo parlando del cervello, almeno per quello che c'ho capito io) tramuta in sensazioni coscienti gli impulsi della sensibilità generale. Punto.
Ed ecco, voglio dire: ma non sembra un po' poco anche a voi? Fino a poco fa ci hanno spiegato tutto, atomo per atomo, e adesso? Gli impulsi sensoriali arrivano al cervello. E il cervello li tramuta in sensazioni coscienti così, senza accennare neanche minimamente e alla lontana cosa succede davvero.
E pensare che, in fin dei conti, quello che più viene ignorato è per certi versi l'aspetto più importante di tutti: gli esseri viventi potrebbero benissimo funzionare come degli automi, e vivere, morire e riprodursi tranquillamente e senza tante storie obbedendo alle 4 o 5 leggi fisiche che governano tutto quanto. Invece però c'è questa storia strana, la coscienza, che come lo spettatore in un cinema si rende conto di tutto quello che sta succedendo al proprio corpo.
La differenza tra un uomo e una macchina è proprio questa, no? Potrei costruire un pupazzo identico a me, programmarlo per scrivere cazzate su un blog e poi distruggerlo, magari schiacciandolo sotto i libri che ho abbandonato a metà. E insomma il pupazzo non è che soffrirebbe davvero: sarebbe come buttare un cellulare, rottamare la macchina o interrompere un film che ci sta annoiando.
Invece c'è di mezzo questa roba del rendersi conto, della coscienza, che cambia tutto e della quale però non sappiamo quasi nulla. Come fa un impulso nervoso, un segnale elettrico portato da un mucchietto di ioni, a diventare un sentimento? Se potessi spiegarvelo, allora forse sì che scriverei qualcosa d'ìnteressante davvero.
Se non fossimo coscienti di noi stessi, agendo insomma come gli automi di cui parlavo poco sopra, faremmo in ogni caso tutte le stesse cose e staremmo anche qui a ripetere lo stesso, identico, esatto discorso. Soltanto che non ce ne renderemmo conto.
E io a questa cosa c'ho pensato davvero, mentre studiavo Anatomia. E, chissà come, m'è venuta in mente la musica: anche la musica infatti la gente la scrive, la vende, la compra e l'ascolta. Ma a cosa serve? La nostra vita andrebbe avanti anche senza. La musica è solo una cosa in più, che non serve a niente. Eppure esiste, e quando l'ascolti sembra tutto un po' diverso.
Purtroppo, adesso non riesco a trovare una conclusione degna di queste premesse. Forse perché, in effetti, c'è davvero poco da dire: la nostra esistenza, quello che proviamo nell'essere vivi, paragonata a una specie di musica. E la sensazione che un ragionamento tanto strano abbia colto, alla lontana, qualcosa di molto più difficile da definire.
Che poi non serviva a niente nemmeno questo, immagino. Eppure, in qualche modo, scriverne mi ha fatto piacere.
Simone
Adesso magari il dettaglio non sarà proprio così assoluto e privo di dubbi e incertezze, ma - bene o male - come è fatto lessere umano in sé l'abbiamo quasi non dico tanto capito, ma per lo meno osservato a dovere.
Su ogni libro di Fisiologia, invece, vi spiegheranno a livello effettivamente microscopico come il singolo ione di Sodio, Potassio o Calcio possa legarsi a dei recettori cellulari (roba grande magari pochi nanometri) per modificare la pressione arteriosa o l'andamento del battito cardiaco.
Parliamo insomma di una conoscenza scientifica quasi assoluta, in cui niente - o quasi - di quello che avviene nel corpo umano rimane ancora da scoprire.
Se invece torniamo ad aprire il solito libro di Anatomia, ma questa volta nella parte del sistema nervoso, ci troveremo di fronte a una descrizione del genere: l'area sensitiva primaria (stiamo parlando del cervello, almeno per quello che c'ho capito io) tramuta in sensazioni coscienti gli impulsi della sensibilità generale. Punto.
