26/05/14

Gli infermieri del Pronto Soccorso.

Senza la diligenza, in ospedale ti tocca andà a piedi.
Iniziamo con un'erudita citazione del Codice Penale:

"(Il delitto) è colposo, o contro l'intenzione quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia..." (Art. 43 c.p.)

E adesso parliamo d'altro: tempo fa, mi hanno chiesto di fare un prelievo a un paziente ricoverato nel nostro reparto.

«Tanto ha l'accesso arterioso» mi hanno detto. «Fai lo scarto, prendi il sangue e fai il lavaggio con un po' di fisiologica».

Facile, l'avevo già fatto tante volte. Che ce vo'?!

Solo che l'accesso arterioso non funzionava. Si era spostato un po' fuori dall'arteria, e probabilmente era anche ostruito e non andava più.

Insomma, giuro: non è stata colpa mia quando l'accesso arterioso è uscito del tutto, ha inondato il pronto soccorso di sangue e alla fine era da rimetterne uno nuovo! Anche il codice penale qui sopra non c'entra niente, e l'ho citato per tutto un altro motivo che vedremo dopo: io non ho fatto nulla, e insomma era già praticamente così.

«Se lo scopre l'anestesista, quello che c'è oggi, sei morto» dice lo specializzando che era in turno con me.

«Ma non ho fatto niente!» piagnucolo io, che l'anestesista quello che c'è oggi l'ho già visto sgozzare studenti e tirocinanti per molto meno.

Lui però scuote la testa.

«Sei morto».

Consapevole della fine incombente, la disperazione mi spinge a cercare una delle infermiere che conosco.

«C'è un problema con l'accesso arterioso di un paziente» gli spiego. «È colpa dell'altro studente tirocinante, che però adesso è andato via».

«Non va l'accesso arterioso?» l'infermiera sbianca talmente tanto da contrastare in positivo sopra il bianco del camice. «Se lo scopre l'anestesista, sei fottuto!»

In un attimo chiama a raccolta tutta la brigata degli infermieri di turno.

«Tu prendi il rubinetto» dice, dividendo i compiti. «Tu il lenzuolo pulito e le cose per lavare. Tu il cerotto. Tu la cannula».

Poi guarda me, e aggiunge.

«Tu invece non toccare niente! E la prossima volta, prima di fare casini, chiamami».

L'ingranaggio funziona alla perfezione, e in un minuto la confraternita infermieristica riesce a sistemare il paziente, a riposizionare l'accesso arterioso e a ripristinare il tutto come stava prima che io non facessi nulla, perché non è stata colpa mia. Anche se non ci crede nessuno.

«Cosa state facendo?» meno di 3 secondi dopo che sono state fatte sparire le ultime prove, l'anestesista entra nella stanza.

Silenzio generale. Lui si affaccia sul paziente. Guarda e fa un'espressione del tipo: "mah, mi pare tutto a posto".

Tutto questo racconto, solo per raccontarvi (eh!) che in pronto soccorso è pieno di gente che - se fai qualche casino - invece di andare dal capo a dire "è stato Simone, s'incazzi con lui!", trovano più naturale rimboccarsi le maniche e mettere le cose a posto senza stare lì a starnazzare mentre vanno a sbattere contro le pareti, come farebbe invece qualcun altro.

E quando non sono impegnati a riparare i casini fatti da me, gli infermieri del pronto soccorso può capitarti di vederli girare col codazzo di tirocinanti al seguito: c'è uno che a mettere un'agocannula l'ha (quasi) insegnato a me. L'ha insegnato agli studenti di scienze infermieristiche e l'ha insegnato pure agli specializzandi, facendoci provare e riprovare ogni stanta volta che si presenta l'occasione senza incazzarsi, senza sbuffare e mettendoci sempre qualche parola di incoraggiamento anche quando uno è - innegabilmente - una pippa.

Ho visto infermieri stringere la mano a pazienti in lacrime. Lavarli, cambiargli i vestiti, frugare l'intero pronto soccorso per trovargli qualcosa da mangiare, e subito dopo organizzare per noi un mini-tirocinio sui punti di sutura o un corso sulla ventilazione o un ripasso dell'emogas.

