29/11/13

User unfriendly.

Il nuovo computer che vi aiuterà nel lavoro.
Nel mio reparto ci stanno gli sfigmomanometri (i cosi per misurare la pressione) a parete.

Quelli tondi, belli grossi, attaccati al muro che così (nell'idea di chi se li è inventati) ce ne sta sempre uno accanto a ogni barella e soprattutto chi passa di lì non può fregarseli tanto facilmente.

Questo nell'idea. Nella pratica lo sfigmomanometro sta attaccato al muro, e il paziente a cui devi prendere la pressione sta nell'altra stanza a 28 metri 3 porte e 5 pareti più in là, e se non smonti quel coso dal suo supporto e non te lo porti appresso non ci arriverai mai.

Il fatto è che - non essendo pensati tanto per stare in giro quanto per stare appesi - dopo un po' che li smuovi e li appoggi per tutto il reparto gli sfigmomanometri a parete iniziano a funzionare male.

Intanto già di loro sono vecchi come il cucco. E quando stringi il manicotto e lo gonfi senti il tessuto a strappo ormai usurato che cede cede cede finché il manicotto non si apre con un prrrrrrrrrrrrrr che sfiata tutto e il paziente ti guarda con la faccia come per dire: ma guarda che dottore coglione che m'è capitato.

Poi a forza di prenderli e sbatterli c'è quello con la lancetta piegata che segna una pressione che devi più indovinare che leggere. Quello col vetro rotto che se lo afferri male muori e quello che perde aria e si sgonfia talmente in fretta che per leggere su che numero stavi quando hai sentito il primo battito devi rallentare il tempo tipo i videogiochi di Max Payne.

Poi c'è l'elettrocardiografo.

Arriva il paziente critico. Tu scopri il torace, metti gli elettrodi con quelle cacchio di ventose che non prendono mai e devi reggerle a mano, premi "stampa" sullo strumento con non si sa bene quale arto ti è rimasto libero e lui:

1) Si spegne se non avevi attaccato la spina.

2) Non stampa un bel tubo perché non si sa perché, forse è rotto.

3) Decide che comunque non stampa, perché SECONDO LUI hai messo gli elettrodi male.

4) Stampa ma s'inceppa la carta.

4) Stampa e non s'inceppa ma lo sportellino chiudeva male e sulla carta chimica non si legge una mazza.

Ora, io dico sempre: quando sarò medico io, comprerò un maledetto elettrocardiografo che se premo il tasto stampa E ZITTO, perché il dottore sono io e lo decido io come stanno gli elettrodi. Per lo sportellino che non si chiude, invece, ci metterò un pezzo di scotch.

Vabbe'. Presa la pressione, fatto l'ECG: mancano i prelievi.

Faccio il prelievo arterioso. E fin qui ok, che almeno il Padreterno non c'ha comprato le arterie facendo un appalto al ribasso, e quando le buchi - in genere - il sangue ancora esce. Vado alla macchina che analizza i prelievi. Infilo il cappuccetto nella siringa, il cappuccetto aspira un po' di sangue e... e... "campione non rilevato". O rivelato. O come accidenti si scrive.

"Inizio test di qualità. Il test di qualità termina tra... 3 minuti".

Cioè capito? Come tocchi il tasto sbagliato, quell'accrocco malvagio prende e si mette 3 minuti a farsi i cavoli suoi, e tu fermo lì con la siringa in mano ad aspettare che abbia finito.

Ma se c'è un'emergenza? Se chissene frega del controllo di qualità, intanto dimmi almeno quello che mi puoi dire? Dove si interrompe 'sta cosa? Non c'è semplicemente un tasto che posso premere?

No. Puoi solo aspettare.

E poi, l'altro giorno, durante il controllo è apparso questo:

"Microgoagulo rivlelvato. Nuovo test in corso. Il nuovo test termina tra... 9 minuti".

In 9 minuti il prelievo arterioso altro che microgoaguli, si macrocoagula tutto! E mo' spiegalo tu al paziente che devi ribucarlo, perché la macchina dell'emogas ci odia.

E una volta poi fatti i vari esami, a uno piacerebbe - che ne so - aprire il computer e vedere la TAC o le lastre che magari sono state fatte... anche solo - così - per imparare qualcosa.

Solo che c'è la cazzo di privacy, e per aprire il computer ci vuole la password che a te non te la danno per via della privacy, e ce l'ha solo il professore. Allora insegui il professore per farti mettere la password, e dopo mezz'ora un'ora due ore diciamo che ha un minuto libero tra un paziente e l'altro, e ti dà retta.

