Mi è recentemente capitato di assistere a un seminario sulle reti neurali.
Di queste cose se ne parlava già 15 anni fa, quando studiavo Ingegneria. Io seguivo corsi su grafi, matrici e calcoli strutturali, e non ricordo bene in quale occasione qualcuno mi ha detto qualche parola su questi nuovi sistemi (per l'epoca) in grado di apprendere in maniera autonoma, sviluppati sulla base delle più moderne teorie sul funzionamento del nostro sistema nervoso.
E insomma di queste cose si parlava ma io non ne sapevo niente, finché durante questo secondo anno di Medicina ecco che mi fanno vedere qualche applicazione, sviluppata da due ricercatori che lavorano in non so quale dipartimento della mia università.
Si tratta di una serie di simulazioni realizzate al computer: per prima cosa ci vengono mostrati dei micro-organismi - rappresentati con dei puntini grigi che si muovono sullo schermo - che devono imparare ad acchiappare delle palline verdi, che rappresenterebbero invece il loro cibo. Io m'immagino una specie di Pac-Man che corre dietro a un panino al prosciutto, o che insegue un piatto di carbonara: cose che capitano quando le lezioni si tengono dopo mezzogiorno.
All'inizio i puntini grigi si muovono a casaccio. La maggior parte di loro non becca nemmeno un pallino verde, e finisce per restare a digiuno. Passa il tempo, e i puntini hanno imparato a correre dietro alla roba da mangiare, finché dopo un po' sono bravissimi a farlo e non rischiano più di rimanere a stomaco vuoto. E ok: fino qui, è tutto davvero molto elementare, e tutto sommato tra Pac-Man e un animale più complesso c'è una bella differenza. Credo.
Altra simulazione: una specie di omino (si vedono solo testa e occhi) deve imparare a guardare nel punto in cui compare il pallino verde di prima, anche se questa volta non si mangia ma si vede e basta. Immaginatevi una tettona che apre la finestra in un palazzo di 20 piani, e voi avete solo un istante per riuscire a guardarla prima che la richiuda. Per le donne, pensate a una di quelle foto che vi scambiate su Facebook col tizio mezzo nudo vestito da Babbo Natale, e voi che commentate: ecco cosa voglio per regalo quest'anno.
E insomma il programma parte, e all'inizio vediamo che l'omino punta lo sguardo a casaccio, senza alcuna idea precisa su cosa fare. Dopo un po', gli occhi e la testa iniziano a muoversi sempre più correttamente verso l'oggetto da osservare, finché a un certo punto non c'è più alcun margine d'errore e la tettona/modello sexy non fanno mai in tempo a richiudere la finestra dopo essersi accorti che fuori era pieno di guardoni con gli occhi di fuori.
Terzo e ultimo esempio: i nostri puntini grigi vengono messi in una specie di labirinto. Dietro alcune porte troveranno un premio (il panino col prosciutto di prima) mentre dietro ad altre si nasconde una sorta di evento negativo: tipo che la tettona è tettona perché pesa 180 Kg, o che Babbo Natale il regalo lo porterebbe volentieri... ma a vostro marito. Quello che vediamo sono i puntini che, inizialmente, non sanno proprio cosa fare e dove andare, ma che dopo un po' di tentativi capiscono e ricordano quali sono le porte da attraversare per prendere il premio, e non vanno più a finire nella stanza sbagliata.
Io in genere non faccio mai domande quando sono a lezione: un po' perché non vedo l'ora di andarmene e odio chi fa aspettare tutti quanti solo per chiedere qualche boiata, e un po' perché - come credo di aver scritto anche in passato - ci sono dei professori che se provi davvero a chiedergli qualcosa ti trattano malissimo, si segnano il tuo nome e cognome e poi all'esame sono cavoli tuoi. Però questa volta l'argomento mi interessa particolarmente, per cui alzo la mano.
«Secondo voi» domando. «Un essere umano è solo una rete neurale molto più complessa di quelle che ci avete mostrato, ma che essenzialmente segue le stesse regole?»
I due ricercatori si scambiano un rapido sguardo, come se fosse una domanda che gli pongono sempre e per darsi conferma di pensarla allo stesso modo.
«Sì» è la semplice risposta di quello che, in questo momento, ha il microfono in mano.