L'altra sera c'era un bambino con una gamba rotta. E in mezzo a tutto il casino, l'infermiere della sala rossa prende e si piazza davanti alla sua barella.

«Qui c'ho un fazzoletto» dice, mostrandogli un tovagliolino di stoffa rosso.

Poi prende il fazzoletto, lo infila un po' alla volta nella mano chiusa a pugno spingendolo ben bene dentro con le dita, e infine ci soffia sopra.

«Euualà!» esclama, aprendo platealmente le mani vuote. «Il fazzoletto è sparito».

Un gioco di prestigio antico come la mia laurea in ingegneria, no? Quello che mi colpisce, è che l'ha fatto bene: come uno che si è messo lì a provarlo e riprovarlo davanti allo specchio fino a che il trucco - almeno per un bambino - non diventasse invisibile.

E poi il fazzoletto l'ha pure fatto ricomparire: "ariuualà!". Che quest'ultima parte a me non mi riesce mai, e a casa mia non trovi più un tovagliolo manco a pagarlo.

Tornando al Codice Penale. La negligenza, o non diligenza, viene da un verbo mezzo latino tipo diligere, che vuol dire: amare, stimare, aver caro, apprezzare.

Si vede che ho appena fatto medicina legale, vero? Ho imparato una parola nuova, e essendo infatti una persona che scrivo, non vedevo l'ora di utilizzarla.

Alla fine dell'ultimo anno di medicina, insomma, ho scoperto che fare il proprio lavoro con passione - al di fuori del semplice interesse personale - è un'idea che non si trova solo nei discorsi utopici di qualche babbeo. Ma è addirittura prevista e contemplata dalla Legge.

E se decidessimo di applicarla, questa legge? A questo punto, quelli che si iscrivono a Medicina con l'idea che "poi da dottore guadagno un sacco di soldi", andrebbero messi direttamente in galera.

Non male, vero? Anche se forse è una mia interpretazione un po' arbitraria, lo ammetto.

Sarebbe comunque un ottimo modo per risolvere, in via definitiva, il problema dell'affollamento della facoltà. Nonché per dare - finalmente - un taglio a tutte le noiose polemiche sul test di ammissione.

Simone

22/05/14

Il mio (secondo) ultimo giorno di lezione.

Uno sparuto gruppo di neolaureandi specialisti dottori.
L'ultimo giorno di lezione di Ingegneria non me lo ricordo proprio. Vuoto assoluto, mi dispiace.

Ricordo invece il primo, di giorno, a Ingegneria: sono andato lì la mattina, ho scoperto che le lezioni erano state spostate al pomeriggio, e ho conosciuto alcuni compagni di corso uno dei quali - incredibile - a tutt'oggi di tanto in tanto (diciamo di sei mesi in sei mesi) sento ancora.

Nel pomeriggio dello stesso - primo - giorno di università ho scoperto l'affollamento assurdo delle aule. Ho organizzato con qualcuno la tristissima trafila di fare i turni per occupare i posti la mattina presto, e credo di aver seguito la prima lezione di Analisi Matematica I.

Del primo giorno di lezioni di questa seconda laurea in Medicina ho parlato invece a suo tempo anche sul blog. Ma non è che abbia detto poi molto, e non vale credo nemmeno la pena di star qui a mettere il link.

Ricordo comunque con una certa vaghezza le primissime lezioni. Il primo disperato tentativo di conoscere altre persone più grandi con cui sentirmi meno "fuori" dai normali canoni universitari. L'ansia per non dire l'angoscia del rendermi conto della terribile montagna di esami, prove, test, firme, burocratame e rotture di ogni genere che mi aspettava da lì per i prossimi sei anni.

E poi, chissà come, arriviamo a ieri. All'ultima lezione del corso di laurea in Medicina e Chirurgia.