Ed ecco, voglio dire: ma non sembra un po' poco anche a voi? Fino a poco fa ci hanno spiegato tutto, atomo per atomo, e adesso? Gli impulsi sensoriali arrivano al cervello. E il cervello li tramuta in sensazioni coscienti così, senza accennare neanche minimamente e alla lontana cosa succede davvero.
E pensare che, in fin dei conti, quello che più viene ignorato è per certi versi l'aspetto più importante di tutti: gli esseri viventi potrebbero benissimo funzionare come degli automi, e vivere, morire e riprodursi tranquillamente e senza tante storie obbedendo alle 4 o 5 leggi fisiche che governano tutto quanto. Invece però c'è questa storia strana, la coscienza, che come lo spettatore in un cinema si rende conto di tutto quello che sta succedendo al proprio corpo.
La differenza tra un uomo e una macchina è proprio questa, no? Potrei costruire un pupazzo identico a me, programmarlo per scrivere cazzate su un blog e poi distruggerlo, magari schiacciandolo sotto i libri che ho abbandonato a metà. E insomma il pupazzo non è che soffrirebbe davvero: sarebbe come buttare un cellulare, rottamare la macchina o interrompere un film che ci sta annoiando.
Invece c'è di mezzo questa roba del rendersi conto, della coscienza, che cambia tutto e della quale però non sappiamo quasi nulla. Come fa un impulso nervoso, un segnale elettrico portato da un mucchietto di ioni, a diventare un sentimento? Se potessi spiegarvelo, allora forse sì che scriverei qualcosa d'ìnteressante davvero.
Se non fossimo coscienti di noi stessi, agendo insomma come gli automi di cui parlavo poco sopra, faremmo in ogni caso tutte le stesse cose e staremmo anche qui a ripetere lo stesso, identico, esatto discorso. Soltanto che non ce ne renderemmo conto.
E io a questa cosa c'ho pensato davvero, mentre studiavo Anatomia. E, chissà come, m'è venuta in mente la musica: anche la musica infatti la gente la scrive, la vende, la compra e l'ascolta. Ma a cosa serve? La nostra vita andrebbe avanti anche senza. La musica è solo una cosa in più, che non serve a niente. Eppure esiste, e quando l'ascolti sembra tutto un po' diverso.
Purtroppo, adesso non riesco a trovare una conclusione degna di queste premesse. Forse perché, in effetti, c'è davvero poco da dire: la nostra esistenza, quello che proviamo nell'essere vivi, paragonata a una specie di musica. E la sensazione che un ragionamento tanto strano abbia colto, alla lontana, qualcosa di molto più difficile da definire.
Che poi non serviva a niente nemmeno questo, immagino. Eppure, in qualche modo, scriverne mi ha fatto piacere.
Simone
07/01/10
Grazie a Dio: il tablet PC... lo ha fatto prima la Microsoft!
Ora posso finalmente dire che è una boiata inutile senza rischiare il linciaggio da parte di quelli che se invece era Apple allora invece era figo. Ma a che minchia serve un PC senza tastiera e senza un cazzo? Sembra un Iphone troppo grosso che manco ci puoi telefonare. E poi se costa meno di 600 euro è un miracolo: ma ogni stronzata che si inventano qualcuno va lì e li riempie di soldi? Ma alla microsoft facessero qualcosa di utile, tipo il mouse che non s'intasa di polvere (fatto, è quello con la lucina al posto della pallina) la tastiera che si pulisce senza diventare pazzi, e un hard disk che non fa BRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR per 10 minuti dopo che ho acceso il PC.
Aaaaah: il tablet PC può emulare una cornice, così puoi metterci le copertine dei tuoi libri preferiti e pensare che sei trendy.
Allora me lo compro subito, appena esce!
Simone
06/01/10
Come fare innamorare un vampiro.
Se amate i vampiri, se siete alla ricerca di un'anima gemella dai teneri canini appuntiti, se bramate la passione vampiresca, se sognate dolci baci e morbide carezze dal tenebroso signore della notte e se il sesso con i non morti sexy e affascinanti vi attira come tutte le altre chiavi di ricerca che ho inzeppato in questo articolo... be': qui c'è proprio quello che cercate.
