30/04/13

La check-list delle abilità minime di un dottore.

Pilota di aereo si appunta il significato di tutti quegli indicatori.
Post, lo ammetto, forse un po' superficiale:

Ogni medico ha - o dovrebbe avere - delle capacità più o meno sviluppate. Il modo di rapportarsi agli altri, le conoscenze teoriche, le abiltià tecniche.

Ma non è che c'è qualcosa che se la sai fare sei "bravo", e se non la sai fare sei "non bravo". È tutto un universo più complesso di conoscenze, sensibilità e competenze professionali, e se uno sta lì a fare i conti non è che può davvero darsi un voto come se fosse un semplice esame.

Ci mancherebbe.

Eppure, così, non avendo tante idee per aggiornare il blog in meno di mezz'ora (che poi ho da fare) questa cosa mi è venuta in mente e di questa vi parlo... sperando che magari voi diciate la vostra opinione.

Per me, le cose che vorrei saper fare come dottore (almeno nei primissimi anni dopo la laurea) e che per questo dovrei imparare durante questi studi, sono, in ordine sparso:

Mettere i punti: intendo punti di sutura semplici, non cose profonde o in punti particolari e che richiedano l'intervento del chirurgo.

Ho messo qualche volta dei punti su manichini e cose da esercitazione varie, ma a farlo davvero non sono capace e al momento non so se diventerò mai bravo a farlo.

Medicare una ferita: togliere i punti, pulire, disinfettare, bendare eccetera. L'ho visto fare, è più facile che mettere i punti, ma pure qua stiamo malino.

Sistemare le apparecchiature e materiale sanitario: con questo voglio dire mettere il monitor, cambiare una flebo, sistemare l'ossigeno... e vabbe'. Qua, più o meno, me la cavo.

Fare un prelievo: ho messo qualche agocannula, ma finora i prelievi proprio precisi del sangue non li ho mai fatti. Certo non è una cosa tanto complicata, diciamo che ancora non ci siamo... ma meglio dei punti.

Leggere le analisi del sangue: sarebbe a dire, capire i risultati del prelievo fatto sopra. Diciamo che me la cavicchio, anche se ogni tanto qualche parametro me lo scordo oppure mi confondo ancora. Bisogna continuare ad esercitarsi.

Fare un emogas: il prelievo da emogas è un po' un casino. Ne ho fatti un pochino e va così così, ma siamo ancora lontani dalla pratica necessaria per fare sempre un buon lavoro.

Interpretare un emogas: con il difetto di qualche parametro (specialmente gli elettroliti) che non riesco a memorizzare ancora negli intervalli precisi, arrivo a osare di dire che - più o meno - l'emogas lo so quasi interpretare e da qui alla laurea penso che ci saremo.

Fare un ECG: mettere gli elettrodi sui pazienti sudati coi peli che non si appiccicano e poi si agitano e non stanno fermi è complicato. Mi è capitato di riuscire a farcela anche da solo, però, segno che tutto sommato non era complicato, ma semplice.

Interpretare un ECG: secondo me ci - quasi - prendo abbastanza spesso. Poi però ogni tanto ci sono le patologie cardiologiche assurde che non imparerò mai, o certe cose che proprio non si vedono. Penso che sarò bravino a leggere gli elettrocardiogrammi, alla fine, ma mai quanto un cardiologo o uno studente particolarmente secchione.

Interpretare lastre, TAC, risonanze magnetiche: di queste ne vedo molte, anche se - per il reparto dove sono - si tratta spesso delle stesse patologie. Cioè è facile vedere una cosa quando, tutto sommato, è proprio quello che cercavi. Ma, insomma, credo che andiamo benino anche qui.

Diagnosticare una malattia e dare la terapia adatta: fermo restando che le mie conoscenze teoriche sono tutt'altro che perfette e complete, la diagnosi è una cosa molto difficile per qualunque medico e - per come funzionano gli ospedali moderni - quando visiti un paziente sei già indirizzato comunque verso un certo tipo di patologia e non è in ogni caso detto che a una diagnosi si arrivi.

Diciamo che - per il momento - non mi sento assicuramente in grado di decidere e somministrare una terapia. Anche se inizio a ricordarmi un bel po' di farmaci (contro milioni di miliardi che invece non ricordo) e anche se credo che, per dare terapie, forse sia davvero troppo presto.

Interagire coi pazienti: sembra stupido, ma forse è metà del lavoro. Se coi pazienti ti incavoli, ti stanchi, litighi o non sai comunicare alla fine fai il doppio del lavoro. Se dei pazienti hai paura, ti impressioni, non te la senti di visitarli eccetera eccetera il lavoro - semplicemente - non lo farai mai.

Io in genere con i pazienti vado d'accordo. Arrivo a dire di essergli simpatico, almeno per quel poco che mi vedono. Nelle procedure che so fare sono abbastanza rilassato, mentre in quelle nuove mi irrigidisco un po'. Insomma sto avanti con la pratica, ma ne manca ancora.

Fare un'ecografia: sicuramente il mio progetto è di saper usare un ecografo dopo la laurea. L'idea è che userò un ecografo durante la tesi, ma ora come ora non ne ho mai toccato uno. C'è da dire che, per un medico semplicemente laureato, l'uso dell'ecografo forse è chiedere troppo.

Usare il fonendoscopio: lo strumento con cui si ascoltano il cuore e i polmoni. Io un pochino me la cavicchio: in genere riconosco un suono che non va, e che c'è una condizione patologica (e anche solo questo non è in fondo così poco). Però ho ancora difficoltà a esprimere a parole quello che ascolto, e a correlare il tutto con la patologia.

E ok. Diciamo che - più o meno - se il giorno della laurea fossi bravo in tutti questi punti mi sentirei soddisfatto. Ma mi sono scordato qualcosa?

Sicuramente sì, sicuramente anzi ne ho dimenticate troppe. E allora, aggiungetele voi: cosa vorreste, come minimo, che il vostro medico fosse in grado di fare?

Grazie!

Simone

27/04/13

Ritorno in ambulanza.

L'ultima volta che ero stato in ambulanza... era questa.
L'altro giorno c'è stato il ponte del 25 Aprile senza lezioni da seguire, senza il mio professore in reparto per frequentare, senza la benché minima voglia di studiare quello schifo di neurologia, e senza neppure aver organizzato nulla con parenti e amici vari.

