05/09/10

La verità, e la solitudine.

Questo post si ricollega al precedente, e nasce come risposta ai commenti di Ferruccio e Temistocle.

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Alle volte, in quello che uno scrittore sente di voler esprimere, o – per limitare il discorso a me stesso – in tanti discorsi che faccio sul mio blog, finisco col dire delle cose che, tutto sommato, possono risultare a volte spiacevoli e difficili da mandare giù. Questa cosa mi è stata fatta notare, e sebbene io volessi tanto fare lo scrittore divertente che fa svagare le persone, devo ammettere di essere abbastanza daccordo.

Soltanto, lasciatemi dire la mia: prima di tutto, non necessariamente dobbiamo lasciarci scoraggiare troppo facilmente. Credo che il sapere in maniera lucida e senza preconcetti come funzionano certe cose – e questo è un discorso che vale per tutto e in tutti i campi – è il primo passo per capire in che modo conviene agire e prendere finalmente in mano la situazione. Oltre a questo, io ho sempre creduto che si scriva, si parli e pià in generale che si viva anche per realizzare qualcosa di concreto e reale, e non semplicemente per perderci in noi stessi o addirittura per illuderci di aver realizzato chissà cosa, quando invece non è successo proprio niente. Se non diciamo la verità questa concretezza un po' si perde: chi di voi leggerebbe un libro di storia in cui si raccontano eventi mai accaduti? E quanto può valere un artista (oddio che brutta parola) o un intellettuale (ancora peggio!) che vi racconta cose che non sono vere?

Ma questo discorso immagino sia ovvio per tutti, e in fondo sto solo dicendo cose scontate.

Il guaio è che a dire la verità non è detto che uno si faccia poi tutti questi ammiratori, ed è vero che si rischia addirittura di restare soli. Appena ci si mette un po' a distanza dall'opinione e dai luoghi comuni della massa, può capitare di sentirsi trattare come lo scemo di turno. L'avere un'opinione, un atteggiamento, un aspetto o una mentalità diversa da quella del gruppo che tiene le redini non ti fa diventare il tizio speciale che tutti stimano e vorrebbero imitare, ma solo il rompiscatole che – tutto sommato – alla gente sta pure un po' sulle palle.

Però, nella vita di una persona, come di un artista o di un qualsiasi altro tizio di qualsiasi genere ed estrazione sociale, c'è anche la compagnia degli amici. C'è chi apprezza il nostro lavoro, c'è la famiglia, c'è anche chi ci capisce o che semplicemente non se la prende se non siamo proprio sulla stessa lunghezza d'onda.

Insomma, io penso di no: non bisogna allontanarsi da tutti per forza. Anzi. Se nella vita ho capito qualcosa, forse è proprio che restare soli è il primo passo per finire inchiappettati. In 10 contro 10 si può vincere o perdere, ma in 10 contro 1, poi 1 e poi 1 il risultato finale è più che scontato.

Io arrivo anche a pensare che - se ci sentiamo troppo soli - nel senso che la gente scappa via e non ci si fila davvero nessuno, allora è la volta che stiamo sbagliando qualcosa.

Ma di quest'ultimo punto non sono troppo sicuro, e dovrei pensarci ancora un po' sopra... magari in compagnia di qualche amico con cui discutere, e di un paio di birre gelate.

Simone

14 commenti:

Temistocle Gravina ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Temistocle Gravina ha detto...