Come fare innamorare un vampiro.
- Ricordatevi che i vampiri adorano il sangue! Per cui non sprecate tempo, soldi e possibilità coi semplici cosmetici. Procuratevi piuttosto una lieve epistassi (sarebbe il sangue che esce dal naso) e poi, quando entrate nel carro funebre con cui il vostro amato principe della notte è venuto a prendervi, soffiatevi il naso imbrattandogli tutto il parabrezza.
- Analogamente, usate il vostro epilady (ipotizzando che siate una donna) per farvi la barba (ipotizzando che non vi cresca realmente). Comunque funziona pure se entrambe le mie ipotesi sono sbagliate.
- Fatevi crescere le tette con un mistico rituale transilvano, o con la classica operazione di chirurgia estetica. I vampiri, in fondo, ragionano come tutti gli altri maschi.
- Sempre come per tutti gli altri maschi, cercate di parlare il meno possibile e di fare domande poco complicate. A meno che il vampiro che vi piace non sia gay. In quest'ultimo caso farete dei discorsi interessantissimi, ma temo che otterrete poco.
- Strappatevi via con ardore le pellicine delle unghie, e poi fategli delle tenere carezze sanguinolente.
- Quando siete a letto, proponetegli qualche gioco con un paletto di legno vibrante: i vampiri li adorano.
- Se dopo che ha ottenuto quello che voleva pretende di tornarsene a dormire a casa sua e che non gli scassiate le palle almeno per un paio di giorni, ditegli che fuori sta già albeggiando e che è più sicuro rimanere a parlare del significato dell'amore fino alla notte successiva. Da notate che alcuni vampiri - stranamente - preferiscono lasciarsi ardere sotto il sole.
- Compratevi l'Xbox col gioco del calcio, Tekken, la Wii con Wii sports e Guitar Hero con la chitarra e la batteria, e a quel punto vorrà sempre stare a casa vostra. Il problema è che si porterà appresso un sacco di amici veramente sfigati... ma che magari potrebbero essere dei vampiri anche loro, e innamorarsi di voi.
- Sempre nell'ottica di tenervelo appiccicato vita natural durante, appendete dell'aglio dentro la porta di casa.
- Regalategli il cofanetto di Saw, la raccolta di Brain Dead, Reanimator, The Dentist e altri film splatter sanguinolenti: i vampiri adorano guardare cose romantiche abbracciati sul divano, e capiranno subito quali sono i vostri reali sentimenti.
E infine, se proprio tutto dovesse fallire e vi sembrasse anzi che la serata col vostro amato vampiro fusto affascinante sexy e pronto ad amarvi così tanto da rischiare di uccidervi soffocandovi di passione stia per terminare con lui che si trasforma in pipistrello e vola via mandandovi a morire ammazzata, l'ultimo consiglio che posso darvi è il seguente:
- Dategliela al primo appuntamento. Così, probabilmente, prima o poi vi cercherà di nuovo.
Peccato solo che penserà che siate una zoccola.
Simone
P.S.
L'autore di questo utile vademecum tiene a precisare che, pur non avendo mai letto nemmeno un romanzo sui vampiri - e non avendo nemmeno intenzione di farlo - (ma ne ho letto uno coi licantropi) non era assolutamente sua intenzione criticare tale genere letterario. A dire la sincera verità, vorrebbe anzi essere capace di scriverne uno uguale e identico o anche un tantino peggio ma comunque almeno di livello passabile, così da comunicare ancora una volta al mondo intero la necessità di più amore, più vampiri, e soprattutto più libri di Navarra sugli scaffali delle librerie.
Come fare innamorare un vampiro.
- Ricordatevi che i vampiri adorano il sangue! Per cui non sprecate tempo, soldi e possibilità coi semplici cosmetici. Procuratevi piuttosto una lieve epistassi (sarebbe il sangue che esce dal naso) e poi, quando entrate nel carro funebre con cui il vostro amato principe della notte è venuto a prendervi, soffiatevi il naso imbrattandogli tutto il parabrezza.