Solo che il programma per vedere le immagini è mezzo buggato e ogni tanto prende e s'impalla, e il professore deve metterti la password di nuovo... ma solo dopo che hai chiuso tutti i processi con ctrl+alt+canc o - una volta sul 3 - scoprire che s'è impallato veramente di brutto e devi per forza spegnere il PC e riavviare tutto da capo. 

Sperando, ovviamente, che si riaccenda.

Simone

23/11/13

Una settimana un po' moscia.

Riassunto grafico della settimana.
Questa settimana è stata un po' moscia:

Non ho avuto tirocinio la mattina (si ricomincia tra un'altra settimana) e ho avuto meno turni in reparto del solito. Le lezioni invece sono sempre quelle che sono, per cui - anche con tutto l'entusiasmo del mondo - non è stata certo questa botta di vita.

La settimana è stata moscia anche emotivamente, diciamo, e i dubbi per il dopo laurea iniziano ad allargarsi anche sul pre-laurea: alla fine sto quasi per laurearmi, tutto quello che so fare è lavoricchiare in pronto soccorso (per lo più, i un pronto soccorso medico) e con buone probabilità - dopo la laurea - in un pronto soccorso non ci lavorerò mai.

Bo'?! Trovo sinceramente assurdo più che altro che non ci siano percorsi predefiniti o esperienze di altri medici. Sembra come se dopo non essere entrati in specializzazione i dottori scompaiano, e che nessuno sappia più niente di niente di loro. Il dopo laurea è il regno del mistero e del silenzio, uno spazio ai confini della realtà dal quale nessuno è mai realmente tornato per raccontarci che cosa succede.

Penso che devo decidermi a parlare di nuovo un po' meglio col mio professore e con chi gestisce il pronto soccorso: se faccio il master e non mi specializzo, cosa posso realmente fare, dopo? Ed eventualmente non fare più il master in medicina d'urgenza ma qualcosa di più rivendibile nell'ambito privato.

Vabbe'. Terzo grado di moscità della settimana, è che ho ripreso a studiare un po' più seriamente pediatria. L'esame sarà il 20 Dicembre (una specie di regalo di Natale... sempre se lo passo) ed è di una noia noiosa annoievole e annoiante.

Non che io ce l'abbia con la pediatria in alcun modo! Solo è che è proprio 'sta cosa di studiare nozioni che tanto hai già capito e metabolizzato, in questo mio undicesimo anno di lezioni e di esami, mi ha veramente un po' sfinito.

Direi semplicemente che - in questi anni - mi sono tanto appassionato alla medicina ospedaliera, ai reparti, al pronto soccorso e al lavoro da medico quanto assolutamente disamorato e allontanato dallo studio, dall'università e dalla burocrazia universitaria.

Ma - e questo l'ho detto già tempo addietro - se l'università ti piace alla fine è un problema, perché rischi che non vuoi andartene più. Quando invece ne hai davvero fin sopra la cima dei capelli, allora quello è un ottimo stimolo per trovare la forza di superare pure gli ultimi esami e la tesi, e scappare via.

Quarto e ultimo grado di moscitudine, la pioggia.

E lo so che parlare delle condizioni meteo è il modo migliore per ammosciare gli entusiasmi pure di chi ti segue (a meno che tu non sia un metereologo... nel qual caso torneranno al contrario spesso a cercarti). Però sta pioggia m'ha proprio rincoglionito: come esco all'aperto sta lì che mi aspetta e riprende immediatamente e mi fradicio tutto e meno male che non avevo tirocinio, se no a girare per il policlinico sotto la pioggia tutte le mattine alle 8 era un incubo.

Che poi, ora che ci penso: non ho avuto tirocinio proprio la settimana in cui pioveva sempre (e tutt'ora non accenna a smettere). Così non mi sono bagnato e non ho passato tutte le mattinate a imprecare e ad asciugarmi alle macchinette del cesso dell'università.

E allora rettifico tutto: questa settimana mi ha detto non bene, ma benissimo! Pioveva a dirotto, ma io ho preso il quantitativo di pioggia sindacale minimo indispensabile.

Una settimana - davvero - fantastica.

Simone

19/11/13

Quattro momenti di gloria in reparto.

Festa studentesca con manifestazioni di stima verso di me.
1) L'altro giorno andiamo in reparto e non c'è uno che ci si fila.

O meglio ci si fila uno specializzando:

«Che lo sapete fare l'emogas»? ci chiede.

Tutti quanti rispondono "no, no, no"... a parte io che dico "sì. Gestisco anche un blog in cui non si parla d'altro".