«Ma allora» aggiungo io. «Quando si sentono certi discorsi del tipo che una persona ha commesso un crimine perché da piccolo è cresciuto in un determinato ambiente... insomma, secondo voi questo sarebbe vero?»
I ricercatori mi sembrano farsi leggermente irrequieti: devo aver toccato un punto critico, o forse ho tirato in ballo un concetto troppo filosofico quando si parlava di cose tutto sommato un po' più pratiche. Più che altro, si potrebbe discutere di queste cose per sempre e ognuno avrebbe ancora qualcosa da aggiungere, ma io ero effettivamente curioso di sapere cosa ne pensavano loro. A rispondermi è sempre lo stesso studioso di prima.
«Data la complessità del sistema, è impossibile prevedere come agirà una persona, ed ognuno resta comunque responsabile delle proprie azioni. Per il resto, le cose stanno come ha detto lei: le nostre azioni derivano dalle nostre esperienze, senza alcuna libertà di decidere autonomamente».
Finita la lezione io prendo la mia roba, saluto i compagni di corso (che ovviamente mi prendono per il culo, terzo motivo per non fare mai domande a lezione) e raggiungo la mia macchina. Ma mentre guido ancora ci penso: secondo queste moderne teorie sul funzionamento del pensiero umano, io mi sono iscritto a Medicina a 32 anni pensando di fare una cosa chissà quanto fica, mentre invece era solo l'unica scelta che - dati i miei bisogni e i miei trascorsi - avrei mai potuto fare. Analogamente, se faccio lo scrittore non è per provare a comunicare qualcosa, ma perchè m'è toccato per sfiga o magari per il fatto che - da piccolo - ho attraversato chissà quale orrendo trauma.
E insomma mi ha un po' stranito, questa lezione. Che poi è anche una cosa positiva, perché se torni dall'università con qualche idea ancora in testa è anche possibile che - forse - non sia stato solo tempo sprecato... sempre che poi queste idee non ti spingano ad ammazzare qualcuno, come diceva il ricercatore di prima. Solo che appunto questa storia del pensiero che non è libero è difficile da mandare giù, e ho continuato a rimuginarci.
Il problema è che vengono fuori troppi discorsi filosofici, e a me personalmente non è che piaccia troppo perdermi in chiacchiere. Per dirne una: nella vita ci sentiamo spinti vero il piacere, il tornaconto personale, lo stare bene ignorando tutto ciò che non interferisce direttamente con noi. Forse annullare il nostro egoismo e le nostre pulsioni può scardinare il rapporto di causa ed effetto che manovra le nostre esistenze, rendendoci liberi. E non so voi, ma a me questo discorso sembra di averlo già sentito.
Eppure, se ci penso, anche questa scelta potrebbe essere il risultato delle leggi che governano i nostri pensieri. L'esperienza mi ha illuso che il mio bisogno di libertà sia soddisfatto dal ragionamento che ho fatto prima, e se anche agisco in questo modo, continuo a essere un puntino grigio che insegue un premio determinato dal caso. Siamo come una sfera che cade verso il basso o l'acqua che evapora per via del calore: dovunque questo ci porti, il nostro viaggio è solo una serie di immagini delle quali siamo solo spettatori che si credono protagonisti, e da tutto questo non abbiamo scampo.
La sera esco con qualche amico. Rincaso tardi un po' brillo, mi sdraio sul letto e ripenso ancora a queste cavolo di reti neurali. Nel buio della mia stanza, con i miei pensieri arrovellati in testa e dentro al petto un miscuglio di sensazioni diverse: ho le idee confuse. Un po' sono stanco per via dell'ora, ma un po' sono anche contento per la bella serata. Domani è una giornata senza nulla di speciale, ma alcune cose potrebbero rivelarsi interessanti e allora c'è anche un minimo di anticipazione. Penso a quell'esame che mi sta facendo dannare, e a delle cose brutte accadute a qualcuno e che mi rendono triste. Mi torna alla mente una persona che non vedo da tanto, e sento che mi manca.