- Analogamente, usate il vostro epilady (ipotizzando che siate una donna) per farvi la barba (ipotizzando che non vi cresca realmente). Comunque funziona pure se entrambe le mie ipotesi sono sbagliate.
- Fatevi crescere le tette con un mistico rituale transilvano, o con la classica operazione di chirurgia estetica. I vampiri, in fondo, ragionano come tutti gli altri maschi.
- Sempre come per tutti gli altri maschi, cercate di parlare il meno possibile e di fare domande poco complicate. A meno che il vampiro che vi piace non sia gay. In quest'ultimo caso farete dei discorsi interessantissimi, ma temo che otterrete poco.
- Strappatevi via con ardore le pellicine delle unghie, e poi fategli delle tenere carezze sanguinolente.
- Quando siete a letto, proponetegli qualche gioco con un paletto di legno vibrante: i vampiri li adorano.
- Se dopo che ha ottenuto quello che voleva pretende di tornarsene a dormire a casa sua e che non gli scassiate le palle almeno per un paio di giorni, ditegli che fuori sta già albeggiando e che è più sicuro rimanere a parlare del significato dell'amore fino alla notte successiva. Da notate che alcuni vampiri - stranamente - preferiscono lasciarsi ardere sotto il sole.
- Compratevi l'Xbox col gioco del calcio, Tekken, la Wii con Wii sports e Guitar Hero con la chitarra e la batteria, e a quel punto vorrà sempre stare a casa vostra. Il problema è che si porterà appresso un sacco di amici veramente sfigati... ma che magari potrebbero essere dei vampiri anche loro, e innamorarsi di voi.
- Sempre nell'ottica di tenervelo appiccicato vita natural durante, appendete dell'aglio dentro la porta di casa.
- Regalategli il cofanetto di Saw, la raccolta di Brain Dead, Reanimator, The Dentist e altri film splatter sanguinolenti: i vampiri adorano guardare cose romantiche abbracciati sul divano, e capiranno subito quali sono i vostri reali sentimenti.
E infine, se proprio tutto dovesse fallire e vi sembrasse anzi che la serata col vostro amato vampiro fusto affascinante sexy e pronto ad amarvi così tanto da rischiare di uccidervi soffocandovi di passione stia per terminare con lui che si trasforma in pipistrello e vola via mandandovi a morire ammazzata, l'ultimo consiglio che posso darvi è il seguente:
- Dategliela al primo appuntamento. Così, probabilmente, prima o poi vi cercherà di nuovo.
Peccato solo che penserà che siate una zoccola.
Simone
P.S.
L'autore di questo utile vademecum tiene a precisare che, pur non avendo mai letto nemmeno un romanzo sui vampiri - e non avendo nemmeno intenzione di farlo - (ma ne ho letto uno coi licantropi) non era assolutamente sua intenzione criticare tale genere letterario. A dire la sincera verità, vorrebbe anzi essere capace di scriverne uno uguale e identico o anche un tantino peggio ma comunque almeno di livello passabile, così da comunicare ancora una volta al mondo intero la necessità di più amore, più vampiri, e soprattutto più libri di Navarra sugli scaffali delle librerie.
04/01/10
La vita nuova.
Sono arrivati alle sette di mattina, e si sono portati via tutto: l'angolo di tavolino accanto alla piantana, dove studiavo. La finestra da dove mi affacciavo per fumare. Il paesaggio con la strada, le case, e più lontano il parco dove andavo a correre.
In quattro e quattr'otto hanno inscatolato tutte le mie cose. Poi - non so davvero come - in qualche modo si sono incollati tutti i mobili, e li hanno portati giù per quattro piani di scale, che in ascensore c'entravano col cavolo. Io, al posto loro, sarei morto.
E verso l'ora di pranzo, eccomi qua. Troppo più bella, più grande, più luminosa, coi mobili vecchi da una parte ma anche un sacco di bei mobili nuovi appena sballati. La mia bellissima casa nuova.