Risultato: l'emogas sono io che lo faccio, e spiego agli altri come si fa.

Poi siccome non ci si filava ancora nessuno prendo l'elettrocadriografo e spiego sempre io agli studenti come si fa l'ECG e come si legge... anche se ho il dubbio che questa cosa invece già la sapessero.

A un certo punto stiamo nel corridoio del reparto e ho 3-4 persone in camice che mi seguono: e io mi sento un gran figo e mi do tutte le arie e spiego con sagace arguzia agli astanti che - quando sarò il capo dell'ospedale - avrò un codazzo così lungo che arriverà la fila fino alla metro.

Poco dopo arrivano i risultati dell'emogas che ho fatto prima: purtroppo non ho preso l'arteria, ma ho fatto un prelievo di sangue venoso e insomma è da rifare e il codazzo si disperde rapidamente mandandomi affanculo.

È stato bello finché è durato.

2) Arrivo in pronto soccorso, e uno specializzando mi chiede:

«Ho un sospetto sui polmoni di questo paziente. Che puoi dargli un'occhiata con l'ecografo?»

Diciamo che non mi pare vero: prendo l'ecografo col carrello gel sonde varie e tutto il resto. Mi metto lì con anestesisti studenti e specializzandi che mi guardano, faccio una dissertazione sull'ecografia polmonare con tanto di crediti ECM e - col tono da dottore figo di greisanatomi - confermo pure il sospetto diagnostico.

Cioè, capito? Ormai sto così "avanti" che mi chiedono i consulti! Fantastico.

Anche se - a farmi due conti - io personalmente mi curerei in un ospedale diverso.

3) Il giorno dopo vado a lezione e in più di uno studente mi chiedono:

«Quand'è che vieni con noi al tirocinio, così ci spieghi qualcosa?»

Vedete che il passaparola funziona? Un domani mi basterà fare la stessa cosa trovando il modo di farmi pagare e la mia carriera sarà praticamente al top... anche se il fatto che tutti ridevano mi lascia il vago dubbio che mi stessero prendendo per i fondelli.

4) Questo ultimo non è in reparto... e non lo era nemmeno quello prima, ma non rompete:

Mi invitano a una festa degli studenti. Io vado a cena con gli anziani miei coetanei, e il tutto solo per poter dire a una cert'ora: "vi lascio che vado a una festa di noi giovini studenti universitari".

Tra lo sgomento e stupore di tutti insomma vado alla festa. Arrivo, e scopro che hanno tipo un bancone degli alcolici costruito smontando e riarredando la casa in cui sono in affitto.

«Che t'offro, ingegnè?» mi fa uno dei miei compagni di corso, con alle spalle una vetrinetta piena di bottiglie e bottigliame vario? «Lo vuoi un rum e pera?»

E che vi devo dire? È troppo bello avere di nuovo vent'anni.

Simone

15/11/13

Università dopo i 30 anni: tra lezioni e tirocini.

Sconforto collettivo per l'ennesima lezione sul LES.
I tirocini del sesto anno di medicina, funzionano che bisogna frequentare per una settimana il reparto relativo a ognuna delle dieci - circa - materie che stiamo seguendo.

Bello, no? In teoria, sì.

Nella pratica, tolti qualche docente e ambulatorio particolarmente interessante (per i quali in genere trovate un raccontino sul blog) è capace che non ci si fila nessuno e stiamo lì ad annoiarci e ad aspettare che arrivi un'ora in cui appaia particolarmente verosimile che "dobbiamo andare a lezione", mettere l'eventuale firma di presenza e andare via.

Mi è capitato pure di essere io a spiegare un paio di cose agli altri studenti, perché già le avevo viste in reparto da me e loro no. Ma vi pare normale? E invece sì, purtroppo sì: è l'assoluta normalità.

I corsi del sesto anno - invece - sono una sorta di permutazione degli esami degli anni passati. Argomenti veramente nuovi ne avranno fatti sì e no una decina su più di cento e passa ore ormai spese sui banchi, e di quante volte abbiamo rivisto tubercolosi, reflusso esofageo o connettiviti varie ho perso il conto ormai da anni.

Tanto per farvi capire: l'altro giorno arriva un docente, e ripete una lezione che lui stesso aveva tenuto anni fa (utilizzando le stesse identiche slide!) Poi a un certo punto arriva un altro professore, vede che in aula a seguire siamo tipo in 20, e s'incazza da morire minacciandoci di ripercussioni, vendetta, morte e - soprattutto - tremende difficoltà aggiuntive in fase di esame.