Il corso è Medicina d'Urgenza. E forse potremmo vederci una sorta di indicazione fatidica tra la fine di un percorso e il nuovo inizio che mi aspetta, o forse - anzi, sul serio - è solo che di lezione è semplicemente capitata quella, e amen.

Tra l'altro, aprendo una parentesi che si ricondurrà comunque - spero - al fatto in questione della fine dei corsi, il giorno prima era stato il mio compleanno: ho finalmente compiuto i 39 anni fatidici che - facendomi degli ottimistici conti - calcolavo che avrei avuto in prossimità del termine della seconda laurea... e così è stato.

Per i miei 39 anni ho portato le pastarelle in Pronto Soccorso, e poi le pastarelle in aula e pure una bottiglia. E ho stappato, mi hanno fatto gli auguri, ed è stato un po' come togliersi finalmente una sorta di spina dalla zampa.

Voglio dire: la paura maggiore, il maggior inconveniente, e la principale cosa che mi tratteneva dall'iniziare un percorso così lungo - come del resto sono certo trattiene un po' tutti dal fare una scelta analoga alla mia - era il fattore tempo. Iniziare a 33 anni per diventare - forse - medico a 39.

Scrivevo 6 anni fa che mettere giù un progetto che avrei potuto dire finalmente concluso soltanto a quarant'anni era una cosa che mi faceva un po' girare la testa. Ma alla fine così ho detto, così ho deciso, e così comunque - ed evidentemente - è andata a finire.

Ho stappato quella bottiglia in aula. E il tappo che volava per aria e ricadeva giù dietro agli sparuti compagni di corso che ancora venivano a lezione, è stato un po' come il dente attaccato alla maniglia della porta che si vedeva nei cartoni animati quando un qualche personaggio decideva di non cedere alla lobby dei dentisti odontoiatrici, e di risolversi il problema da sé.

Era quello che volevo. L'ho fatto. Ha fatto un pochino male e adesso magari senza antibiotici morirò... ma comunque, è andata.

Il giorno seguente, l'ultima lezione del sesto anno di corso, è stato un po' diverso.

Abbiamo portato un po' tutti qualcosa. Altre bottiglie stappate, altri pasticcini, patatine, caramelle e una valanga di foto da condividere via Whatsapp e su Facebook.

Tutti sicuramente a ripensare all'inizio dell'università, e a come non vedevi l'ora che fosse già finita. Mentre ora che sei alla fine ti dici col magone che è già passato tutto e che - per qualche meccanismo assurdo della psicologia umana - tutto questo, in fondo, ti mancherà.

Mi sono sempre mancati infatti i giorni di Ingegneria, fuori dalla biblioteca, a fumare e a dire cazzate con gli amici. Le nottate fino all'alba a ubriacarsi. La sensazione di studiare per costruirsi un futuro fantastico che sarà chissà quale figata.

Mi mancheranno i giorni di Medicina. I tirocini che ti aspettavi sempre chissà cosa avresti visto, anche se magari alla fine niente. Le feste nelle case degli studenti. Gli esami tutti insieme per il corridoio nell'attesa di essere interrogati con l'ansia che ti si porta via. Il continuo pensiero di avere quasi 40 anni, ma sentirmene allo stesso tempo 20 di meno.

Insomma, questa seconda laurea nemmeno è finita che già c'ho la nostalgia. E pensare che all'inizio ero così talmente indeciso che addirittura per anni ho desistito, e quasi quasi a medicina non mi ci iscrivevo neppure.

Domani ho il primo esame della sessione, e speriamo che vada bene. Poi chiusa totale in casa a studiare per cercare di fare subito le materie che mi mancano per questa benedetta laurea. Poi discutere la tesi. Poi il tirocinio. Poi l'esame di stato e poi e poi e poi...

E poi c'è un po' di confusione, e quello che ci aspetta a noi nuovi medici futuri neolaureati non l'ha ancora capito bene davvero nessuno.

Ma intanto almeno questa cosa l'abbiamo fatta. E poi, per domani, si vedrà.

Simone

Foto di qualche giorno prima... che a lezione eravamo in 20 :)

19/05/14

Il calendario d'esami.