Per la birra non ho preferenze, basta che sia chiara.
Per il resto, penso che il discorso sia molto molto ampio. Si tratta forse di rispondere alla domandina: che ci stiamo a fare in questo modo? Perciò perché noi scriviamo? alla fin fine anche lo scrittore più grande del mondo (mettici tu il nome che vuoi), alla fine è morto e sepolto. Magari gli hanno eretto statue, intitolato scuole, dedicato libri, ma è morto, o morirà. Allora se scriviamo non è per essere immortali fisicamente (del resto dell'immortalità culturale o della notorietà non me ne importa niente). Allora perché scriviamo? forse per far sapere agli altri quello che pensiamo, che visione abbiamo delle cose e del mondo. Questo sì, su questo ci sto. Quante persone posso raggiungere con un ebook gratuito in PDF da far scaricare dalla rete? 10, 50 100 persone? OK, mi possono bastare. Con quante persone riesco a 'sentirmi' scrivendo un post o rispondendo ad uno di un amico? 1, forse 3, al massimo 10. OK, mi può bastare. La mia vita (quella di Temistocle, intendo) è la trama delle piccole cose che sto facendo adesso, e se mi viene in mente di scrivere un racconto sul gatto che stamattina mi aspettava fuori dal cancello -anche se ci imbastirò su un pezzo di fantascienza o noir o horror- lo faccio per il gusto di dire: anche stamattina ho incontrato il gatto che mi conosce e mi aspetta. Non voglio dire che non credo nell'aldilà, nell'immortalità dell'anima e cose del genere; a 50 anni devo ancora farmi un'idea in proposito, o meglio ne ho avuto talmente tante finora che non so più da che parte cominciare. Siamo soli, come dici tu? Di fronte a queste cose, sì, siamo soli e l'unico modo per non esserlo totalmente è condividerle come stiamo facendo in quest'istante (anche senza la birra; ma anche un pompelmo andrebbe bene). Che siamo intellettuali, scrittori di fama, capi di stato, siamo solo noi, davanti alla nostra coscienza e a testa alta possiamo andare anche a spalare letame in una cascina del veronese in mezzo ai tamil o ai sick esiliati dalla loro terra e dalla loro guerra. E' vero che ci possono essere posti o situazioni che facilitano, ma per restare in ambito letterario Stephen King ha dato il megio di sé quando lavorava in una lavanderia e rubava il tempo ai panni sporchi che la gente gli portava. Sono 'uno di sinistra' e conosco bene le discussioni gramsciane sull'intellettuale organico al partito, sull'unione operai-intelletuale per la crescita del socialismo ecc.. Ma essere intellettuali, come essere scrittori, non è un mestiere, è un modo di essere del nostro spirito. Per questo possiamo essere soli in mezzo ad una folla o in compagnia su un'isola deserta. Essere intellettuali o scrittori non ci abbandona mai, anche quando (come nel mio caso) ho forse 2 lettori fissi del mio blog e ancora nessuno -scusate la ripetizione ossessiva- ha mai letto un mio lavoro. Certo fa piacere dal punto di vista dell'orgoglio sapere che c'è qualcuno che sa che esisti (torniamo all'inizio: la domanda è: che ci stiamo a fare qui?), però la realtà è quella che viviamo giorno per giorno.
Si nota molto che ho idee poche ma confuse? (penso che prenderò pari pari questo commento e ci farò un post; mi piace)
E grazie per la limonata virtuale (ma non era una birra?)

Simone ha detto...

Che commento enorme, c'è quasi troppo da leggere per dare una risposta completa.

Sicuramente devo chiarire: io parlo di "intellettuale" (anche in maniera non sempre ammirata, come nel post precedente) e non lego questo discorso unicamente agli scrittori.

Anzi uno scrittore non deve necessariamente far lavorare tanto cervello e sensibilità, che io mi riferisca perciò agli artisti intellettuali che scrivono (se mai non si fossero tutti estinti) è una possibilità ma non certo l'unica visto che il campo e molto più vasto.

Detto questo non tutti possono capirti o avere la sensibilità per apprezzare certe cose, ma è anche vero che le persone non sono tutte così negative come le dipinge il luogo comune o qualche depresso perso: c'è sempre qualcun altro che ha studiato le stesse cose, c'è chi non capisce determinati contenuti ma sa riconoscere il valore di quello che gli metti davanti (da un piatto di pasta a un'opera darte, intendo) e c'è chi ci vuole bene e magari non capisce e non è nemmeno interessato, però un po' di sforzo lo fa anche solo per restarci vicino.

Poi sì, se "pensi" qualcosa di nuovo o diverso e non riesci a trasmetterla a nessuno, allora in senso intellettivo sei solo. Anche qui, ci vogliamo arrendere e restare su un blog ed ebook con 4 lettori (apprezzatissimi più che mai, visto i numeri così bassi) o provare a spingere sul nostro lavoro e sentirsi anche meno "abbandonati"? Io provo sempre il secondo punto, anche se alle volte pare davvero difficile.

Ciao!

Simone

Temistocle Gravina ha detto...