Ma che ci posso fare io se la gente si è rotta le palle e all'università manco ci viene più? Se non altro, se la prendessero con loro e non con me e i pochi sfigati che ancora frequentano.

Riassumendo il tutto: al tirocinio ci annoiamo, a lezione siamo quattro gatti, e il più delle volte uno si ritrova a domandarsi: "ma che ci sono venuto a fare?"

La risposta è che in tutta questa enorme baracca sul punto di sbriciolarsi che è il sesto anno di medicina, ogni tanto arriva il professore bravo che fa una lezione che ricorderai, o al tirocinio ti capita qualcuno che ti spiega una cosa nuova che ti resterà impressa per tutta la vita... anche se magari è una cosa tremendamente sbagliata, nel caso che te l'abbia spiegata io.

È tutta una questione di essere nel posto giusto al momento giusto, insomma. E visto che i momenti giusti sono decisamente rari, l'unico modo per beccarne qualcuno è esserci - praticamente - sempre.

Lo studio della medicina, arrivati a questo punto, è un po' come una di quelle presse giganti dei film che schiacciano le macchine riducendole a dei cubi di metallo: io ci butto dentro una giornata di 12 ore, e ne ottengo in cambio un cubettino di qualcosa che forse quel giorno mi sono riportato a casa da mettere al pizzo, nella mia collezione di giornate spiaccicate tra tirocini e reparti vari. Anche se non sempre l'impegno che uno ci ha messo appare proporzionale al risultato prodotto.

Simone

12/11/13

Quando un paziente muore.

Attesa all'ingresso di un Pronto Soccorso.
Un giorno qualunque di un mese qualunque, in un ospedale non qualunque, perché è quello dove faccio tirocinio io.

Ho finito di seguire le lezioni. Saluto un po' di colleghi studenti: ciao ciao, ci vediamo domani, abbracci e baci, e vado in reparto.

Apro l'armadietto, e con una mossa stile cavaliere oscuro mi infilo il camice che avevo lasciato appeso con tanto di fonendoscopio, saturimetro e tesserino ancora in tasca. Richiudo l'armadietto, in un attimo faccio le scale ed entro in pronto soccorso.

E subito dietro la porta, trovo che stanno rianimando un paziente.

«Dai il cambio al collega» mi fanno prima di immediatamente di subito, che io manco ho ancora capito cosa stanno facendo. «Sbrigati!»

E io non so nemmeno che accidenti è successo: 3 minuti prima stavo a lezione a scrivere "sono a lezione" su Facebook, e 3 minuti dopo sto lì a comprimere il torace di uno mentre guardo l'elettrocardiogramma sul monitor è penso: dai - cazzo - riparti. Dai - riparti - cazzo.

Non me lo ricordo di preciso, ma potrebbe essere che a un certo punto l'anestesista abbia chiesto "un'altra fiala di adrenalina".

Qualcuno passa il farmaco, qualcun altro lo manda in vena. E io sto lì che comprimo mentre un altro dà l'ossigeno e intorno c'è il casino totale in parte direttamente legato alla rianimazione in corso, e in parte il casino fisiologico del pronto soccorso che va avanti per i cavoli suoi.

Comprimo e mando giù il torace sentendo le costole che scricchiolano sotto le mani. Il camice mi mette caldo, sono rosso in faccia e già comincio a sudare. Guardo il volto del paziente e lui, in compenso, è blu.

«Aspetta».

L'anestesista mi ferma per controllare i parametri vitali. Fissiamo tutti il monitor, e la linea che scorre è una tavola piatta senza manco l'accenno dell'ombra di un'onda che fosse una: il cuore è fermo.

Riparto con le compressioni. Si fanno altri farmaci, altri controlli. Ma più passa il tempo, e più quello che sarà l'esito finale inizia a farsi evidente.

Qualcuno dà il cambio a me, e io passo alle vie aeree. Spingo la maschera dell'ossigeno sopra la bocca del paziente, mentre qualcosa di viscido mi inzacchera i guanti. Sto tutto storto tra la barella, il monitor e la parete. Iperestendere è difficile e mi fa male la mano. Il mio ritmo, adesso, è: dai - ventila - cazzo. Dai - cazzo - ventila.

E poi, a un certo punto, quello che oramai ci aspettavamo tutti già da un po':

«Basta così» dice l'anestesista. «Interrompiamo».

A questo punto, se fossimo in un medical drama, getterei per terra i guanti. Poi butterei all'aria la prima cosa che mi capita a tiro, come l'ecografo o l'armadietto dei medicinali, e me ne andrei sbattendo la porta a fare il muso incazzato in giro per i corridoi e a insultare gli specializzandi mentre tutte le donne che passano si innamorano di me.