I puntini grigi, a queste cose non ci pensano. Quando tornano a casa, non stanno lì a rimuginare sul pallino verde che gli è scappato proprio all'ultimo momento, e anche se potessero farlo non ne avrebbero realmente coscienza. Un computer non prova sentimenti, e se anche fosse programmato per farlo non sarebbero le stesse sensazioni sperimentate da un vero individuo. Resterebbe solo una simulazione, una macchina. E le macchine non sanno di esistere.
Mi addormento pensando che c'è una componente del nostro essere che non sappiamo ancora nemmeno misurare. Che da un punto di vista della sopravvivenza è assolutamente inutile ma che - tutto sommato - è l'unica cosa che ci rende consapevoli della nostra vita e dei nostri pensieri.
E forse lì in mezzo, da qualche parte, si nasconde anche la nostra libertà.
Simone
5 commenti:
Il determinismo dei due ricercatori, che hanno risposto con un semplice "sì" alla tua domanda, mi sembra un po' rigido. La loro non può essere altro che un'ipotesi: pretendere qualcosa di più (la verità, ad esempio) significa compiere un atto di fede. Come hanno aggiunto correttamente, entra in gioco il discorso della complessità, e poi quello del caos e dell'indeterminazione quantistica: non si può ridurre tutto ad un semplice rapporto di causa-effetto.
Chiudo il commento con una citazione.
In un convegno fu chiesto al fisico Eugene Wigner se la fisica avrebbe mai potuto spiegare la coscienza. Egli rispose: "La fisica non riesce a spiegare nemmeno la fisica, figuriamoci la coscienza!"
Spunto di riflessione interessante, ma al quale diventa difficile aggiungere qualcosa per via della complessità della materia.
Forse i puntini grigi potrebbero essere più simili ad animali che, senza coscienza di sé, un po' per istinto, un po' per apprendimento, sono spinti a comportarsi sempre secondo la via della sopravvivenza e della continuità della specie: mangiare e riprodursi.
Penso tuttavia che nell'essere umano ci sia qualcosa di più.
Quantomeno, voglio sperare che il libero arbitrio sia una realtà e che il futuro non sia già scritto.
Capire poi se le nostre scelte, presumendo che siano davvero libere, scaturiscano da un'influenza sociale o piuttosto dall'incapacità di calcolare contemporaneamente velocità e posizione di un elettrone, diventa arduo stabilirlo.
Comunque è un piacere "parlare" con te, anche per un ignorante come me.
Non ho molte opportunità di scambiare idee di questo tipo con qualcuno; spero mi capiti l'occasione di farlo magari davanti a una birra all'ombra del Cupolone.
Io preferisco parlare con chi ne sa più di me, perché mi piace imparare, anche se sono pigro.
Un saluto, dacty
P.S.
Magari potresti scrivere qualche altro post, meno filosofico e più tecnico (nei limiti della comprensibilità per i non addetti) sulle reti neurali: per farci capire come sono strutturate, se c'è programmazione, se è solo simulazione o se l'"apprendimento" è reale, cose così.
Lunastorta: anche secondo me, probabilmente, ci sono altre cose in gioco. Il fatto è che il "determinismo" dei ricercatori mi è stato mostrato con una simulazione e con degli esempi che in effetti sembravano rappresentativi della realtà. Per dimostrare il contrario bisognerebbe proporre un modello alternativo, o qualcosa comunque sullo stesso livello di approfondimento scientifico. Insomma mi ha colpito la concretezza del discorso, più che il concetto in sé che ognuno può esprimere a suo modo.
Dacty: per la birra sotto il cupolone io ci sarei... ma tu non sei di Roma o sbaglio?
Riguardo alle reti neurali, io stesso non ne so molto visto che mi sono state sempre presentate ma non ho mai messo le mani sulla teoria o su un programma di simulazione vero e proprio.
In ogni caso si tratta sicuramente di qualcosa che usa matrici, grafi e modelli ad elementi finiti per simulare una serie di "neuroni" in grado di scambiarsi informazioni e di costruire una sorta di apprendimento. Poi qualcos'altro si potrebbe scrivere, ci penserò.
Grazie!
Simone
In effetti dovrei fare giusto quei 600 Km...
Però prima o poi ci si incontra. ^^
Ciao, dacty
è un bellissimo post, sui cui soffermarsi a riflettere... carine le similitudini della tettona e di babbo natale nudo... :)
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