Vecchio calendario di quando studiavo ingegneria.
Gli ultimi post hanno ricevuto un bel po' di commenti, ma la frequenza di aggiornamento del blog è proprio ai minimi storici.

Purtroppo tra studio e tutto il resto il tempo è quello che è, e anche quando ho tempo devo trovare l'ispirazione e lo spirito adatti a scrivere... e insomma non aggiorno da una settimana e pure oggi ho poco da dire: scusate.

Poche novità: tesi finita, corsi quasi finiti, e tra pochi giorni ho l'esame di Medicina Legale.

Sono più o meno moderamente preparato, e sto cercando di ripetere il più possibile. Il fatto è che è una materia molto particolare piena di termini e definizioni e modi di dire giuridici ai quali non sono abituato.

Insomma se il prof mi chiederà qualcosa da ripetere a modo mio dimostrando - più o meno - di averci capito il capibile, dovrei cavarmela. Se mi chiederà di enunciare precisamente articoli e decreti vari, ricordando cioè a memoria tutti i termini e le definizioni corrette, direi che la vedo durissima.

Potrei addirittura non riuscire a laurearmi a causa di Medicina Legale, per quanto mi risulta difficile memorizzare certe cose... ma penso che non saranno davvero così fiscali. O per lo meno lo spero.

A seconda di come andrà l'esame di venerdì dovrò (ovviamente) ripeterlo oppure potrò concentrarmi sulle ultime materie:

Per laurearmi a Luglio, devo finire gli esami un mese prima. A giugno (appunto). Per far questo bisogna per forza di cose rinchiudersi in casa e studiare di corsa, sperando inoltre che non sopravvengano intoppi di alcun tipo.

Il "trend" della maggior parte dei miei compagni di corso, al quale penso di adeguarmi anche io, è preparare medicina d'urgenza per il 9 giugno, e poi dare anche medicina e chirurgia 3 appena due giorni dopo, l'11.

Sembra un po' una cosa folle. Però visto che i due esami condividono quasi interamente lo stesso programma, darli subito uno di fila all'altro è l'unico sistema che consente di avere un appello ulteriore a fine mese in cui - diciamo - "riparare" se il primo dovesse andare male.

Ok. Mi pare di aver detto più o meno tutto il dicibile. Spero di aggiornare presto nuovamente almeno per aggiornarvi (eh!) sui risultati di medicina legale. Prometto anche qualche raccontino nuovo sul reparto, anche se per quelli ci vuole un po' più di calma e ora proprio non è tanto il momento più adatto.

Insomma scusate ancora... e a presto! :)

Simone

12/05/14

La noia prima della tempesta.

Lo studio ai tempi che non si poteva cazzeggiare su facebook.
Giornate un po' tutte uguali, ultimamente:

Poche lezioni, qualche turno in ospedale, piano piano vado avanti con lo studio... e mi annoio.

Trovo noioso studiare cose che non mi interessano o ri-studiare cose già ri-studiate, e che magari non mi interessavano già da prima.

Noiosette lezioni e tirocini, che sono più una prova di sopportazione del tedio piuttosto che uno strumento per imparare.

Un pochino noioso - e non l'avrei mai detto - anche l'ospedale e il pronto soccorso: alle volte vado lì, e mi rendo conto che se c'è da fare qualcosa che già so fare allora mi ci metto, altrimenti sto un pochino troppo sulle mie.

Sto lentamente facendomi assorbire dallo spirito del "faccio sempre le stesse cose", e non va bene.

A pochi mesi dalla laurea dovrei cercare altri stimoli e imparare sempre di più. Frequentare qualche reparto diverso, studiarmi qualcosa di nuovo da provare ad applicare nella pratica, fare domande e rompere le palle a infermieri e strutturati, prendermi i libri e studiare le cose che non mi insegna nessuno.

Ma spingersi "oltre" quello che passa il convento richiede impegno e dedizione, e ora l'impegno è finalizzato a finire gli esami e tutto il resto passa in secondo piano: posso studiarmi un libro su - che ne so - la NIV, quando ho ancora il libro del prossimo esame mezzo intonso che mi aspetta? Sarebbe assurdo.