La giornata la passo tra scatolame, foto da riordinare, tappeti che si sono trascinati appresso più polvere di quello che temevo e computer e videogiochi da riportare in vita nel nuovo ambiente. Insomma, per un bel po' non mi fermo a riflettere nemmeno un minuto, ma poi arriva la sera.
D'improvviso prende tutto un altro sapore: il bagno ha un difetto, la cucina è un po' piccola. La TV dove l'ho messa è l'unico posto, ma se non sto attento ci sbatte la finestra. E poi senti che casino che fa il riscaldamento: ma devo sentirlo anche tutta la notte? Sono sicuro che non mi abituerò mai.
Di punto in bianco mi manca la casetta dove stavo prima. Lì era tutto raffazzonato alla meno peggio, ma ormai c'avevo fatto l'abitudine. D'inverno si gelava un po', ma con una coperta in più avevo risolto, e se anche d'estate c'era un caldo tremendo, alla fine ero sopravvissuto. Certo che qui c'è il terrazzo, ma fumare dalla finestra era un'altra cosa. Era più intimo, mentre qui è tutto gigantesco e mi fa un po' paura.
Il vicino fa un po' di rumore, e mi viene il terrore che faccia così 24 ore su 24. Staremo mica tutto il tempo a litigare?
La notte quasi non chiudo occhio: ma chi me lo ha fatto fare? Io qui non mi abituerò mai, stavo meglio prima. Poi il giorno dopo sono stordito e di cattivo umore. Sono in pieno stress post-traumatico, o qualcosa del genere. Vorrei tornare a casa mia, quella vecchia, quella vera. Chiudermi dentro e sentirmi al sicuro. Ma la mia casetta non esiste più, e la tranquillità è un ricordo del passato. Alla fine mi dico: ci resto un po', e poi vedo. Male che vada, trasloco di nuovo.
Passa qualche giorno. L'entusiasmo degli amici che invito mi fa pensare che loro non vedano i difetti. Poi torna un po' di ottimismo, e mi chiedo se magari non ho drammatizzato un po'. Ma le notti sono sempre lente, e tristi, e io ancora mi sento spaesato e a disagio.
Cerco un po' online, e scopro che il trasloco è la terza causa di depressione dopo la morte di un parente caro e lo studio della Meccanica Razionale. Insomma forse è tutto solo tremendamente normale, e io come sempre sto qui a farci un film. Dicono che magari non è la casa il vero problema, ma la paura del cambiamento, e la cosa non suona nemmeno poi troppo assurda.
La sera ho un turno in ambulanza, e rivedo un'umanità che non ha le fortune che ho io. Poi torno a casa, e guardandomi intorno mi chiedo quanto cavolo posso essere idiota per lamentarmi. In fin dei conti di freddo non muoio di certo. Ho il frigo pieno di roba, e sotto al pavimento non credo che ci sia nemmeno una mina antiuomo
Quella notte dormo molto meglio e la mattina, prima di andare in ufficio, faccio un salto al bar. Bevendo un caffè, mi rendo conto che non percorrerò più la vecchia strada che ho fatto per anni, quando arrivavo dalla casa vecchia. Quel caffé e quel breve tragitto diventeranno la mia routine, la mia nuova quotidianità, insieme a chissà quante altre cose che prima non avevo mai incontrato.
Torno fuori, e il freddo mi pizzica la faccia mentre mi guardo intorno. Alla fine la zona è sempre quella dove vivevo anche prima, e vedo la solita strada con i soliti negozi. Però mi sembra tutto un po' diverso e un po' nuovo, come se lo stessi vedendo da una nuova angolazione. Anche la sensazione che ho provato in questi ultimi giorni, mi sembra cambiata.
E - tutto sommato - devo dire che non è niente male.
Simone
In quattro e quattr'otto hanno inscatolato tutte le mie cose. Poi - non so davvero come - in qualche modo si sono incollati tutti i mobili, e li hanno portati giù per quattro piani di scale, che in ascensore c'entravano col cavolo. Io, al posto loro, sarei morto.