E allora, visto che sono mezzo scemo, ho avuto la bella pensata di prendermi un turno in ambulanza e via: a sirene spiegate verso il popolo degli afflitti bisognosi e doloranti. Non per spirito umanitario. Non per anelito assistenziale. Non per imparare e nemmeno per fare pratica ma - semplicemente - perché se no mi annoiavo.

La non-noia (che qualcuno chiamerebbe divertimento) è una buona motivazione per fare volontariato? Io direi di sì. Direi anzi che è una motivazione salubre e condivisibile (non per niente: era la mia!) mentre se mi leggete da un po' avrete già intuito l'idea che quelli che si credono di salvare il mondo mi stanno leggermente un po' sulle scatole... e ancor leggermente un pochino di più se sono ingegneri o dottori o - peggio che peggio che mai - tutte e due le cose assieme.

Dopo questo interminabile preambolo, la prima cosa vagamente interessante è che era molto tempo che non facevo un turno di 118 con l'ambulanza. Saranno almeno quattro o cinque mesi, ma forse addirittura anche di più. Mi sa che era tipo un anno, se faccio i conti bene.

Ed ero un pochino abbastanza curioso di vedere un po' se tutta la frequenza in reparto di questi ultimi mesi si sarebbe vista, oppure no. Voglio dire: aver fatto un bel po' di esperienza come aspirante dottore, avrebbe cambiato il mio modo di comportarmi anche in divisa?

In fondo il ruolo del volontario è molto semplice: segui i consigli dell'infermiere di turno (parlare di "ordini" suona proprio brutto). Conforti i pazienti, porti la barella, litighi con chi c'ha voglia di litigare, utilizzi spinale, collari e altri presidi... io nemmeno sono autista, per cui di quella parte nemmeno mi occupo.

Che poi ora arrivano i volontari e ci restano pure male, per cui fammi elaborare meglio: il ruolo del Volontario del Soccorso (che neanche esiste più, come figura, ma lasciamo perdere) è impegnativo e richiede molte capacità. Ma non richiede di fare 5 anni di medicina, grazie al Cielo... a parte nel mio caso che invece evidentemente li ha richiesti, ma ok io sono una roba a parte.

E insomma, ero curioso di questo mio nuovo ruolo di semi-medico nei panni di un volontario. Soltanto che mannaggia alla miseria, ma io c'ho questa cosa che vorrei dire le cose ma poi mi pare di vantarmi e mi dà molto fastidio fare quello vanitoso, e sono 200 righe che ci giro attorno dicendo boiate... e allora non le dico, e basta.

Fine del post.

Simone

P.S.

Comunque sia, al di fuori del post, devo dire che sono molto contento di come è andata.

Mi è sembrato di avere sempre le idee chiare su quello che succedeva e sui pazienti. Ho fatto (credo) le giuste domande, conoscevo qualcosina sulle patologie... soprattutto, e questo è pesato tanto, l'esperienza che inizio a maturare mi ha dato molta più sicurezza di quella che avevo prima. Che poi magari prima ero uno particolarmente insicuro, e ci può stare che adesso sia semplicemente andato in pari... ma intanto, per dire:

C'è il paziente con un'emorragia, e chiedi se ha preso qualche anticoagulante. Coumadin? Aspirina? È in terapia per l'INR? Fibrillazione atriale?

C'è il paziente che ha febbre e dolore al collo, ma fai una manovra di Lasegue (o Làsegue, Lasègue o Laseguè. Dove si mette l'accento al concorso lo chiedono sempre e sì: quesa battuta l'avevo già fatta, ma in quel caso la manovra me la stavano insegnando!) e visto che è negativa forse non ci siamo presi tutti la meningite... almeno, a detta della semeiotica.

C'era una roba tutta sanguinolenta e schifosa. E tu la guardi per capire com'è e come non è e che alla fine, niente, non è che ti faccia più tutto questo effetto: è solo la centomilionesima cosa sanguinolenta e schifosa che vedi.

C'è quello che devi portare in ospedale dove pensi che gli faranno un ECG, delle analisi e magari una lastra del torace, e davanti ai parenti dici: dovrebbe venire in ospedale, dove probabilmente gli faranno un ECG, delle analisi e una lastra del torace.

E c'è l'infermiere che ti chiede se vuoi mettere un'agocannula... e tu tranquillo prendi e la metti senza fare casini e senza nemmeno troppo terrore.

Cacchio, regà: ve lo giuro, a me non piace dire cose che poi sembra che mi vanto e magari domani vado in reparto e mi cacciano e scopro che leggevano il blog e faccio pure doppia figura del piffero.

Però la differenza l'ho sentita davvero, sta cambiando veramente tutto. Speriamo di continuare su questa strada.

23/04/13

Il tirocinio in oculistica. O anche: la prima volta che mi hanno arrestato.

Strumento usato per vedere l'occhio, e poi dirsi... bo'?!
Credo che oculisti e oftalmologi siano in realtà la stessa persona, ma dato il livello di settorializzazione della medicina potrebbe uscire fuori che uno opera l'occhio destro e l'altro mette le lenti all'occhio sinistro, per cui intanto vi dico che il tirocinio l'ho fatto con entrambi.

Di maxillo-facciale (il chirurgo del cranio, tanto per capirsi) so invece che anche se sto in un settore che dovrebbe essere molto attinente è in realtà una delle materie che mi interessano meno in assoluto: la frattura di tipo X si opera mettendo 3 viti sopra e due sotto. Per la frattura di tipo Z, invece, va bene anche solo un po' di Vinavil.

Il fatto è che io le viti in testa non le voglio mettere davvero a nessuno, per cui - lo ammetto - non sarà mai tra le mie competenze migliori.

Il tirocinio però ce lo fanno tutti insieme, e andiamo al piano di testa e occhi (non si chiama proprio così, ma quasi) dove ci stanno i diversi reparti e un po' di pazienti che hanno in comune.

Insomma stiamo lì in 10 persone col camice dentro una stanza da visita, attorno a una povera signora anziana in vestaglia che si è prestata alla cosa e che hanno portato lì, dicendo: fate voi, visitatela.