E così, grazie a questi giorni di stallo, credo di aver capito un po' di più su come funziona il lavoro del medico: allla fine una volta che sei laureato e lavori ti piazzano in una stanza a fare 1 cosa, e devi essere tu a spingere e scalpitare per imparare altro e uscire dalla semplice routine.

Penso ci siano 2 tipologie di dottore. O di infermiere... o di qualsiasi altro lavoro, a voler ben vedere: quelli che si sbracano sulla prima sedia che trovano, fanno quello che gli chiedono i superiori e inventano scuse per scaricare il da fare sugli altri o si arrovellano su assurdi dilemmi etici pur di non uscire dal microcosmo delle 3 solite minchiate che sanno fare.

E poi quelli che si interessano. Si muovono, si appassionano e fanno le cose perché sì, perché gli piace. E questi magari si prendono i cazziatoni, ogni minuto c'è il cretino di turno che va a rompergli le scatole, i colleghi li odiano e il capo non li sopporta... ma alla fine chissà perché quando c'è qualche casino da risolvere passa sempre tutto nelle mani loro.

Io vorrei essere un dottore come questi ultimi, certo. Chi non lo vorrebbe, almeno sulla carta? In teoria siamo tutti bravi ed eticamente perfetti ma poi, nella pratica... è tutta un'altra storia. Sarà veramente così, insomma? Posso solo dire che lo spero.

E vabbe'. Mi annoio, mi pare che si sia capito. E quando mi annoio escono fuori 'ste pippe mentali che non ci sto tanto dietro alla fine nemmeno io.

In ogni caso, tra un paio di settimane scarse ho il primo esame. Poi un altro esame. Poi un altro esame.

Poi devo preparare la presentazione della tesi, stampare e rilegare, sistemare 10 mila rotture di palle burocratiche e avere un esaurimento, 2 ulcere e un caso di delirium. E questo sempre nella migliore delle ipotesi.

Viva la noia, insomma. E finché dura, godiamocela.

Simone

06/05/14

Le idee un po' più (o meno) chiare.

È da aggiornare ma c'è pure il Glasgow, che non me lo ricordo mai.
Periodo universitario davvero moscio, che si riflette sull'altrettanta moscitudine del blog.

C'è che tra feste, ponti, primimaggi e quant'altro avremo fatto 2 lezioni e mezzo tirocinio in un mese.

Non che mi dispiaccia un periodo meno stancante in cui - sostanzialmente - alzarmi quando mi pare e studiacchiare con calma per tutta la giornata (se non si tratta di fare qualche grigliata o picnic all'aperto), ma diciamola tutta: tra un po' finisce il corso di laurea, e non è che questo semestre abbia portato chissà quale miglioramento teorico, pratico o professionale.

Sto studiando medicina legale, che tutto sommato sono argomenti nuovi e importanti che un medico deve conoscere. Ma - mi chiedo - un medico che sa cosa deve fare in caso di decesso di un suo assistito o che tipo di casini legali dovrà affrontare se qualcuno è insoddisfatto di lui (o se ha fatto qualche cazzata), è davvero un dottore più bravo?

Certo, sì, ammettiamolo. Un dottore deve sapere anche queste cose. Ma mi sembra di girare sempre intorno alla professione, più che affrontarla.

Stessa cosa per le altre materie e tirocini: l'altro giorno c'è stato un professore che ci ha fatto vedere un po' di elettrocardiogrammi in aula.

«Che cosa vedete qui?» chiedeva, di volta in volta.

Silenzio totale da parte di tutti. Non perché fossero elettrocardiogrammi particolarmente difficili da leggere (e sono convinto che tanti studenti sappiano farlo molto meglio di me) ma perché a pochi piace rispondere alle domande dei docenti.