E verso l'ora di pranzo, eccomi qua. Troppo più bella, più grande, più luminosa, coi mobili vecchi da una parte ma anche un sacco di bei mobili nuovi appena sballati. La mia bellissima casa nuova.
La giornata la passo tra scatolame, foto da riordinare, tappeti che si sono trascinati appresso più polvere di quello che temevo e computer e videogiochi da riportare in vita nel nuovo ambiente. Insomma, per un bel po' non mi fermo a riflettere nemmeno un minuto, ma poi arriva la sera.
D'improvviso prende tutto un altro sapore: il bagno ha un difetto, la cucina è un po' piccola. La TV dove l'ho messa è l'unico posto, ma se non sto attento ci sbatte la finestra. E poi senti che casino che fa il riscaldamento: ma devo sentirlo anche tutta la notte? Sono sicuro che non mi abituerò mai.
Di punto in bianco mi manca la casetta dove stavo prima. Lì era tutto raffazzonato alla meno peggio, ma ormai c'avevo fatto l'abitudine. D'inverno si gelava un po', ma con una coperta in più avevo risolto, e se anche d'estate c'era un caldo tremendo, alla fine ero sopravvissuto. Certo che qui c'è il terrazzo, ma fumare dalla finestra era un'altra cosa. Era più intimo, mentre qui è tutto gigantesco e mi fa un po' paura.
Il vicino fa un po' di rumore, e mi viene il terrore che faccia così 24 ore su 24. Staremo mica tutto il tempo a litigare?
La notte quasi non chiudo occhio: ma chi me lo ha fatto fare? Io qui non mi abituerò mai, stavo meglio prima. Poi il giorno dopo sono stordito e di cattivo umore. Sono in pieno stress post-traumatico, o qualcosa del genere. Vorrei tornare a casa mia, quella vecchia, quella vera. Chiudermi dentro e sentirmi al sicuro. Ma la mia casetta non esiste più, e la tranquillità è un ricordo del passato. Alla fine mi dico: ci resto un po', e poi vedo. Male che vada, trasloco di nuovo.
Passa qualche giorno. L'entusiasmo degli amici che invito mi fa pensare che loro non vedano i difetti. Poi torna un po' di ottimismo, e mi chiedo se magari non ho drammatizzato un po'. Ma le notti sono sempre lente, e tristi, e io ancora mi sento spaesato e a disagio.
Cerco un po' online, e scopro che il trasloco è la terza causa di depressione dopo la morte di un parente caro e lo studio della Meccanica Razionale. Insomma forse è tutto solo tremendamente normale, e io come sempre sto qui a farci un film. Dicono che magari non è la casa il vero problema, ma la paura del cambiamento, e la cosa non suona nemmeno poi troppo assurda.
La sera ho un turno in ambulanza, e rivedo un'umanità che non ha le fortune che ho io. Poi torno a casa, e guardandomi intorno mi chiedo quanto cavolo posso essere idiota per lamentarmi. In fin dei conti di freddo non muoio di certo. Ho il frigo pieno di roba, e sotto al pavimento non credo che ci sia nemmeno una mina antiuomo
Quella notte dormo molto meglio e la mattina, prima di andare in ufficio, faccio un salto al bar. Bevendo un caffè, mi rendo conto che non percorrerò più la vecchia strada che ho fatto per anni, quando arrivavo dalla casa vecchia. Quel caffé e quel breve tragitto diventeranno la mia routine, la mia nuova quotidianità, insieme a chissà quante altre cose che prima non avevo mai incontrato.
Torno fuori, e il freddo mi pizzica la faccia mentre mi guardo intorno. Alla fine la zona è sempre quella dove vivevo anche prima, e vedo la solita strada con i soliti negozi. Però mi sembra tutto un po' diverso e un po' nuovo, come se lo stessi vedendo da una nuova angolazione. Anche la sensazione che ho provato in questi ultimi giorni, mi sembra cambiata.
E - tutto sommato - devo dire che non è niente male.
Simone
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