Terrore e gelo totale o semplice "c'ho sonno fate voi" di buona parte dei colleghi studenti. Questa cosa del non volersi esporre durante i tirocini era così già dal terzo anno, ed evidentemente non è che sia molto migliorata.

Io però, che mi sto abituando a maneggiare schifezze e toccare pazienti moribondi, della vecchina non mi intimorisco più di tanto. Certo, non ho la minima idea di cosa fare e dire e al 99 virgola 99 per cento farò una figura del cavolo davanti a tutti... ma comunque, chissene frega, vado.

«Che cosa è successo, signora?» domando, facendomi avanti.

Anche se si vedeva subito, non ve l'ho ancora detto ma lei poverina ha tutto un livido tipo enorme sulla faccia e attorno all'occhio destro. Essendo ricoverata in ospedale, che sotto all'occhio nero possa esserci qualcosa di un po' più sostanzioso uno potrebbe pure arrivarci da solo... ma in realtà con tutta la mia svegliezza post quasi doppia laurea ho realizzato la cosa solo ora che scrivo queste righe.

«Sono caduta dalle scale» sorride lei, gentilissima. Vi confesso che ha troppa più pazienza di quanta non ne avrei io, in una situazione analoga. «Mi si è impigliato un tacco nel pavimento, sono inciampata e ho sbattuto la faccia».

Pregno di nozioni di pronto soccorso di base acquisite nel volontariato (che, diciamolo, da dottore al momento non ho imparato quasi una mazza) inizio con una serie di interrogatorio post trauma:

«È caduta perché ha perso i sensi?»

«No».

«Ha sbattuto la testa ed è svenuta dopo?».

«No».

«Ha preso farmaci di qualche tipo?»

«No».

«Ha patologie importanti?»

«No»

«Diabete, ipertensione, cardiopatie?»

«No, no, no».

«Dall'occhio che ha sbattuto, ci vede bene?»

«Ci vedo male. Ma è tale e quale a come ci vedevo anche prima».

Ok. Almeno una delle risposte non è stata un "no", ma una frase tutto sommato piuttosto ben articolata. Ma insomma - mi domando - ora che a domande non ho raggiunto un cavolo di niente, che cosa mi invento? Nel mio reparto, arrivati a questo punto, arriva il professore e risolve tutto lui, mentre qui va a finire che le mie pressoché nulle conoscenze di oftalmologia d'urgenza saranno presto la mia tomba.

In tutto questo i miei colleghi studenti non dicono una parola che sia una per darmi una qualsiasi specie di input su come andare avanti. Forse perché sono sempre atterriti dalla vecchina, o forse più probabilmente - e più consolatoriamente aggiungerei - perché non sanno che fare tanto quanto me.

In compenso ci pensa il professore a farmi capire che è un po' presto per andare in sala operatoria, e che c'è prima qualcos'altro da fare.

«Allora tutto qui?» dice. «Non guardi il paziente, non lo visiti, non fai nulla?»

E come no? La visita maxxillologica (?) è il mio pane quotidiano!

«Guardi verso di me».

Così dicendo mi metto di fronte alla paziente, e con tutta la faccia da culo che solo 10 anni da ingegnere possono insegnarti simulo la più verosimile visita neurologica che possiate immaginare.

Sfiorando con le mani la fronte e gli zigomi, vado tipo a valutare la sensibilità facciale. Credo. Che loro in reparto lo fanno sempre, anche se alla fine non penso di aver realizzato una beata minchia.

«Sente che la sto toccando?»

«Un po' meno dalla parte dell'occhio nero» dice la vecchina.

Intorno a me tutti quanti, studenti tirocinanti professori e specializzandi compresi, mi osservano in silenzio. Non so se mi daranno la laurea, ma almeno un oscar penso di meritarmelo. Ma adesso - mi chiedo - che faccio?!

E d'improvviso un fulmine a ciel sereno mi accende la mente: siamo a oculistica. La signora ha un trauma oculare. Potrei, addirittura, guardare... gli occhi!

Con due dita apro un pochino le palpebre della paziente, e guardo le pupille usando la luce del cellulare. Che lì accanto ci sta una lampada a fessura (quel coso che vedete nella foto) da migliaia di centinaia di euro non importa niente: che tanto non lo so usare.

L'occhio sinistro è ok. Almeno per me che non ne capisco niente. L'occhio destro invece ha la pupilla dilatata che non si restringe alla luce. Che - se ci pensate - è una cosa che non va tanto bene.

«C'è una midriasi» comunico al professore, ringraziando con tutto il cuore il corso base della Croce Rossa per avermi imparato questa salvifica parola. «Io farei subito immediatamente prima ancora di qualsiasi altra cosa, una TAC».

Lì per lì, mi sento troppo un figo: c'era una cosa difficilissima da scoprire, ma con l'aiuto di conoscenze generiche e del mio cellulare, ce l'ho fatta. Ora tutti penseranno che sono un grande oftalmologo d'emergenza, e ogni volta che apriranno gli occhi in piscina o che si accecheranno con lo shampoo sotto la doccia si diranno che c'è bisogno di me.

«La midriasi c'è per via del collirio che mettiamo prima della visita» è lo sconsolante referto del docente. «Prima non ce l'aveva».

Uhm. E vabbe': l'oftalmologia d'urgenza mi ha appena voltato le spalle. Ma almeno - mi dico - adesso so che NON ci sono reperti patologici.

«E allora, cosa fai?» incalza il professore.

Cerco aiuto nello sguardo dei colleghi, ma persiste il silenzio generalizzato e la mancanza di idee barra suggerimenti barra dite qualcosa voi che almeno non sono l'unico a fare una figura del cappero. Ma ancora niente di niente: sono stato abbandonato.

Mi faccio coraggio, e uso i dati da me ricavati tramite la pratica clinica per formulare una diagnosi così come si addice a un reale dottore.

«La signora non mostra segni di interessamento nerologico. La vista è normale, non ci sono segni di frattura, non c'è stata perdita di coscienza, ha un aspetto sano e non sembra che l'evento traumatico abbia causato delle complicanze».

«E allora che fai? La mandi a casa?»