La verità è che - in un pronto soccorso vero - quando muore qualcuno c'è chi deve avvisare i parenti, e quella davvero è la cosa più penosa. Poi c'è chi si occupa della salma. C'è chi deve scrivere la cartella sul perché e percome e tutto quel che è successo, e c'è chi ha altri pazienti gravi da seguire e - semplicemente - va ad occuparsi di loro come se vedere qualcuno che ti muore sotto le mani non fosse che la banale routine di un qualsiasi altro banale mestiere.

Per quanto riguarda me, quando muore un paziente ci resto dal male al malissimo, a seconda di quanto era più o meno anziano e a quanto stava più o meno male già da prima. La prima volta che ho visto morire uno dell'età mia, ho passato la notte in bianco a ripensarci sopra. Poi, piano piano, la cosa è un po' migliorata e adesso certe cose le ammortizzo un po' meglio.

Alle volte poi finisci il turno lasciando qualcuno che avevi conosciuto, e che magari non pareva nemmeno poi così messo male. Poi al turno dopo ritorni, e ti dicono che è morto. Che non ce l'ha fatta. E lì, insomma, anche quella è una bella mazzata: hai fatto tanto lavoro e ti pareva di aver risolto chissà che cosa, ma poi niente. Sei stato assolutamente inutile.

Anche la stessa rianimazione cardiopolmonare - una situazione ancora di reversibilità, e che avviene prima che ci si debba arrendere all'irreparabile - è la cosa che mi sta davvero più immensamente e intensamente sul cazzo di un lavoro che - altrimenti - mi piace così tanto che starei lì tutto il giorno, e che quando finisce il turno quasi non me ne voglio andare.

Che poi... lavoro? Io sono solo uno studente, e il giorno che potrei cercare di ambire ad essere pagato mi diranno che il ministero ha tagliato i fondi e mi cacceranno. Però se capita che c'è il turno tipo la domenica, io già dal venerdì prima non sto più nella pelle e non vedo l'ora che arrivi il momento.

Sono una specie di medical addicted. Un secchione del reparto. Uno di quei dottori che li vedi che a 50-60 anni stanno sempre in giro per l'ospedale a fare non si sa bene cosa, e che magari fuori da lì stanno pure giù di morale perché non hanno altri interessi e non sanno come passare la giornata.

Però, di questo lavoro, la parte che più affascina un po' tutti nell'immaginario collettivo creato da telefilm, cinema o racconti drammatici di tragedie vissute, a me fa andare di traverso un po' tutto quanto il resto. Datemi un infartone, uno che si è spatasciato con la moto, un'embolia polmonare, e io: aaaah l'infartone, la moto rotta, l'embolia polmonare da usarci l'ecografo!

Però il bls, il massaggio cardiaco, quello che va in coma e viene intubato, l'arresto cardiocircolatorio, il paziente critico che più critico non si può... no. Quelli proprio me li eviterei volentieri, e ve lo dico con tutta la tranquillità e la schiettezza di questo mondo.

E mi spiace per i miei amici anestesisti, che a occuparsi di certi pazienti ci dedicano la vita e che anche loro - ovviamente - non ameranno certe situazioni tanto quanto non le amo io. O per chi mi consiglia sempre "prova a entrare a rianimazione se ti piace il pronto soccorso". Ma io lo so che è importante e che non si può prescindere dall'occuparsi di queste cose, tanto che già da studente ho fatto i corsi, ho tutti i certificati e so un pochettino dove mettere le mani... però se capita da fare un massaggio cardiaco, spero sempre che capiti nel turno quando non ci sono io.

Ma vediamo il lato positivo della questione: non mi piace che i miei pazienti muoiano. E in una percentuale significativa dei casi non piace nemmeno a loro per cui - tutto sommato - è un buon punto a favore almeno per quanto riguarda la relazione medico/paziente.

«Dottore, io vengo da lei ma preferirei non morire» direbbero loro.

«A dire il vero, se lei morisse mi darebbe assai noia» risponderei io.

E insomma: a conti fatti, andremmo d'accordo.

Simone

07/11/13

Dopo la laurea, niente.

Medici non entrati in specializzazione.
Post scritto e lasciato a "riposare" già da un po' di tempo, ma che con le notizie degli ultimi giorni (è passato il concorso nazionale per le scuole di specializzazione) diventa credo anche più attuale di quando l'ho scritto:

Durante uno degli ultimi tirocini, mi è capitato di discutere con una sorta di direttore sanitario, dirigente ospedaliero o insomma una persona di quelle che conoscono i meccanismi dell'ospedale.