Come ti dicevo trasformerò il commento (mi scuso per la prolissità) in un post, anche se magari non subito, perché i tuoi post sono sempre stimolanti e precisi. Solo una domada, non retorica ma seria: hai qualche idea su come: 'provare a spingere sul nostro lavoro e sentirsi anche meno "abbandonati"?'
Temistocle

Simone ha detto...

Uhm, qui ci vorrebbe un po' di tempo per riflettere. Comunque ho già scritto qualcosa sulla falsariga (come lavorare con la creatività, un post che metterò online tra qualche giorno).

Penso si debba provare a lavorare in settori analoghi a quello creativo (e magari non retribuito) che ci interessa. Non confinarsi a blog o piccole realtà ma provare a entrare in contatto con altre persone... poi il mio è un discorso vasto: un ricercatore che lavora all'università non è come uno scrittore che pubblica solo cose online. Ancora, un musicista può fare serate e suonare in vari gruppi... insomma a ognuno il suo.

Forse la scrittura è un po' sfortunata, perché il settore è in effetti un po' moribondo. Non è che uno debba fare lo scrittore per forza o smettere di "pensare", comunque: ci sono tanti modi per comunicare e se uno non funziona più io posso anche cambiare.

Simone

Temistocle Gravina ha detto...

Per lanciarsi su un possibile pubblico, non sarebbe male l'idea di un 'foglio', magari ciclostilato, naturalmente autoprodotto, a livello esclusivamente cittadino se non rionale che so' un paio di A3 piegati su cui due-tre sciagurati 'pubblicano' un proprio raccontino e che poi distribuiscono gratuitamente in qualche edicola o libreria. Un po' le vecchie e buone riviste anni 30-40 o i fogli anni 70-80, ma fatte alla buona. Tenendo conto che la maggior parte non va a 'infognarsi' in discussioni come questa su un blog, ci potrebbe essere un gruppo di poche persone con un investimento di 10 euro a testa che potrebbe fare parecchio; o almeno iniziare.
Temistocle

Simone ha detto...

Non è una brutta idea, e qualcuno già lo fa (vedi Matteo Scandolin col suo Inutile). Magari puoi provare a contattarlo e vedere se gli piace qualcosa che hai scritto.

Torniamo solo al discorso originario: quanti scrittori "per finta" vorrebbero partecipare con mezzo raccontino, senza mettere soldi, senza stare dietro a tanti problemi, senza dire qualcosa di veramente sensato, senza studiare e tutto il resto? Quello che manca, secondo me, è sempre il coraggio di vivere una certa aspirazione fino in fondo.

Simone

Temistocle Gravina ha detto...

Ormai è una cosa tra noi due. Grazie per la segnalazione di 'Inutile'. Sono perfettamente daccordo con te che di base ci deve essere qualcosa da dire, la voglia di farlo e anche un po' di 'tecnica'. E anche e soprattutto la passione, che se non ce l'hai non te la da nessuno.
Temistocle

Gio* ha detto...

ciao Simone è la prima volta che leggo il tuo blog.. ed è capitato così per caso. ma ne sono contenta.
e andrò avanti a leggere.non ho commenti particolari da lasciarti. mi piace come scrivi e condivido la scrittura che si può condividere.;)
anche senza un perchè.
ciao!
Gio

Dama Arwen ha detto...

Tu dici: "chi di voi leggerebbe un libro di storia in cui si raccontano eventi mai accaduti?"

Io!!!

Chissà che non sia migliore di quelli che abbiamo invece studiato!!!
In un libro di storia inventato puoi eliminare una guerra, magari... puoi far vivere Gandhi, puoi decidere se gli egizi erano alieni o no.

La fantasia è l'unica cosa che ci può salvare, da questa schifosa realtà.
Ma molti la fuggono e allora rischi di trovarti solo (ma non perdente!) anche a causa sua: ma basta circondarsi da persone che sanno sognare e il gioco è fatto!

Ok, son partita x la tangente! ;-)
Pardon!

Erika ha detto...