Io veramente avrei fatto una lastra del cranio. Ma se gli dici lastra del cranio i chirurghi s'incazzano da morire, che loro stanno troppo avanti per richiedere esami così banali. Per cui, insomma, mi pare che la soluzione sia una sola:

«Sì» dico, con lo sguardo elevato di chi è convinto delle sue parole. Il volto fiero e l'animo spavaldo dei giusti. «La mando a casa, perché la signora non ha assolutamente niente».

E ok. Bravo, no?

Viene fuori che loro invece hanno fatto una TAC, e la signora aveva tipo una frattura orbitale tripla carpiata, di quelle che se non ti operi dopo qualche giorno succede come se avevi visto la cassetta di The Ring. E che io non facendo la TAC ero tipo passibile di una cosa strana che non ho ancora studiato, ma che in reparto chiamano galera.

E va bene, poco male. Come si dice? Chi fa il pane s'infarina. O anche: chi fa, sbaglia. Ed è pure vero che sbagliando s'impara. 

Il guaio è che si dice anche - tante volte - che chi sbaglia paga. Ma quest'ultimo proverbio, ve lo devo proprio dire, non m'è mai piaciuto per niente.

Simone

21/04/13

Da ingegnere a medico: l'unione dei due, tre... o quattro mondi.

Super schemino gigante da stampare e portare in reparto. O all'esame.
L'immagine che vedete qui accanto sulla vostra sinistra, dimostra ciò che rimane delle abilità grafiche sviluppate nel corso della mia "carriera" di scrittore emergente autoprodotto online.

Per fare le copertine dei miei libri, l'impostazione grafica dei miei ebook, per editare le mie foto o sistemare i miei blog, ho imparato un po' per conto mio a barcamenarmi con photoshop e programmi di grafica vari. Che poi sono sempre photoshop, visto che non ne esistono altri.

E adesso non è che sia questo maestro, ma con una copia di Gimp (che è sempre Photoshop, ma in una sua copia spudorata e open source che si scarica aggratis) e un po' di immagini raccattate per la rete ho messo insieme un mega fogliettone miniaturizzato da stampare e portarmi nel taschino del camice.

Sul fogliettone come vedete ci sono un bel po' di quelle cose importanti per saper interpretare un elettrocardiogramma, ma che allo stesso tempo trovo difficili da ricordare: lunghezze limite di PR, QT e QRS. Aspetto a blocco di branca destro e sinistro. Emiblocchi di branca. Asse cardiaco. Localizzazione dell'arteria infartuata e sindrome di Wolf Parkinson White.

C'è anche la scala di Glasgow in alto da una parte, che con l'elettrocardiogramma non c'entra un accidenti. Ma visto che ogni tanto mi chiedono di valutare lo stato di coscienza dei pazienti, mi pareva utile portarmi dietro anche quella. E il giorno che riuscirò a ricordarla a memoria la toglierò per inserire al suo posto qualcos'altro... ma per il momento quel giorno è alquanto lontano.

E non pensiate che io mi voglia vantare di un prodotto medico-grafico tanto scadente (e soprattutto tanto copincollato da lavori di altri)! Ma proprio ieri è capitato di parlare proprio di questo con l'amico Luca Batman Dredd Magneto Morandi, e riflettendoci un po' dopo più tardi per conto mio ho iniziato a realizzare che - in fondo in fondo - forse  in tanti anni non mi sono limitato a saltare di palo in frasca da un settore lavorativo a un hobby fino a un nuovo percorso di studio, come invece alle volte mi sembra di aver fatto.

In fin dei conti l'idea di unire tanti schemi in uno spazio ridotto (e soprattutto allo scopo di studiare di meno) potrebbe definirsi ingegneristica. L'argomento trattato è strettamente medico, mentre le competenze necessarie a mettere insieme il tutto - anche se chiamarle competenze è forse un po' più in alto del mio reale livello - sono nate da un'esperienzsa di tipo puramente creativo.

E insomma, a un paio d'anni dalla fine di questo percorso (e dall'inizio del percorso che verrà dopo) mi trovo a riflettere: posso essere ingegnere - o - medico oppure è sensato, possibile e anzi per certi versi inevitabile, essere ingegnere - e - medico?

Sulla carta, e nel mondo puramente burocratizzato dell'università e dell'ospedale, certi accostamenti non sono previsti e la cosa non ha nessun peso e non è neanche vagamente presa in considerazione. Potremmo al limite vederla come uno svantaggio, se ci limitiamo a considerare che devo competere con persone molto più giovani di me.

Io stesso avevo abbandonato un po' tante cose già fatte, relegandole in un passato che alla fine dei conti non mi aveva mai fatto sentire una persona davvero realizzata. Adesso però inizio a pensare che quel passato potrebbe non essere così da buttar via, e che - col tempo - molte cose finiranno per convergere e tornare inaspettatamente molto più "attuali" di quanto non immaginassi.

Simone

18/04/13

Studiare, da giovani.

Giovani studenti 40enni: manco i soldi per comprare 2 cuffie.
L'altra sera ho giocato a calcetto, con un po' di amici.

Non sono mai stato forte a giocare, anzi. Mi chiamano (o lasciano che mi imbuchi) solo perché in effetti siamo amici davvero, e se ci vado è quasi più per l'idea che dopo si continua la serata da qualche parte che per la partita in sé.

Infatti la mia squadra viene massacrata, per colpa non solo mia... ma quasi. Doccia, saluti e abbracci, e con qualcuno si finisce in un baretto dei soliti.

Dico che è lunedì e non devo fare tardi e devo stare buono che poi domattina chi si sveglia. Mangio qualcosa. Poi una birra, seconda birra, qualche sigaretta e shottino di Rum che manco lo volevo. E la mattina dopo, mi alzo che sono devastato.

Vado a lezione giusto perché devo firmare, e arrivo pure tardi. Durante la pausa inizo a parlare con qualche compagno di corso di quello che ho fatto in reparto, di pressione, defibrillatori e cose di profonda medicina come le tecniche per appiccicare le ventose dell'elettrocardiogramma quando non prendono e si staccano da sole.

Riprende la lezione, e come da manuale dello studente scalmanato ci mettiamo in ultima fila per continuare a parlare dei cavoli nostri come se fossimo in un mondo bello e distante dove le lezioni obbligatorie non sono noiose e inutili, e anzi gli studenti addirittura si divertono.