E non so come, è venuto fuori il discorso lavoro/specializzazione.

«Ho sentito dire di una persona» gli ho detto io, «che dopo la laurea ha lavorato in un piccolo pronto soccorso con un contratto di collaborazione e con partita IVA».

Lui, però, è stato abbastanza lapidario.

«Non è possibile. Per lavorare in una struttura sanitaria, anche con un contratto precario e temporaneo, c'è bisogno comunque e in ogni caso di una specializzazione».

Capito? Io, a dire il vero, no: o questa persona di cui mi hanno parlato in effetti non lavora in pronto soccorso, e se l'è inventato (cosa - a mio parere - tutto sommato non impossibile). Oppure i dirigenti ospedalieri non sanno come funziona il posto che dirigono... che se ci penso, ahimé, non trovo del tutto impossibile nemmeno questa.

Ma, ok, cambiamo del tutto situazione e scenario. Andiamo tra gli studenti:

«Che specializzazione vuoi fare?» è la classica domanda che - presto o tardi - viene sempre fuori.

«Proverò a entrare nella specializzazione X" è l'ancor più classica risposta.

Un po' meno scontata è forse la domanda successiva, che faccio io ogni tanto:

«Cosa farai, se non entri?»

«Se non entro nella specializzazione X, allora proverò l'anno successivo a entrare nella specializzazione X»

Dove X ovviamente = X, la stessa specializzazione di prima.

Il senso del discorso, è che nessuno dice "se non riesco a entrare, provo qualcos'altro". Gli studenti di medicina sono tutti puntati e concentrati sulla loro specializzazione (che magari hanno dovuto scegliere 2 o 3 anni prima della laurea) e al di fuori di diventare medici specialisti non hanno altro progetto che quello di diventare specialisti medici.

Che a me pare giustissimo, no? Mi piace fare una cosa, per cui voglio fare quella: non c'è da discuterne.

Solo che i posti in specializzazione sono meno dei medici che si laureano. Ora non so farvi bene i conti precisi, ma a fronte di 10 mila posti al test di ammissione in medicina, si scende a 3500 borse di specializzazione per lo scorso anno che - così ho sentito dire - verranno ulteriormente ridotte a 2500 già dal prossimo concorso.

Cioè a seconda dei numeri che cambiano di continuo un medico su 2, su 3 o addirittura un medico su 4 trova posto in una scuola di specialità, mentre gli altri no.

E cosa fanno, questi altri rimasti fuori? Chiediamoglielo!

«Cosa farete, se non entrerete in specializzazione?»

«Se non entriamo in specializzazione, proveremo il concorso per entrare in specializzazione».

Ci siamo?

Da un lato, c'è la dirigenza, la parte organizzativa dell'ospedale, che non concepisce l'idea che qualcuno lavori in mancanza di un titolo specialistico. Non è proprio assolutamente minimamente pensabile che un non specialista si occupi di medicina. Lasciate proprio perdere.

Che poi, se vogliamo, è come se volessero dire che ti laurei in un ospedale che non ti rende in grado di lavorare nel medesimo ospedale che ti ha formato (perché - esplicitamente - se non ottieni dei titoli aggiuntivi loro non accettano di lavorare con te)... ma non cambiamo argomento, che se no non ne usciamo più.

Dall'altro lato - dicevo - i futuri medici non hanno un piano B: se non mi specializzo, mi specializzo. Altrimenti mi specializzo. Se no - dicevo - penserò a una specializzazione.

E poi, sopra tutto quanto, c'è uno Stato che ha creato un meccanismo dove prima mette un numero chiuso a monte, con il test di ammissione in medicina. Ma poi a valle non ha più i fondi per portare a termine la formazione di tutti, e impone una seconda scrematura, lasciando chissà quanti medici con una formazione incompleta.

Ma insomma. Ammettendo che tutto sommato di cosa faranno i miei colleghi medici è forse meglio che si interessino loro, parliamo piuttosto di me: che farò io che a specializzarmi dopo la laurea non vorrei provarci nemmeno?

Finora mi andavano bene i corsi da ecografista, un paio di master, e poi quel che succede si vede. Ma confesso che - di fronte all'assoluta certezza e determinazione di tante persone che ritengono che una specializzazione sia più che indispensabile - un po' mi sto preoccupando.

Io sono ancora deciso a seguire i miei progetti, infischiandomene di tutto e di tutti. Ma non è che sono così fuori di testa da non dare minimamente ascolto a nessun altro: e se poi - davvero - non basta?

