29/02/12

Medicina a trent'anni: ottimismo pre-esami.

Mezzo pieno o mezzo vuoto?
Dipende: se è grappa, è comunque troppa.

Era qualche giorno che non davo notizie di me, ma dovete scusarmi: tra reparto, lezioni ed esoneri di Farmacologia sono stato bello preso, e tra le tante cose che in genere "taglio" quando sono sotto pressione c'è generalmente anche questo blog.

Come ho appena detto, in queste settimane ho dato due esoneri di Farmacologia: la parte di Urologia, che tutto sommato era semplice (ma io ci avrò messo un mese lo stesso a prepararla) e soprattutto la parte di Antibiotici, che invece era un incubo.

L'esonero sugli antibiotici consiste in un malloppo di fotocopie fatte di nomi astrusi, nomi strani, nomi difficili da ricordare e nomi che sembrano semplici scioglilingua senza significato. E tutti questi nomi sono correlati da rapporti di associazione assolutamente arbitrari, controintuitivi e in sintesi esclusivamente da memorizzare e basta, senza possibilità di ragionarci in qualche modo.

Voi sapevate che la Piperacillina si usa contro lo Pseudomonas, o che le Tetracicline sono chelanti del Calcio? Immaginate un centinaio di fogli tutti così, con nozioni su nozioni, e forse riuscirete lontanamente a farvi un'idea dello sconforto che mi prendeva ogni volta che provavo a preparare questo esonero che mi porto dietro ormai da Settembre.

E insomma, l'esonero sugli antibiotici non è proprio la famosa luce che si vede alla fine del tunnel, ma gli assomiglia abbastanza e mi dà una bella carica per buttarmi nei prossimi esami, ormai imminenti.

Adesso ho progettato 2 settimane di chiusa intensiva per ripreparare Gastro/Endocrino, l'esame famoso dove mi bocciano sempre e mi sta tanto sulle palle. In realtà mi sono scordato anche le poche cose che sapevo e non sono convinto di farcela in 2 settimane soltanto, ma almeno ho studiato un po' anche altre cose e non mi sono fossilizzato su una materia sola.

Poi quando finalmente mi toglierò Gastroenterologia potrò concentrarmi su Ematologia che ho già un po' studicchiato durante il corso, e che sembra più fattibile. Ho realizzato che - se mi ci metto sul serio e se avrò anche un minimo di fortuna - posso pensare di arrivare al terzo quadrimestre con un solo esame da recuperare tra la sessione estiva e autunnale insieme a quelle che saranno le materie nuove.

Insomma, oggi mi sento ottimista e ho voluto condividere questa sensazione con voi. Sono stanco, alle volte piuttosto che studiare preferirei darmi una martellata dove potete immaginare, e davanti a me ho un periodo di studio e di esami ancora peggiore. Però dopo un periodo in cui ho avuto un po' di dubbi e preoccupazioni adesso mi sembra che le cose stiano per riprendere a girare, e sono più tranquillo.

E poi, cavolo, davvero mi sono tolto la parte sugli antibiotici: non ci posso quasi credere nemmeno io.

Simone

23/02/12

Le regole della salute.

Turno in ambulanza con la Croce Rossa.

Dopo un inizio di giornata non proprio esaltante, finalmente ci chiamano su un intervento vero e proprio: all'interno di un ambulatorio, un signore anziano è caduto e si è fatto male.

Arrivati sul posto, ci accoglie una dottoressa della mia età.

«Normalmente non chiamerei l'ambulanza per così poco» ci spiega. «Ma visto che il paziente è un po' particolare, ho pensato che questa volta fosse il caso di farlo».

Entriamo dentro, e troviamo un signore di 80 anni seduto nella sala d'attesa. È piccolino e curvo sotto un cappotto pesantissimo, che oggi fa freddo. Accanto a lui c'è la moglie, che più o meno ha lo stesso aspetto: anziana, minuta, impaurita e con la sensazione che ogni piccolo gesto le costi fatica.

Il signore è un tipico paziente della sua età: non ha cioè una singola malattia di cui preoccuparsi, ma al contrario è afflitto da un insieme di patologie che singolarmente si potrebbero pure seguire senza tante difficoltà, ma tutte insieme diventano un casino. Parkinson, artrosi, aterosclerosi, problemi alle gambe e alla schiena. Non vede bene e non ci sente, e prende tanti di quei farmaci che solo con gli effetti collaterali potremmo riempirci un libro. Gli controllo la glicemia e... tombola! C'ha pure il diabete, che con tutti quegli acciacchi si era scordato di dircelo.