E invece non stiamo in un mondo distante proprio per nulla, e anzi a un certo punto il docente interrompe la lezione. S'incazza che facciamo troppo casino, ci fa un cazziatone che manco al Liceo... e si segna pure i nomi che poi così dopo se li ricorda e sono cavoli nostri: che poi all'esame alla fine - non lo so - mi sa che di sicuro a questo non mi daranno la lode.

Ci metto davvero un po' a capirlo, ma alla fine ci arrivo: mi hanno messo la nota sul registro come quando andavo a scuola! E vi sembrerà strano, ma a me questa cosa mi ha troppo cambiato la vita: sono stato tipo 3 ore a prendere in giro quegli altri che hanno preso la nota con me. L'ho scritto subito su Facebook e mi pare pure su Twitter, l'ho raccontato a tutti i miei amici e adesso ci sto facendo pure l'aggiornamento sul blog.

Sono uno studente scapestrato che disturba e che prende le note: e scommetto che il tizio di gioventù bruciata non era nemmeno ingegnere, povero piccolo sfigato con a malapena il diploma, che non fa paura proprio a nessuno.

Torno a casa contento e il sole che mi scalda la faccia attraverso i vetri dell'auto. La musica nello stereo e un sacco di idee e progetti per la testa.

Identifico una sorta di meccanismo di successo - gratificazione - buonumore: è capitato che in reparto ho fatto qualche bella figura. Mi sono alzato un po' le endorfine giocando a calcetto, e una serie di eventi positivi porta altre sensazioni positive e sono in un loop di neurotrasmissioni eccitatorie... o qualsiasi altra cosa ci stia spiegata sul libro di Neurologia: che finora ho letto appena due capitoli, e poi mi sono impantanato di brutto.

Oppure magari è solo l'alcool dell'altra sera. O ancora è vero che adoro il caldo e la primavera, e che dopo un periodo un po' sotto tono ci sta per forza un periodo un po' più allegro. Comunque vado a letto sempre stanco come un somaro azzoppato, le ore di sonno sono sempre troppo poche ma mi alzo la mattina che non vedo l'ora di ricominciare tutto un'altra volta da capo, e di tante cose che devo fare nella giornata posso dire che mi piacciono - quasi - tutte.

Alla fine è uno dei tanti momenti che ho passato in questi anni, nei quali ho capito che ho fatto bene a cambiare strada se quella vecchia non era la mia. Ho fatto bene a mollare tanti fagotti del cazzo e a ricominciare a studiare, anche se ha comportato un impegno davvero enorme.

E se anche 5 anni fa sarò stato un po' meno vecchio, in questo momento mi sento molto, molto più giovane.

Simone

15/04/13

Seconda laurea in medicina: Aprile, dolce... non dormire ma studiare, tirocinio, ospedale, lettera, testamento e futuro professionale.

Terapia intensiva: il reparto dove NON mi specializzerò.
Ok, da oggi in poi basta lamentele su tirocini pallosi, lezioni infinite, studenti insoddisfatti e piagnistei vari: sto alla (quasi) fine del quinto anno di Medicina, e se non prendiamo la cosa con il giusto entusiasmo qua finisce che al sesto ci arrivo che sono bello che schiattato.

Per cui vi elenco una serie di (spero) buone notizie e calorose novità del momento:

1) Abbiamo quasi definito l'argomento della tesi.

Praticamente mi sono sfogliato un po' di riviste di medicina d'urgenza. Poi ho scelto un po' di articoli che mi piacevano e li ho mostrati al professore... e insomma è venuto fuori che potrebbe andare una tesi sul confronto tra due diverse metodiche diagnostiche in una qualche procedura o patologia.

Ok, lo ripeto in Italiano: c'hai il mal di pancia. Ti studiamo il mal di pancia con i raggi X e con la risonanza magnetica, e poi vediamo quale delle due cose ha funzionato meglio. Facile, no?

Se poi consideriamo che - per ragioni a me oscure - nella medicina d'urgenza c'è questa passione insuperabile per l'utilizzo ovunque e in qualsiasi momento dell'ecografia, è probabile che la tesi richiederà l'uso dell'ecografo.

E saper utilizzare un ecografo, per un dottore, non è male. Almeno dicono.

2) Sto iniziando tipo a studiare.

Ve l'ho detto che ho dato Farmacologia? Sì. Ecco, orfano degli esoneri di farmaco da studiare praticamente sempre nel corso dei passati 2 anni e mezzo quasi tre, mi sono sentito pronto a intraprendere lo studio di una delle materie da dare a giugno.

Alla fine sto studiando Neurologia (che è BELLISSIMA), e poi farò credo Organi di senso (che è BELLISSIMISSIMA). Visto, non mi lamento più, fedele ai presupposti del post: queste materie mi fanno veramente c@g@r€, eppure dico che sono bellissime lo stesso.

3) Ho fatto il corso per la rianimazione pediatrica alla Croce Rossa.

Ora insomma sono abilitato all'uso del defibrillatore su emergenze pediatriche. Che però speriamo di non incrociare mai e stramai manco una mezza volta nella vita, ovviamente.

4) In reparto ho rianimato un paziente.

Cioè, ho aiutato a rianimare un paziente, ovvio che non ho fatto niente per conto mio.

Ho massaggiato, ventilato, hanno dato un paio di fiale di adrenalina e il cuore è ripartito. Poi l'hanno intubato e portato in rianimazione, e vorrei dirvi che sta bene ma la situazione non pareva proprio delle più rosee e insomma alla fine chi lo sa... intanto abbiamo fatto quello che bisognava fare.

Tutto sommato penso di aver fatto un buon lavoro, e l'anestesista che era lì me l'ha pure detto. Certo è strano che la cosa che forse mi riesce meglio come aspirante dottore sia una cosa che ho imparato con la Croce Rossa, del tutto fuori dall'ambiente universitario, medico e ospedaliero. Mi è già capitato di dire che la laurea ti dà una abilitazione professionale, ma che poi come si fa il dottore devi imparartelo un po' per conto tuo e arrangiarti. E non so se è del tutto vero, ma comunque in questo caso è andata un po' così.