Se davvero dopo la laurea in medicina, con la laurea in medicina non ci faccio niente? Non mi toccherà mica tornare a fare l'ingegnere?!

Meno male che - per lo meno - non ho mai cancellato l'iscrizione all'ordine...

Simone

04/11/13

Come prosegue la Tesi.

A sinistra l'RX, a destra l'ecografia. In mezzo, una freccia.
L'altro giorno - non pago delle circa 60 ore già passate all'università durante la settimana - ho passato una mezza nottata in pronto soccorso e ne ho approfittato per iniziare un po' più seriamente a lavorare con la tesi.

Che poi ci lavoro già da un bel pezzo: sarà più di un mese che seguo ecografie in reparto, vedo ecografie su iutub, leggo libri di ecografia, cerco articoli di ecografia su guggol... ma se però finora tutta questa full immersion di ecografame era finalizzata a fare pratica e a provare a capirci qualcosa (e ammetto che non è che io sia stato particolarmente rapido e recettivo) adesso ho deciso di provare finalmente a "produrre" qualcosa da - eventualmente - presentare.

E il risultato dei miei primi approcci alla parte pratica lo vedete nell'immagine qui riportata: in alto a sinistra una radiografia del torace in proiezione anteroposteriore (in Italiano: una lastra) mentre in basso a destra lo stesso torace come appare all'ecografia. In entrambe le immagini si nota un addensamento, e con entrambe le metodiche insomma si può fare diagnosi di polmonite.

Che tutto sommato, uno potrebbe dire: e sticazz... cioè - voglio dire - embè? Che avresti dimostrato.

Dimostrato io proprio in prima persona direi niente, che è una cosa (che le polmoniti si vedono con l'ecografo) che bene o male già si sapeva. Solo che si sapeva più o meno e per modo di dire, perché questa cosa dell'ecografia del polmone è davvero recente e se andate a cercare sui libri di diagnostica per immagini non proprio nuovissimi (bastano già 3 o 4 anni) a riguardo non trovate scritto nulla.

Poi, voglio dire: l'ecografo spara ultrasuoni che non fanno male e non comportano niente di niente (almeno finché qualcuno non dimostrerà il contrario, ma speriamo di no). Le lastre invece vi sparano i raggi ionizzanti che danneggiano il DNA con tutte le relative magagne del caso. E insomma: tra le due metodiche, voi quale preferireste che utilizzassero su di voi in un eventuale pronto soccorso?

Ma andate a dire a qualche dottore che fate l'ecografia senza poi fare una lastra di controllo, e vedete come vi guardano. Perché sì, insomma, ok l'ecografia è fichissima e tutto il resto... ma nella pratica tante possibilità sono ancora piuttosto misconosciute, e pure quando le conoscono ancora non si fida nessuno.

E insomma, questo fatto della tesi che 1) mi sta dando l'occasione di imparare qualcosa che userò sicuramente per lavoro e 2) si occupa di un argomento talmente attuale che in tanti ancora nemmeno lo sanno, mi sta dando anche una certa soddisfazione.

Volevamo fare il confronto ecografo/RX, e l'abbiamo fatto. Ora resta da costruirci sopra una presentazione, qualche decine di pagine di testo da portare in segreteria, un bel po' di immagni e di casi clinici da allegare e proiettare... ma insomma il concetto questo è e questo rimane e - a dirla proprio tutta - il lavoro pratico da fare è ancora immenso, ma concettualmente - e per quanto mi riguarda - la tesi è praticamente finita.

Se riuscissi solo a convincere di questo anche i professori e la segreteria, potrebbero quasi darmi fin da subito la laurea... ma qualcosa mi dice che, strappargliela dalle mani, non sarà per niente così facile.

Simone

01/11/13

Una settimana da ginecologo.

Ecografia morgologica del 1800 e rotti.
Io il ginecologo - come un po' tutti i chirurghi - me lo immagino come un tizio con 200 lavori che segue i pazienti in ospedale la mattina, ha un ambulatorio il pomeriggio e poi visita in qualche posto privato pure la sera fino a tardi.

E il tirocinio a ginecologia - durato una settimana scarsa grazie al salvifico intervento del primo novembre - è andato più o meno a questo modo.

Lunedì: arrivo in ospedale alle 8 e 30.

Ci cambiamo in 5 studenti in bagno. Camice, e inutile fonendo in tasca con ancora più inutile saturimetro nel taschino, e andiamo.