Dice che è caduto perché è semplicemente scivolato. Niente malori o giramenti di testa, e per fortuna non s'è fatto troppo male. Ha preso però una bella botta a un braccio, e magari una lastra in ospedale sarebbe il caso di farla per cui insomma lo invitiamo a venire con noi.

«Andiamo all'ospedale vicino, o a quello lontano?» ci chiede la moglie.

All'ospedale vicino purtroppo c'è un problema e lì oggi non ci mandano. Non è una cosa che possiamo decidere noi dell'ambulanza, ma decide la Sala Operativa e secondo la Sala Operativa all'ospedale vicino adesso proprio non si può. Non ci possiamo andare.

«A quello lontano» spiega il nostro infermiere. «Poi telefona a suo figlio, e si fa venire a prendere».

Sembra tutto troppo facile, vero? E infatti la signora fa di no con la testa.

«Mio figlio è fuori per lavoro. E noi a casa dall'ospedale come ci torniamo? Allora non fa niente. Voi andate via, e noi ci facciamo accompagnare in ospedale domani mattina».

Proviamo più volte a convincerli, ma non c'è nulla da fare: in ambulanza con noi non ci vengono, punto e basta e arrivederci e grazie. Loro hanno ragione per via delle distanze, noi abbiamo ragione perché se ti dicono di fare una cosa evidentemente c'è un motivo, per cui quando è no è no.

Ma domani mattina, per un signore di 80 anni che si è fatto male, magari è un po' troppo tardi. E allora come facciamo? Qualcuno dirà che potevano venire con noi e poi tornare a casa con un taxi. Ma parliamo di pensionati: forse è già tanto se riescono a pagarsi la tessera dell'autobus, e chissà se questo figlio che lavora poi viene fuori per davvero, oppure no.

A un certo punto, io me ne esco con una specie di idea.

«Se anche rifiutano di farsi trasportare» propongo ai miei colleghi «noi gli diamo uno strappo lo stesso fino a davanti all'ospedale. Poi scendono, ed entrano da soli».

Ma ok, ho detto una stupidaggine: non è che puoi far salire e scendere la gente dall'ambulanza come ti pare a te. O li porti tu o non li porti proprio, e una via di mezzo è scorretta perché se nel tragitto succede qualcosa o ti chiamano su un intervento grave finisce che è una specie di reato penale, e vai tipo vabbe' in prigione se magari forse ti ci mandano... o almeno questa è la voce che gira.

E io m'immagino tutta la scena di me che finisco in galera con l'infame verdetto: utilizzo improprio di pubblico servizio per aiutare una coppia di anziani. Con l'aggravante del volontariato e dello scopo umanitario.

Poi vado in carcere e mi mettono in isolamento per separarmi dagli altri detenuti. Però poi a un certo punto succede che qualcuno mi becca lo stesso, e in una scena stile Romanzo Criminale me la fa pagare pugnalandomi 10-12 volte con un oggetto di uso comune che ha reso tremendamente affilato, tipo una sedia o la tavoletta del water.

«Te insegno io a portà a spasso li vecchietti» mi dice, con l'accento più da romano di un quartiere brutto che voce umana possa produrre. «'Sto fijo de na mignotta!»

Ma insomma io vi giuro che sul momento non c'avevo proprio pensato, ma non farei mai nulla in servizio che non fosse al 100% corretto per i colleghi e per i nostri pazienti. Eppure una sensazione un po' strana nello stomaco mi sale lo stesso: certe volte mi sembra quasi che le persone cadano in secondo piano rispetto a procedure e protocolli. E mi chiedo se un domani sarò un dottore che aiuta gli altri a scapito di tutto, oppure uno che protegge se stesso anche quando l'umanità e le regole non vanno nella stessa direzione.

Per fortuna, alla fine, la dottoressa dell'ambulatorio salva la vita a tutti.

«Ce li accompagno io»  dice, non proprio con tutta la felicità e trasporto di questo mondo ma insomma: l'ha detto. «Ora smonto, e li porto all'ospedale vicino con la mia macchina».

E va bene: non sarà la soluzione migliore del mondo, ma almeno la cosa l'abbiamo risolta. Il signore anziano sarà visitato, lui e sua moglie potranno tornare a casa da soli, la dottoressa se l'è presa nel secchio e io non sconterò il resto della vita in carcere.

O - per lo meno - non per questa volta.

Simone

18/02/12

I problemi sbagliati.