Devo anche dire che non è che mi sia sentito particolarmente realizzato dalla cosa. Cioè è stato bello mettere in pratica tutti quei corsi fatti, e capire di aver fatto un buon lavoro, ma non è quello il genere di realizzazione che cerco. Arrivo a dire che non mi piace molto lavorare con pazienti non coscienti e in condizioni particolarmente critiche, intubati e non "collaboranti", come si dice in gergo medichese. Per cui insomma credo di aver capito che - dopo la laurea - non mi piacerebbe fare l'anestesista-rianimatore, come invece era tra le varie ipotesi che valutavo tempo addietro.

Sono personalmente convinto che certe manovre facciano parte del bagaglio indispensabile di qualsiasi medico (anche se nella realtà raramente è così, purtroppo) e che ancora di più nella medicina di urgenza capiti e sia necessario lavorare su pazienti incoscienti e che hanno bisogno di essere completamente gestiti dal personale sanitario. Ma inserirmi in una specialità che si occupa principalmente di quello, proprio come sua concezione, non penso sia la mia aspirazione principale.

Come ho detto tante volte, mi piacerebbe utilizzare il pronto soccorso e la medicina di urgenza per entrare in contatto con un grande numero di malati, di patologie e di possibilità per imparare e fare pratica. E poi mi piacerebbe avere i miei pazienti e gestire condizioni non necessariamente al limite della criticità e non per forza in una situazione di emergenza.

Io mi "vedo" come un incrocio tra uno specialista molto specifico, un internista e un medico generale.

E non è che questa cosa esista davvero, nella struttura molto rigida della medicina attuale. Però non esistono manco tanti ingegneri che diventano medici, e se continuerò sempre a sentirmi ovunque un po' un caso a parte (se non proprio un pesce fuor d'acqua) credo che farà sempre un po' parte del mio percorso personale.

Simone

12/04/13

Lo studente sfruttato.

Non si capisce nulla, ma questa è un'immagine sul lavoro.
Sembrerà strano un 37enne ingegnere che va ancora all'università. Penso che - ai più - uno come me dia l'idea di una persona complicata e un po' fuori dall'ordinario.

Ma a dire il vero penso di essere molto semplice nelle cose che faccio: ho deciso di laurearmi in medicina perché vorrei diventare dottore.

Mi piace poco studiare, ma con un pochino di fatica bene o male gli esami li passo... e vado avanti così.

Allo stesso modo, anche per la frequenza pratica in ospedale, ho fatto le cose senza particolari complicazioni: ho girato un po' di reparti, ne ho trovato uno che mi piaceva, dove mi trovavo bene e che mi pareva adatto per laurearmi sapendo fare per lo meno qualcosa, e ho deciso di rimanere lì.

E devo dire che a me piace andare in ospedale: se le lezioni le trovo inutili, studiare è noioso e i tirocini sono più una perdita di sonno che altro, stare nel reparto vero a fare le cose vere coi pazienti veri e vicino ai dottori veri mi piace molto. Mi diverte, oserei dire. Arrivo ad ardire di ammettere che - quando vado in reparto - nel fare quello che faccio provo addirittura una sorta di piacevole gratificazione.

Fare il dottore è un lavoro che mi piace, non c'è proprio dubbio. Che poi - alla fine - è iniziato tutto proprio per quello: non mi piaceva fare l'ingegnere, e pensavo che mi sarebbe piaciuto di più fare il medico. E ora eccomi qui.

Quando chiedi di poter andare in un qualsiasi reparto, in genere si viene affidati a un professore e si va lì quando c'è lui, perché altrimenti credo che in ospedale ci sarebbe ancora più casino di quello che già c'è. E visto che il mio professore ha orari variabili di mattina, pomerigio oppure di notte, anche io frequento la mattina, il pomeriggio o la notte quando insomma so di trovarlo.

Ma - lo ripeto - io mi diverto ad andare in reparto. Ci vado perché voglio farlo, perché mi piace e perché - da un punto di vista puramente pratico - lo trovo interessante, formativo e utile. Arrivo a dire che le pochissime cose che so e che so fare le ho imparate lì dentro, mentre molti esami (per non fare il solito qualunquista, e dire tutti gli esami) non mi hanno insegnato gran che.

Eppure, parlando con gli altri studenti o leggendo in forum e discussioni online, mi capita di sentir dire cose del tipo: in reparto ti schiavizzano. In reparto fai il lavoro degli altri e ti sfruttano. In reparto ci vai solo per leccare il didietro in modo tale che ti facciano entrare in specializzazione.

E vabbe'. Devo ammettere di pensare che qualcuno magari su questa cosa esageri un attimo: vai in reparto, ti fanno fare un ECG, un prelievo e mettere due cerotti, e invece di ringraziare il Cielo che non ti hanno semplicemente ignorato vai in giro a dire che hai fatto tutto te che ti hanno sfruttato e che sei stato lì tutto il giorno a pane e acqua senza nemmeno vedere Dragonball all'ora di pranzo.

Ma ok, a parte questi casi che saranno davvero una minoranza, sono sicuro che è vero e che in almeno alcuni posti le cose stanno certamente così: gli studenti vanno lì per imparare, ma qualcuno se ne approfitta.

Ecco: io devo ammettere che da una situazione del genere sarei scappato a gambe levate. Il mio interesse come futuro medico è essere un buon medico (cosa questa che non darei affatto per scontata). Non cerco particolari aiuti per la mia carriera, visto che tutto sommato ne ho mollata già una solo per fare qualcosa che mi piaceva di più. Non me ne frega nulla del posto particolarmente prestigioso o ambito, e se alla fine troverò una specializzazione decente tanto meglio, altrimenti ho sempre detto che vanno bene anche master e corsi post laurea o anche - al limite anche se ancora non so se mi piacerebbe - la bistrattata medicina generale.

Dalla mia, trovo che forse il piacere di far pratica come futuro medico nasce anche dallo stare a contatto con colleghi che mi rispettano, e accanto a persone che si preoccupano di insegnarmi qualcosa invece di aspettarsi al contrario qualcosa da me.

Il mio consiglio, ovviamente, è di cercarvi un posto analogo.

Simone

08/04/13

Diventare medico, e affrontare la sofferenza dei pazienti: la paura di Francesco.