A me invece chissà perché piace rispondere e mettermi al centro dell'attenzione. Forse è un mio problema o eccesso di ego o comunque una patologia che spiegherebbe anche l'esistenza di questo blog... ma insomma visto che non parla nessuno ci provo io:

«Blocco atrio-ventricolare» dico, e ci prendo.

Altro ECG, altra domanda:

«Cos'è?»

E io:

«Fibrillazione atriale» tipo, che non mi ricordo.

Terzo elettrocardiogramma, e ormai pare tipo la lezione privata di cardiologia tra me e il professore.

«Ci sono le T invertite, sottoslivella o sopraslivella o non lo so... è un infarto».

«Che tipo di infarto?»

Ecco. Per poterlo dire, devi ricordarti più o meno come stanno messi i numerini degli elettrodi dell'elettrocardiografo, così da risalire a quali coronarie e parti del cuore corrispondano. Solo che io a memoria non me le sono mai riuscite a imparare. Per cui, con tutta la tranquillità del mondo, prendo il cellulare e cerco lo schemino che mi sono fatto proprio su queste cose.

E il prof. mi s'incool@.

«Ma che fai? Guardi sul telefono?!»

Risate generali, figura di guano col mondo intero dei giovani neolaureandi futuri colleghi dottori, cazziatone di mezz'ora col prof che mi dice che le devo sapere a memoria e all'esame me le chiede e se tiro fuori il telefono mi cionca le mani. E io che ancora rispondo alle domande che fanno in alua: bravo coglione.


Il problema è che la mia visione forse ingegneristica o forse del tutto personale della cosa, è che finché arrivo al risultato voluto il sistema è comunque efficace. La visione medica è che non serve essere efficaci ma bisogna conformarsi a quello che fanno gli altri, così poi da essere facilmente selezionati sulla base di questionari standard e domande a risposta multipla oppure potersi facilmente giustificare in sede processuale.

Ecco, ma arriviamo al punto che se no non finisce più: questi corsi, questo episodio e tanti altri, mi hanno chiarito credo un po' le idee. Del tipo:

- Se sono fuori dagli schemi, non posso pretendere di rientrarci. Ergo se arrivo da una prima laurea, ho un modo di pensare diverso dagli altri dottori, ho un atteggiamento un po' - diciamolo - del cappero e insomma pretendo di fare le cose a modo mio, poi non posso pretendere di rientrare nei meccanismi che ho volutamente evitato... tipo il discorso specializzazione e assunzione nel sistema sanitario nazionale.

- Lezioni, corsi, master, esami eccetera non mi insegneranno mai un piffero.

L'unico modo per imparare - per me - è stare a contatto con la realtà lavorativa. Andare in pronto soccorso o in reparto, trovare persone disponibili che mi facciano fare cose nuove, e imparare così.

In tutto questo, credo che ci siano 2 strade possibili per il post laurea nel mio progetto di un miglioramento continuo come dottore:

1) Andare in un posto che mi piace, ma che mi piace davvero. Lavorarci anche GRATIS, e imparare dalle persone che sono lì cose che poi sfrutterò privatamente, perché nel pubblico non vedo grosse possibilità.

2) Entrare in specializzazione e passare 4-5 anni quanti sono in mezzo a un posto che mi piace dove posso imparare da qualcuno e - per di più - mi pagano.

Insomma, visto? Dopo anni di commenti, consigli, discussioni, link e quant'altro, mi avete finalmente convinto che la specializzazione potrebbe - al limite - forse essere la scelta un pochino migliore per un medico neolaureato.

Ritenendo pur tuttavia ancora e personalmente che per situazioni come l'aneddoto sopra citato io in specializzazione non enterò mai (dubito che mi faranno usare il cellulare durante il concorso) direi che ora che mi si stanno chiarendo le idee potrei o dovrei iniziare a cercare un posto di cui al punto 1, e vedere se e come potrei trovare il modo di frequentarlo.

Insomma, ma che ho scritto?! Alla fine è stata più una mia riflessione personale che un post, almeno mi pare. Spero che ci abbiate capito almeno qualcosa.

Nel qual caso che così fosse - ovviamente - siete invitati a dire la vostra opinione.

Simone