Reumatologia è una specializzazione che, prima dell'iscrizione a Medicina, non pensavo esistesse nemmeno.

Cioè: un dottore che cura i reumatismi, e basta?! Fino a poco tempo fa, mi sarebbe sembrato assurdo.

Ma a pensarci bene sono un ingenuo: ormai si può trovare tranquillamente un medico che parte dalla medicina di base, punta su gastroenterologia, stringe sul fegato, si concentra sulle patologie autoimmuni, mette a fuoco le vie biliari e - come se non fossimo già abbastanza nello specifico - si occupa unicamente di vie biliari intraepatiche che poi, a curare le altre (quelle extra-epatiche), ci penserà qualcun altro.

E in una struttura così incredibilmente specializzata, io mi stupivo che ci fosse pure il reumatologo?! A pensarci bene, per essere un dottore solo, alla fine mi sa che fa anche troppa roba.

Fatto sta che della Reumatologia avevo proprio un'idea un po'... romantica. Ecco, chiamiamola così. Io m'immaginavo Zio Paperone che fa le previsioni del tempo perché gli fa male il ginocchio, oppure la vecchietta col mal di schiena per l'umidità che chiede al cacciatore buono di tagliarle la legna per il fuoco, così può scaldarsi e le passa tutto

E invece vai al tirocinio di Reumatologia, e capisci che i reumatismi non sono quelli delle favole o dei cartoni animati, ma che è proprio tutta un'altra storia: le malattie reumatiche sono delle robe che ti bloccano le articolazioni, e che piano piano ti deformano tutte le dita. Che ti lasciano a letto senza più camminare, che ti fanno respirare male, che ti rendono impossibile anche solo metterti le scarpe e uscire di casa.

Altro che Zio Paperone, col doloretto che ritorna poco prima che piove. Ma è anche vero che lui era il papero più ricco del mondo, e poteva curarsi come si deve... questo sì.

Perché i farmaci per migliorare l'andamento di certe malattie alle volte esistono, ma lo stato non te li passa. E allora se te lo puoi permettere magari stai un po' meglio, perché ti compri il farmaco figo che fa effetto e ha pure pochi effetti collaterali. Altrimenti ti devi accontentare: quello che ti danno ti danno, e per quello che invece non puoi permetterti sono cavoli tuoi.

Durante il tirocinio in Reumatologia facciamo il giro visite, e ci presentano una persona. Non mi ricordo il suo nome, o forse non ce l'hanno proprio detto. Ma facciamo che si chiama Chiara.

Chiara sta in pigiama seduta sul letto. È piccolina, con le spalle strette e una postura rigida, forse perché ha un po' soggezione di noi o forse perché meno contratta di così non riesce proprio a stare.

E Chiara ha una malattia di quelle che ti gonfiano le mani finché non riesci più nemmeno a chiuderle per prendere le cose. Quando ti muovi ti fa male tutto, la notte non dormi e sulle dita ti vengono dei tagli che non vogliono più saperne di guarire da soli.

La malattia di Chiara prende anche ai polmoni. Poi da lì piano piano passa al cuore, e alla lunga il fatto che sei malato ti si vede anche in faccia. Fare le cose più semplici - quando ci riesci - diventa come scalare l'Everest, e se hai qualcuno vicino c'è il rischio che a un certo punto si stanca, e scappa via. E alla fine rimani anche solo.

Chiara racconta della malattia con la sua voce leggera, e io scopro che ha la mia stessa età.

Ha la mia età, però non ha avuto il dubbio di quello che voleva o non voleva fare. Non si è messa davanti alla scelta di ricominciare qualcosa. Di buttarsi a dare esami o concentrarsi sul lavoro, oppure ancora di lasciare tutte queste cose magari per sposarsi e correre appresso a dei ragazzini.

Chiara non può scegliere di non avere la sua malattia. Può lottare per costruirsi una vita attorno ad essa, ma tutte le decisioni importanti, per lei, le ha già prese qualcun altro: il DNA, i fattori predisponenti, il suo sistema immunitario che funziona a cazzo di cane. E una grande, enorme sfiga, che sui libri non ce lo scrivono mai, ma alla fine è palese che conta anche quella.

Esco dal reparto, che di Reumatologia non c'ho capito ancora niente. La bocca amara per le maledizioni che continuo a mandare giù, ma in testa delle idee un po' più chiare: chissene frega degli anni che hai, di quello che hai fatto e di quello che avresti intenzione di fare nel momento in cui tutti i tuoi assurdi parametri avranno raggiunto un determinato valore.