Ciao! Era tanto che non passavo di qua. Il tuo blog mi ha sempre in un certo senso "ispirato" e anche stavolta non è stato da meno. Ho letto i tuoi ultimi due post che, neanche a farci apposta, calzano a pennello con la situazione che sto vivendo. La mia vita è in una fase piuttosto strana, dove mi è capitato praticamente di tutto e dove sogni e vita vera si sono scontrati più di una volta e anche in modo abbastanza violento. La cosa più difficile in assoluto credo che sia proprio sapere cosa si vuole veramente. E se i propri desideri fossero in realtà solo una fantasticheria che non ha nulla a che fare con la vita vera? Io vorrei continuare a studiare e farmi una cultura, ho sempre pensato che la conoscenza è potere, ma servirà davvero a qualcosa? Io scrivo da quando sono piccola, sono sempre stata "l'artista" della situazione, per così dire, anche nella mia famiglia. Però ci sono quei momenti che pensi: "ma a che serve?". Da una parte ti viene voglia di andare a lavorare in una catena di montaggio; basta università, basta stress, basta di far finta di fare lo scrittore (dato che alla fine non hai scritto niente). Ok sono giovane, ho la vita davanti e mille occasioni da cogliere, ma la domanda che sorge spontanea è: "ne varrà la pena?"
Probabilmente se non provo non lo spaprò mai. Tutto sta è avere il coraggio di voler provare.
Accidenti quanto ho scritto! Scusa per il flusso di coscienza non era mia intenzione tirare giù una pappardella simile! ^^
Meglio che la finisco qua!
Ciao!

Erika

(AH..Ho usato sia "coscienza" che "conoscenza", i termini che mandano in paranoia centinaia di persone, come sono brava. Sempre che ho scritto bene, altrimenti bella figura che ci faccio! ^^)

Simone ha detto...

Giò: ciao, ben arrivata!

Dama: la fantasia ci sta ed è sempre bene accetta... e anche un commento un po' più leggero come il tuo, che qui stiamo diventando un po' troppo pesanti! ^^

Erika: infatti certe parole mettono sempre in crisi anche me! ^^ Comunque, riallacciandomi al mio discorso di prima, per me è ok anche studiare e scrivere e fare l'artista. Capisci se stai seguendo la strada giusta se ti stai dando da fare e se a fine giornata sei stanco... l'importante insomma è farlo sul serio.

Simone

Ferruccio Gianola ha detto...

Complimenti, sia a te Simone, sia a te Tim. Non ho potuto intervenire prima per problematiche lavorative ed ora mi accorgo che avete quasi scritto un romanzo. D'altra parte la tematica che tu Sumone hai imbastito con il primo post si presta a uno sviluppo molto ampio e offre parecchie interpretazioni.
Lo solitudine a cui accennavo è un qualcosa che si stacca molto da un semplice atteggiamento che a volte può anche essere di snobismo.
Io purtroppo, mi sono reso conto che ormai non penso ad altro che a scrivere. Per me, tutto è scrivere e non mi accorgo più nemmeno quando tratto male qualcuno. Se vedo qualcuno che sta male mi sembra quasi che studio ciò che sto provando soltanto per cercare di scriverlo in un secondo tempo. Non so se è così per tutti. Mio fratello è così, come me. Fa il musicista e mi accorgo che quando compone entra in un suo mondo e non c'è più spazio per nessuno. La scrittura ormai è diventata la mia religione e il mio Dio e più mi avvicino alla vetta più mi isolo. Ma non ci sto male. Sto male soltanto rendendomi conto del gran numero di gente che mi ascolta, che mi segue, che mi vuole bene, che mi considera saggio e alla fine mi considera quasi irraggiungibile...

Ah anch'io scrivo dando molto spazio all'ironia e all'umorismo, le cose di questi mesi fanno quasi sbellicare dalle risate, ma chi li legge alla fine ci trova sempre qualcosa di tragico e di amaro:-) spirito

Simone ha detto...

Ferruccio: il comico e la tragedia spesso si mischiano. Non bisogna essere seri per dire cose vere e sensate... ma in moltissimi questo se lo dimenticano e capita che si prendano sul serio solo cose seriose e supponenti... ma questo è un altro discorso.

Riguardo a quello che dici sulla scrittura, io spero di essere un po' diverso ma capisco chi si concentra totalmente e si allontana un po' da tutti... e poi sì, probabilmente nel momento in cui sto scrivendo anche io faccio allo stesso modo.

Simone