Vediamo un po' di medicazioni in reparto, e capisco subito che non vorrei fare il ginecologo. Proprio no. Poi c'è il classico giro visita da reparto di chirurgia: i dottori entrano nella stanza dove si trovano i ricoverati, uno specializzando legge la cartella in 5 secondi, altri 5 secondi per dire "sì vabbe' facciamo quello che dobbiamo fare", io non capisco niente e via al prossimo paziente... e scusate per la brutta rima ma sono un po' cotto e di scrivere meglio non c'ho voglia.

Dopo il giro visite lascio il reparto, e vado di corsa a mangiare un panino. Che i panini di corsa ho letto fanno sempre bene alla salute, specie se ne mangi due al giorno.

Finito il pranzo c'è lezione. La solita aula poco illuminata con l'audio pessimo che si sente bh bh bh bh bh quando i prof parlano e il sonno che si fa strada tra il tronco encefalico e la corteccia cerebrale rendendomi vagamente afasico e soporoso: se non altro, aver studiato neurologia ha elevato il livello del blog.

Dopo lezione - indovina un po'? - altro reparto. Stavolta quello di medicina d'urgenza per la tesi.

Ci sono i giorni che mi dice bene e c'è poco da fare. Tipo un giorno su 20. E giorni che dice male e si finisce a fare 3 ECG, 4 prelievi, un numero imprecisato di "prendi la pressione al signore in isolamento con la sospetta tubercolosi", un po' di pazienti da portare in barella di qua e di là per l'ospedale, la solita collezione di monitor ossigeno flebo aiuta il paziente tiralo su tiralo giù e chi più ne ha più ne metta, e tutto questo sempre se non c'è da rianimare nessuno.

Esco dall'ospedale che sono le 8. Sto a casa alle 8 e mezza. Cena alle nove, e poi qualche volta ho pure il coraggio di uscire se non sono assolutamente troppo cotto.

Martedì: come il giorno prima, solo che dai ginecologi stavolta mi mandano in ambulatorio. E che non voglio fare il ginecologo mi pare che già ve l'ho detto.

Per il resto è la replica di lunedì, paro paro.

Mercoledì andiamo in sala parto. Che già c'ero stato due anni fa e non è che sia cambiato poi molto: i bambini appena nati sono carini, per cui penso che un giorno di questi vorrei farne nascere almeno un paio... ma non come dottore, intendo.

Il pomeriggio vado nel pronto soccorso chirurgico, che ho rotto le palle a quelli che stanno lì che voglio imparare a mettere i punti. Sto lì 4 ore, e visitiamo tipo 4 pazienti col mal di pancia mentre i punti non devono metterli a nessuno e tanto valeva che me ne restavo a casa.

Rimane giovedì, ultimo giorno del tirocinio.

Vado a vedere le ecografie morfologiche, quelle dove vedono i bambini ancora nella pancia della mamma.

La prima ecografia è fichissima: vedi il cuore del bambino, vedi il labbro superiore e il palato. Vedi le arterie renali. Vedi insomma se è tutto a posto e poi magari dici ai genitori che "è un maschio" e li vedi che sono tutti contenti con la mamma che ride e il papà che fa il video dello schermo dell'ecografo col telefonino.

Alla seconda ecografia già mi sono rotto le palle, che è uguale identica alla prima e dura 1 ora e mentre stai lì a vedere non ti passa più. Magari se le facessi io sarebbe più divertente...

«Che cosa bisogna fare per fare queste ecografie?» chiedo ai dottori che sono lì.

«Devi intanto specializzarti in ginecologia» mi dicono. «Poi devi dedicarti all'ecografia e fare solo questo per tutta la vita».

Vabbe', ammetto che mi pare eccessivo, ma sarà come dicono loro. Ma a questo punto, visto che in fin dei conti si tratta di visitare dei bambini molto piccoli, non aveva più senso se - invece del ginecologo - ci mettevano il pediatra? Ma questo mio dubbio, forse è meglio che - a loro - non lo palesiamo.

Il pomeriggio di nuovo lezione, e poi ancora reparto sempre fino alle 8 di sera.

Passo a trovare i miei, e sono a casa alle 9 e mezza che devo ancora mangiare un boccone e - possibilmente - inserire degli sprazzi di vita privata.

Meno male che c'è questo ponte, che così mi riposo. Poi guardo gli orari e ho reparto venerdì, sabato e domenica con varie sovrapposizioni tra i turni dei chirurghi e degli internisti. Lunedì - poi - si ricomincia da capo col tirocinio nuovo.

E meno male che mi hanno detto che il sesto anno di medicina era tranquillo.

Simone