Ho fatto bene a iscrivermi a Medicina a 33 anni, e chi mi diceva diversamente mi ha consigliato male.

Ci facciamo solo tanti, inutili, problemi sbagliati.

Simone

14/02/12

Da biologo a medico: come fare? Ed è troppo tardi?

Vi riporto una mail che ho ricevuto alcuni giorni fa:

Ciao Simone.

Stavo cercando informazioni su eventuali agevolazioni per conseguire una seconda laurea in Medicina dopo il titolo in Biologia, e mi sono imbattuto nel tuo blog.

Questa idea di studiare Medicina mi viene spesso in mente, ma siccome sono ormai 35enne credo che rimarrà soltanto tale. 


In effetti ho diversi titoli post-laurea: dottorato in Gastroenterologia e specialista in Biochimica Clinica. Attualmente lavoro in un laboratorio di analisi.

Spesso penso che vorrei completare il mio profilo professionale con questo secondo titolo, sebbene mi renda conto che per intraprendere questo obbiettivo dovrei lasciare il mio lavoro attuale e stravolgere la mia vita...

Se conosci qualcuno che ha attuato già il mio progetto a cui magari posso chiedere qualche informazione, magari prenderò coraggio.

Ciao e buona notte, Diego


I biologi che scelgono di diventare medici non sono poi così rari: io stesso ne ho conosciuto più d'uno nel corso dei primi anni di università (e avevano tutti ben più di 35 anni) ma in questo momento non saprei proprio come mettermi in contatto con loro.

Per questo motivo, a Diego ho risposto offrendomi semplicemente di "girare" la sua richiesta sul blog: qualcuno è passato da una laurea in Biologia allo studio della Medicina, e vuole raccontarci la sua esperienza su come sono andate le cose?

Dalle parole di Diego, emerge chiaramente che il dubbio è - come sempre in questi casi - anche quello dell'età: iniziando ora, infatti, si laureerebbe in Medicina molto tardi e dopo essersi complicato un bel po' la vita.

Io finirò l'università (forse) appena poco prima di lui, per cui bene o male la mia opinione è abbastanza scontata. Ma voi, invece, cosa ne pensate?

Simone

09/02/12

L'internato a Gastroenterologia.

Il tirocinio a Gastroenterologia è stato fantastico.

Ormai ho accettato il fatto che - più che ai professori - devi rompere le scatole agli specializzandi o (in mancanza di meglio) agli altri studenti. E da questo punto di vista, in questo reparto mi è andata di lusso:

Infatti c'ero io, c'erano un bel po' di specializzandi in Gastroenterologia, poi c'erano degli specializzandi di Psichiatria che frequentavano lì per una sorta di rotazione o perché si erano persi, o non lo so.

Ancora, c'era qualche studente che frequentava per la tesi e infine anche dei neolaureati che stavano facendo il tirocinio obbligatorio prima dell'esame di Stato e dell'iscrizione all'Albo.

Insomma, una volta tanto invece di essere l'unico estraneo al reparto mi sono ritrovato in una discreta compagnia, per cui rispetto ad altri tirocini dove ho finito per ritrovarmi in sala operatoria da solo ("da solo" inteso che non c'era nessuno a parte me, nemmeno il paziente) l'atmosfera è stata molto più gradevole.

In genere ero lì attorno alle 8 e mezza. Mi facevo il giro visite dietro al professore di turno (e agli altri 15 studenti e specializzandi e laureandi e neolaureati e gli psichiatri e chi altro c'era) e poi andavo in ambulatorio fino alle 11 a vedere qualche paziente. Giro visita e ambulatorio sono stati interessanti, ma visto che poi all'esame mi hanno bocciato 2 volte di fila ammetto che o non c'ho capito niente io (cosa possibile, visto il sonno perenne che mi accompagnava in quel periodo) oppure che esame e reparto sono due entità separate che stranamente si presentano sotto lo stesso nome, ma che è un fatto che si dovrebbe in realtà ignorare.

Una volta poi che iniziato a entrare in confidenza con gli altri studenti e specializzandi, hanno iniziato a dare qualcosa da fare pure a me. E non so se ho reso bene il concetto rivoluzionario che ho appena espresso con queste poche parole, per cui credo sia il caso di sottolinearlo nuovamente:

In reparto, durante un tirocinio, nell'ambito del corso di laurea in Medicina e Chirurgia, hanno fatto fare qualcosa pure a me. E non qualcosa tipo: prendi questi scontrini, pubblicità, incartamenti vari e imparali a memoria (l'attività tipo di uno studente di Medicina). Qualcosa di realmente fisicamente concretamente pratico e di attinenza medica o similmente tale.


