Il va e vieni è una specie di questo (prima che me lo chiediate). |
Mi chiudo la giacca, respiro l'aria fresca e scendo con calma le scale che portano all'ingresso dell'ospedale.
Oggi c'era una vecchina con un'ulcera perforata.
A un certo punto ha vomitato sangue, ed è andata in arresto cardiaco. Oppure è andata in arresto e poi ha vomitato sangue: io non so bene in che ordine, che sono arrivato dopo.
Comunque insomma sono entrato lì, e ho visto lei tra le lenzuola, la barella, il materasso e tutto quanto che praticamente galleggiava in un fiume di sangue che manco la scena dell'ascensore di Shining.
In mezzo al casino degli infermieri e dei dottori che rianimavano mi sono fatto spazio, e ho dato il cambio al massaggio cardiaco.
«È stata fatta l'adrenalina?» ho chiesto. «Quant'è che è in arresto?»
E poi, parlando con la persona alla testa che ventilava.
«Facciamo 30 compressioni, e due insufflazioni» come se davvero servisse che glielo spiegassi io.
A un certo punto ho guardato in basso, e ho visto le mie mani sul torace di quella donna che stava immobile, la bocca aperta e gli occhi semichiusi. C'era sangue ovunque: avevo i guanti sporchi, le lenzuola erano nere per quanto erano impregnate, e ogni tanto qualcosa mi schizzava addosso e sul camice che più tardi - piuttosto che pensare di portarlo a casa e provare a lavarlo - ho direttamente buttato nel secchio, e tanti saluti.
Dopo un po', il cuore della vecchina è ripartito. E io l'ho lasciata lì con gli infermieri e i dottori più esperti, che andavano dati i farmaci, i liquidi e quello che serviva e poi - di corsa - in sala operatoria, che bisognava fermare l'emorragia.
L'ho lasciata pensando che in genere dopo un arresto cardiaco, e in quelle condizioni... ma insomma: io, la mia parte, l'avevo fatta.
Poco più tardi, parliamo di minuti, da quella donna piccola piccola siamo passati a un omone di cento e rotti kg.
Settant'anni, non ha mai avuto problemi di salute. È entrato in pronto soccorso che era blu cadaverico senza nemmeno passare dal triage: direttamente in codice rosso.
Non respirava. O quasi: non si capiva più di tanto. Gli ho messo il saturimetro su un dito, e ho visto che segnava 79%.
Per chi non lo sapesse, il valore massimo della saturazione di ossigeno nel sangue è 100%. 95-96% è normale. 90% ci puoi ancora sta', che chi s'accontenta gode... ma 79% è proprio una merda.
79% è la saturazione di ossigeno nel sangue dei pesci, o delle rane. O non lo so di che animale che non respira proprio, o dei batteri che vanno a metano. Ma insomma, per l'essere umano stiamo lì lì che più che l'anestesista fai quasi prima a chiamare il prete.
All'emogas aveva un Ph che sarà stato tipo 6,9. Che adesso non sto qui a spiegarvi pure questo, ma vi giuro che era quasi più brutto della saturazione.
Insomma abbiamo messo l'ossigeno, e l'anestesista stava lì a farlo respirare col va e vieni come nei film dei dottori fighi, e piano piano la saturazione è risalita: prima 80, 85, 90, poi lentamente 96, 97, 98...
All'elettrocardiogramma si è visto che aveva un nuovo infarto. È stata allertata l'emodinamica, e attorno al paziente è iniziata una corsa per prepare tutto e mandarlo il prima possibile a fare una coronarografia, quella cosa che ti infilano un tubo nel braccio o nella gamba e lo usano per sturarti le coronarie.
In tutto questo mi sono ritrovato a ventilare col va e vieni questo omone enorme grosso il doppio di me. Lo sguardo inchiodato su quel numeretto del saturimetro, che come scende un attimo pensi che stai facendo uno schifo mentre come sale di un punto ti senti il dottore più figo dell'universo... anche se poi scopri magari che potevi pure lasciar perdere, perché il paziente respirava da solo.
Far respirare qualcuno con il pallone e l'ossigeno è una cosa che ti stanca come se facessi i pesi, o come quando i miei amici fissati con la montagna mi raggirano e riescono a portarmi a fare trekking. Se fai l'anestesista è capace che capita qualche intervento dove devi farlo per ore e ore e ore di fila... e già questo da solo mi pare un ottimo motivo per scegliere una specializzazione diversa.
Alla fine l'omone è partito per la coronarografia, e ha lasciato il pronto soccorso. E anche per lui ero tutt'altro che ottimista: un infarto del genere, che arriva coi parametri vitali degli anfibi... insomma: non era una situazione facile.
Il resto della giornata non è stato meno impegnativo: ho visto pazienti, letto cartelle, fatto cose... ma - sinceramente - ora come ora, non me ne ricordo nemmeno mezza.
E rieccomi qua, sulle scale dell'ospedale, che avevo iniziato a scrivere che stavo uscendo.
Mi piace quando finisce un turno. La sensazione di aver fatto qualcosa che mi piaceva. Di aver provato a imparare, e di aver fatto il possibile per metterci del mio.
Della vecchina ho saputo che ha superato l'intervento, e che adesso stava ancora in sala operatoria con l'antidolorifico, le trasfusioni di sangue e il cuore che batteva ancora.
L'omone gigante ha fatto la coronarografia, ed è stato trasferito in terapia intensiva. E insomma: anche qui pare che il mio pessimismo totale sia stato fortunatamente malposto.
Dopo il racconto dell'altra volta con la gente che mi scriveva i commenti mentre piangeva (scusate!) o per mandarmi affanculo, avevo promesso un qualcosa con toni un po' diversi e un finale più allegro... ed ecco: non è sempre così, e anzi forse non succede quasi mai. Ma oggi - invece - per qualche caso miracoloso e fortuito, esco dall'ospedale che è tutto andato alla grande.
Faccio quel po' di strada che mi separa dalla macchina. Fuori dal pronto soccorso, quando è buio, c'è un silenzio che è totalmente l'opposto del casino che invece ci trovi all'interno. E io cammino in quel silenzio. Ho la mente libera, e mi sento bene.
Monto nell'auto. Metto in moto, accendo la radio, e vado via.
Simone