Veterinario atterrito da animali ipertiroidei.
Ciao Simone, innanzitutto scusami per il disturbo: immagino tu sia impegnatissimo con lo studio.

Insomma è da un bel po' che seguo il tuo blog, e solo ora mi è venuta l'idea di raccontarti un po' della mia (brevissima) storia universitaria, forse anche un po' per sfogo personale, con la speranza magari di ricevere qualche consiglio o non so che.

Sono uno studente di medicina del 1 anno, per ora a posto con gli esami del primo semestre. Media che neanche io so come ho fatto a raggiungere ma vabbè, questa è un'altra storia.

Il fatto è che io sono convintissimo di voler andare avanti con questi studi, e non mi spaventa l'idea di doverci passare le notti e tutto il resto.

Quello che mi piace di più della medicina, credo (anche se forse è troppo presto per parlarne perché non ho ancora fatto niente e amalapena riesco a riconoscere i vetrini a istologia) è il rapporto con il paziente. Però è anche quello che mi spaventa di più.

Mi spiego meglio: io credo che questo tipo di percorso sia un grande impegno a livello culturale-scientifico, però quello che lo rende unico rispetto a tutte le altre cose è il doversi rapportare con la persona che sta male, la persona che soffre.

Non so se io sono troppo sensibile o se sono una mezza checca o vattelapesca: il fatto è che un po' di tempo fa ci hanno portato in reparto, in gruppi di 4-5, per farci vedere un po' come funzionava.

Siamo stati in terza clinica chirurgica al policlinico e, insomma, ci hanno fatto vedere come medicavano i pazienti che avevano subito una colonstomia, e come si faceva un'anamnesi.

Insomma c'erano un paio di assistenti, o non so che, che seguivamo e ci facevano vedere un po' come funzionavano le cose. Dopo parlando anche con gli altri tutti quanti erano supereccitati per il privilegio ricevuto, cioè di poter entrare subito in reparto, e anche io sì, lo ammetto, ero contento.

Però a distanza di giorni la differenza è che io sono veramente rimasto sconvolto anche dal vedere i volti dei pazienti, come la malattia li stava consumando e tutto il resto. Ed è un po' che cerco di capire se riuscirò ad essere forte e superare questa sensazione, o no.

Il fatto di dover affrontare la sofferenza e la morte mi spaventa tantissimo, e non so neanche se sia possibile o giusto 'abituarcisi' anche se probabilmente alla fine il medico deve farsi forza per il paziente, perché un medico fragile forse non serve a molto.

Insomma a me spaventa tantissimo questa mia fragilità. Per me il problema non è guardare una ferita squarciata o vattelapesca: per me il problema è la faccia del paziente, e ogni volta mi si stringe quasi il cuore se mi rimetto a pensare a queste cose.

Magari sarà capitato anche a te o a qualcun altro di provare sensazioni simili, non so...

Se hai tempo di leggere tutta questa pappardella ti ringrazio tantissimo. In bocca al lupo per i tuoi studi e per tutto il resto!

Francesco

05/04/13

I professori più bravi.

Docente di chimica suggerisce risposte errate durante un test.
Ditemi voi se è giusto:

Ho studiato e frequentato il reparto anche sotto Pasqua. Anche ieri pomeriggio sono andato in Pronto Soccorso (tra l'altro un turno con pazienti davvero impegnativi) e poi ho ripetuto gli antiepilettici fino a notte inoltrata.

Stamattina non sono andato a lezione per ripetere un po' meglio... e che succede? In aula è arrivato uno mai visto prima, che non ha trovato di meglio da fare che mettersi a fare l'appello come al Liceo, e mi sono perso 2 frequenze.

Che io poi a lezione ci vado sempre sempre sempre, proprio sempre davvero. Un po' perché la mattina non ho un cazzo da fare e altrimenti dormirei (anche se non sarebbe così sbagliato) e un po' perché durante le lezioni non sento assolutamente quello che dicono, e sfrutto il tempo per studiare altre materie per i prossimi esami.

L'altro giorno - ancora per farvi capire - sono andato al tirocinio obbligatorio. Non il reparto di medicina d'urgenza per la tesi: parlo dei tirocini allegati ai corsi e che fanno parte dei singoli esami. E vabbe': il tirocinio non si è svolto proprio, però i professori prima di mandarci via hanno comunque preso le firme per controllare chi c'era e chi no.

E insomma, vabbe', capito? Io è da non so quanto tempo che mi faccio un culo immane per seguire, andare in reparto, andare ai tirocini e dare gli esami, ma questi qua come sgarri un attimo stanno lì a controllare e ti mettono i bastoni tra le ruote... anche se poi le lezioni fanno schifo e i tirocini manco li fanno e si riducono in un appello e nient'altro.

Non vi dà un fastidio enorme 'sta cosa qua? La burocrazia come tecnica per rovinarti la vita da persone che - tutto sommato - della tua vita sene stra-ultra-mega-fregano. Io 'ste cose non le sopporto, e se punto a laurearmi il prima possibile fosse anche con 18 di media è solo per allontanarmene il più presto possibile.

Poi comunque vabbe', alla fine Farmacologia l'ho fatto: era il nono esonero di nove, ed è pure andato mediamente bene.

E la professoressa di Farmacologia, invece, è una che fa un lavoro gigantesco: fa lezioni di 4 ore dove praticamente DETTA cose da sapere parola per parola (al contrario di gente che per 2 ore dice solo minchiate). E se pure senza lezioni l'esame non lo passerai mai, non le è mai venuto in mente nemmeno mezza volta di fare l'appello e di controllare chi fosse presente e chi no.

Poi, per il fatto che l'esame è diviso in tanti sotto-esamini parziali, questa professoressa per smaltire l'enorme coda di studenti si ritrova a dover fare 2 appelli al mese con 60 persone da interrogare, e sta lì ore ore ore e ore a chiedere e richiedere sempre le stesse cose facendo pure finta di non averne le scatole strapiene.

Oggi insomma ho dato l'ultima parte dell'esame, e l'ho verbalizzato. Fine, chiuso, basta così: Farmacologia è finita.