Intanto mi facevano prendere la pressione, e vabbè: sarà una stupidata, ma una mattina ho preso la pressione a tutti i ricoverati del reparto e un pochino di tempo ci vuole, per cui sembra che davvero qualcosa da fare ce l'hai. Poi ogni tanto capita il paziente che - non si sa perché - quando vai a mettere il fonendoscopio non senti niente e la pressione non riesci a misurarla... e dover andare dagli altri e dirgli "non ci riesco" per fare una cosa idiota come prendere la pressione vi assicuro che è davvero imbarazzante. Cioè: a non riuscire a fare un trapianto di cuore so' buoni tutti, e se chiami un altro chirurgo nessuno si stupisce più di tanto. A non riuscire a fare la base della base - vi assicuro - ci vuole invece un certo impegno.

Poi insieme ai neolaureati prendevo gli Elettrocardiogrammi. La cosa funzionava così: noi mettevamo gli elettrodi e stampavamo il tracciato. Poi ci riunivamo in una specie di commissione medica de' noantri per decidere che cosa poteva avere o non avere il paziente in questione (perché non è che nessuno ce lo spiegava, ovviamente) e passavamo il tracciato a uno degli specializzandi.

Se lo specializzando diceva che non era da rifare (perché noi siamo impediti e tante volte il tracciato faceva cagare) l'ECG passava a Cardiologia e chi s'è visto s'è visto: il referto l'avrebbe fatto qualche dottore vero, e noi che ce lo saremmo andati a leggere il giorno dopo lo dicevamo sempre... ma alla fine non l'abbiamo fatto mai.

Sempre insieme agli specializzandi ho assistito a paracentesi, toracentesi e altre medicazioni tutto sommato semplici ma che non avevo mai visto e - insomma - non è che capitino tutti i giorni. O meglio: a chi lavora a Gastroenterologia capitano in effetti diverse volte a settimana, ma io come studente non le avevo viste mai. Vi risparmio delle descrizioni più approfondite di queste procedure, che il post è già troppo lungo e delle cose più truculente possiamo anche fare a meno... e vabbe', ma voi direte: che cavolo ti stiamo leggendo a fare?

Paracentesi: procedura per il drenaggio di liquido ascitico dall'addome. In pratica prendono un ago gigante, fanno un buco nella pancia e fanno uscire fuori il liquido con un tubo. La toracentesi è la stessa cosa, solo che l'ago gigante viene inserito nel torace attraverso le costole e a vederlo fa molta più impressione. Contenti? Io, nel vederle, un po' meno.

Uno degli ultimi giorni, in ambulatorio si è presentata una signora anziana. Alla fine poverina doveva ricoverarsi, e visto che non riusciva tanto bene a camminare da sola io e la specializzanda che era con me l'abbiamo accompagnata fuori dall'edificio portandola sotto-braccio. Che poi queste cose con la Croce Rossa sono abbastanza la normalità, per cui non è che mi pesasse o mi sembrasse di fare nulla di particolare. È stata questione di un paio di minuti e poi via, me ne sono completamente scordato.

E insomma, arriva la fine del tirocinio che a prendere la pressione non sono ancora troppo bravo, ma se non altro lo faccio con meno imbarazzo. Inizio quasi a sentirmi in una sorta di ruolo vero e proprio, diverso da quello solito dello studente che sta in disparte e guarda quello che fanno gli altri: saluto i pazienti che già mi conoscono, chiacchiero con quelli un po' più socievoli, prendo gli elettrocardiogrammi senza metterci mezz'ora e senza far annodare tutti i fili. Sono molto lontano dallo stress e dalla stanchezza di chi fa queste cose da una vita, e fare quel poco che devo fare mi piace davvero.

Durante l'ultimo giro visite incrociamo la signora anziana che avevo accompagnato l'altro giorno. Lei dal suo letto mi riconosce subito: mi sorride, mi saluta e mi ringrazia duecento volte mentre il professore ci parla di un altro paziente e io sto lì che per l'imbarazzo mi viene da ridere.

Mentre esco dalla stanza la signora mi chiama di nuovo. Quando mi volto, mi saluta ancora una volta e mi manda un bacio con la mano.

E io mi sento il dottore più figo del mondo.

Simone

06/02/12

Vacanze sulla neve.

Sembrerà strano - e anzi lo è davvero - ma esattamente come 30 anni fa oggi non sono andato a "scuola" a causa della neve che ha portato alla chiusura dell'università.

La cosa strana è che adesso la cosa quasi mi dispiace: le lezioni a dire il vero sono una gran rottura, e non è che saltare qualche giorno sia un problema. Però c'è anche questa cavolo di frequenza obbligatoria, per cui se qualche docente se ne esce che vuole recuperare le sue ore finisce che ci fanno seguire fino al giorno prima dell'esame.

Poi oggi pomeriggio avrei avuto un tirocinio, e oltre al problema di dover recuperare anche quello (visto che anche lì fanno proprio l'appello) qui mi dispiace davvero, perché in effetti mi interessava.

Il prossimo fine settimana me ne andrò a Firenze con qualche amico, e così tra nevicate e week end vari è finita che mi sono fatto una sorta di "vacanza sulla neve" diversa dal solito e del tutto non programmata.

Nel frattempo sto anche studiando. Non dico che mi sono messo sotto, ma quasi: ho deciso di preparare per quanto possibile Ematologia fino a fine mese. Poi avrò 2 settimane per riprendere Gastro prima dell'esame, a metà Marzo. Così insomma non dovrei restare troppo indietro, e se tutto va bene bene bene in un appello solo mi tolgo un esame e me ne trovo un altro già preparato.

Comunque sia, spero che il freddo non vi abbia portato troppi casini (qui a Roma siamo stati tutto il fine settimana senza macchine, perché nessuno ha le catene). Io vi saluto e torno a studiare, sognando questi 3 giorni a Firenze che non vedo proprio l'ora che arrivino.

Simone

02/02/12

ACAB - All cops are bastards. Opinione personale (e spoilerantissima).

Ieri ho visto questo film. Dato che era una vita che non vedevo un film decente al cinema, dico due parole (due) a riguardo.

Nel film i poliziotti sono - in linea di massina - dei violenti esaltati che picchiano chi gli pare e poi si coprono a vicenda, facendola sempre franca.

I "nemici" dei poliziotti sono o degli idioti senza cervello e senza volto descritti più come zombie che esseri umani (i poliziotti li chiamano, amichevolmente, "le merde"). Oppure criminali, spacciatori e delinquenti oppure ancora dei gruppi estremisti razzisti e violenti.

Gli immigrati (sempre nel film, ovviamente) si approfittano delle situazioni nel migliore dei casi. Nel peggiore spacciano, picchiano, rubano e violentano.

I politici sono dei cazzari corrotti che fanno promesse ma poi non fanno nulla, salvo poi mandare i poliziotti a farsi massacrare inutilmente soltanto per far fare bella figura al governo.

Essere onesti significa farsi fregare, pugnalare gli amici alle spalle, rimanere da soli contro uno stato che ti abbandona totalmente e tutto sommato l'onestà comprende anche una grande fetta di ipocrisia.

In questa ambientazione così estremizzata (nessuno spero crede davvero che gli immigrati siano tutti criminali o che la gente va allo stadio solo a fare a botte) nessuno dei protagonisti è chiaramente buono o cattivo ma vengono proposte situazioni e temi complessi nelle quali è difficile schierarsi completamente.

Unica nota un po' stonata - a parere mio - è il riferimento al G8 di Genova e agli avvenimenti della Diaz: i personaggi sarebbero i colpevoli di quegli eventi drammatici, arrivando anche a fare un'autocritica a riguardo (definendo la cosa come "la più grande cazzata della nostra vita") salvo però - appena 10 minuti dopo - massacrare senza pietà una banda di adolescenti colpevoli di aver ferito uno di loro. È insomma un po' come se in realtà quelle situazioni e le riflessioni successive non fossero parte del reale vissuto dei protaginisti, ma solo un tentativo poco riuscito di riallacciare il film alla realtà italiana.

Ancora, forse complice un budget non proprio elevato, le scene di guerriglia urbana (che ci si aspetterebbe in quantità, visto il film) non sono molte o particolarmente spettacolari, e nella seconda parte del film c'è un calo di tensione dovuto forse alla mancanza di un filo conduttore più forte che riunisca le vicende dei singoli protagonisti.

Tirando le somme, la forza di questo film è portare lo spettatore a riflettere sulla violenza e sulle ingiustizie che ci circondano, senza dare allo stesso tempo alcuna soluzione semplice o scontata. E da questo punto di vista, nonostante i difetti che ho accennato, penso che si possa considerare una pellicola interessante e discretamente riuscita.

Simone