E per la prima volta su 50 esami che ho dato, dopo aver firmato il verbale (che farlo prima mi pareva davvero poco elegante) ho dato la mano a un docente e le ho fatto i complimenti per l'impegno che mette nel proprio lavoro. Che un professore che si fa un mazzo davvero così non l'avevo mai, dico mai davvero visto.

Poi pensi che prende lo stesso stipendio di quello che viene, fa l'appello e se ne va senza fare lezione... e capisci che sei dentro a un meccanismo bacato dove ognuno fa quello che gli pare e come gli pare, a partire dall'ultimo degli studenti fino al primo più in alto di tutti che sta lì al vertice della piramide... e che alla fine tutto quello che ci guadagni, a impegnarti e a dare di più, è un ringraziamento, un sorriso e qualche stretta di mano.

Un po' poco forse. O forse tanto... ci sto riflettendo e non trovo una risposta da dare con certezza. Dipende tutto - credo - dal tipo di persona che sei.

Simone

03/04/13

Da Ingegneria a Medicina, perdendo due anni? Il dubbio di Daniele.

In alcune culture, 2 anni equivalgono a 24 mesi.
Ciao Simone, sono Daniele e ti seguo assiduamente ormai da un annetto!

Ti spiego meglio: mi ritrovo troppo in quello che scrivi. Anch'io - come te in passato - sto studiando Ingegneria. Però Elettronica.

Beh, io c'ho 21 anni e sto al secondo anno. Dirai "beh dai, l'anno prossimo ti laurei!". Macchè! Sto a 3 esami fatti: Inglese che me l'hanno abbonato col Trinity (si, millanto un esame che non ho nemmeno sostenuto! :P), Metodi Matematici (un esame della Madonna che comprende Analisi 2 e Complessa, dalle curve alle Trasformate di Laplace, tanto per capirci) ed Elementi di Elettronica, che per quanto l'ho studiata a cazzo è un miracolo se so cos'è un transistor! E l'andazzo non sembra migliorare.

Sto in Croce Rossa dai 18 anni appena compiuti. Mettici pure che al liceo l'unica materia che è stata fatta bene (in cui, appunto, sono uscito col 10) era Biologia, e proprio negli ultimi 2 anni si è studiata l'anatomia e la fisiologia umana (per quello che possa significare studiare 'ste cose ad un liceo scientifico). Beh, è stato quasi amore!

Dall'altra parte però c'era sempre quella "passione" (è virgolettata, sì, perchè non so più come definirla) per tecnologia, l'informatica. Allora la scelta era tra le 2: mi godo l'estate e vado a fare Ingegneria Elettronica pur non avendo mai fatto matematica al liceo ("eh sì, tanto sono uscito con 94 che vuoi che sia, sarà na cazzata come al liceo") o mi metto sotto torchio 'sti 3 mesi, provo il test di ammissione e mi butto in questa nuova "cosa" che ho scoperto piacermi?

Sono pigro, ti dico solo questo. :)

Insomma, ti ho già rotto le palle abbastanza, vedo di concludere: sono arrivato al punto di aprire il libro di Telecomunicazioni o di Elettronica Analogica e dire "Madonnacheppalle" (si, tutt'attaccato) e questo mi porta a non capire se sono io che non vado o che altro, perchè queste materie si, mi piacciono, mi affascinano, ma non le so studiare e non mi piace studiarle.

L'anno scorso l'ho pure provato il test di ammissione a Medicina, ma c'ho studiato 3 settimane, a tempo perso dopo i turni da full immersion in Croce Rossa. Il risultato? Uno schifosissimo 32,75.

Insomma, non so se riprovarci ora, più in là o non riprovarci affatto. Il cuore mi dice di riprovarci SUBITO, ma la mente e la coscienza verso i 2 anni di Ingengeria, oddio ma nemmeno di Ingegneria, verso i soldi cacciati fuori dai miei per mantenermi (inutilmente) fuori sede.

Dopo tutto 'sto sfracassamento di palle che ti ho scritto, chiedo consiglio a te, che magari 'sta cosa l'avrai pensata qualche volta.

Ti chiedo scusa se ti ho preso come psicologo personale, ma ti ho scritto tutto così, di getto, come mi veniva, senza rileggere niente. Non ti conosco, ma leggendoti oramai ti ho preso come un vecchio amico.

Ok, s'è fatta l'una e 10, buonanotte dottore...

Daniele

01/04/13

Svengo alla vista del sangue... e penso di lasciare medicina!

Solo a mettere questa foto sono svenuto due volte.
Lo so, sembra incredibile... ma tant'è, anche se è difficile anche solo dirvelo.

Ieri sono andato in reparto. E insomma senza farla tanto lunga, è uscito fuori che finalmente - dopo cinque anni di tirocini inutili - mi hanno chiesto di fare un prelievo a un paziente.

E io ok che un po' ero ansioso e già lo sapevo, per cui pensavo che ce l'avrei fatta. E invece... nemmeno avevo bucato il paziente che sono svenuto. È bastato mettere il laccio e cercare la vena, per quanto sono impressionabile!

A parte la figura che non vi dico in reparto, coi pazienti e i professori, ora che faccio? Non so se è una cosa che si può superare: già solo al pensiero di riprovarci sudo freddo e mi gira la testa!!! :(

Bo'. Così, su due piedi, direi che non posso fare il medico. E scoprirlo dopo tutto questo tempo mi fa una rabbia... ma come faccio? Se ci avessero fatto fare qualcosa di più pratico già da prima, come dico sempre! E invece nulla, sono dovuto arrivare alla fine del quinto anno per rendermi conto che come prendo una siringa in mano svengo!

Quasi era meglio che in reparto nemmeno ci andavo: almeno mi laureavo senza aspettarmi niente del genere, e poi dopo non so, mi sarei inventato di far fare sempre le cose agli altri o di fare una specializzazione dove non fai niente: tipo psichiatria, medicina legale o immunologia.

Ma adesso, dopo tanto impegno, stare così... bah.

Mi sa che è il caso che ci penso bene, ma probabilmente a questo punto lascerò perdere e tornerò a fare l'ingegnere.

Sono molto, molto depresso da questa cosa. Ma che fare? Niente, non c'è soluzione. Temo.

Simone

Qui trovate altri dettagli sull'emofobia, la paura del sangue...