Senza la diligenza, in ospedale ti tocca andà a piedi. |
"(Il delitto) è colposo, o contro l'intenzione quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia..." (Art. 43 c.p.)
E adesso parliamo d'altro: tempo fa, mi hanno chiesto di fare un prelievo a un paziente ricoverato nel nostro reparto.
«Tanto ha l'accesso arterioso» mi hanno detto. «Fai lo scarto, prendi il sangue e fai il lavaggio con un po' di fisiologica».
Facile, l'avevo già fatto tante volte. Che ce vo'?!
Solo che l'accesso arterioso non funzionava. Si era spostato un po' fuori dall'arteria, e probabilmente era anche ostruito e non andava più.
Insomma, giuro: non è stata colpa mia quando l'accesso arterioso è uscito del tutto, ha inondato il pronto soccorso di sangue e alla fine era da rimetterne uno nuovo! Anche il codice penale qui sopra non c'entra niente, e l'ho citato per tutto un altro motivo che vedremo dopo: io non ho fatto nulla, e insomma era già praticamente così.
«Se lo scopre l'anestesista, quello che c'è oggi, sei morto» dice lo specializzando che era in turno con me.
«Ma non ho fatto niente!» piagnucolo io, che l'anestesista quello che c'è oggi l'ho già visto sgozzare studenti e tirocinanti per molto meno.
Lui però scuote la testa.
«Sei morto».
Consapevole della fine incombente, la disperazione mi spinge a cercare una delle infermiere che conosco.
«C'è un problema con l'accesso arterioso di un paziente» gli spiego. «È colpa dell'altro studente tirocinante, che però adesso è andato via».
«Non va l'accesso arterioso?» l'infermiera sbianca talmente tanto da contrastare in positivo sopra il bianco del camice. «Se lo scopre l'anestesista, sei fottuto!»
In un attimo chiama a raccolta tutta la brigata degli infermieri di turno.
«Tu prendi il rubinetto» dice, dividendo i compiti. «Tu il lenzuolo pulito e le cose per lavare. Tu il cerotto. Tu la cannula».
Poi guarda me, e aggiunge.
«Tu invece non toccare niente! E la prossima volta, prima di fare casini, chiamami».
L'ingranaggio funziona alla perfezione, e in un minuto la confraternita infermieristica riesce a sistemare il paziente, a riposizionare l'accesso arterioso e a ripristinare il tutto come stava prima che io non facessi nulla, perché non è stata colpa mia. Anche se non ci crede nessuno.
«Cosa state facendo?» meno di 3 secondi dopo che sono state fatte sparire le ultime prove, l'anestesista entra nella stanza.
Silenzio generale. Lui si affaccia sul paziente. Guarda e fa un'espressione del tipo: "mah, mi pare tutto a posto".
Tutto questo racconto, solo per raccontarvi (eh!) che in pronto soccorso è pieno di gente che - se fai qualche casino - invece di andare dal capo a dire "è stato Simone, s'incazzi con lui!", trovano più naturale rimboccarsi le maniche e mettere le cose a posto senza stare lì a starnazzare mentre vanno a sbattere contro le pareti, come farebbe invece qualcun altro.
E quando non sono impegnati a riparare i casini fatti da me, gli infermieri del pronto soccorso può capitarti di vederli girare col codazzo di tirocinanti al seguito: c'è uno che a mettere un'agocannula l'ha (quasi) insegnato a me. L'ha insegnato agli studenti di scienze infermieristiche e l'ha insegnato pure agli specializzandi, facendoci provare e riprovare ogni stanta volta che si presenta l'occasione senza incazzarsi, senza sbuffare e mettendoci sempre qualche parola di incoraggiamento anche quando uno è - innegabilmente - una pippa.
Ho visto infermieri stringere la mano a pazienti in lacrime. Lavarli, cambiargli i vestiti, frugare l'intero pronto soccorso per trovargli qualcosa da mangiare, e subito dopo organizzare per noi un mini-tirocinio sui punti di sutura o un corso sulla ventilazione o un ripasso dell'emogas.
L'altra sera c'era un bambino con una gamba rotta. E in mezzo a tutto il casino, l'infermiere della sala rossa prende e si piazza davanti alla sua barella.
«Qui c'ho un fazzoletto» dice, mostrandogli un tovagliolino di stoffa rosso.
Poi prende il fazzoletto, lo infila un po' alla volta nella mano chiusa a pugno spingendolo ben bene dentro con le dita, e infine ci soffia sopra.
«Euualà!» esclama, aprendo platealmente le mani vuote. «Il fazzoletto è sparito».
Un gioco di prestigio antico come la mia laurea in ingegneria, no? Quello che mi colpisce, è che l'ha fatto bene: come uno che si è messo lì a provarlo e riprovarlo davanti allo specchio fino a che il trucco - almeno per un bambino - non diventasse invisibile.
E poi il fazzoletto l'ha pure fatto ricomparire: "ariuualà!". Che quest'ultima parte a me non mi riesce mai, e a casa mia non trovi più un tovagliolo manco a pagarlo.
Tornando al Codice Penale. La negligenza, o non diligenza, viene da un verbo mezzo latino tipo diligere, che vuol dire: amare, stimare, aver caro, apprezzare.
Si vede che ho appena fatto medicina legale, vero? Ho imparato una parola nuova, e essendo infatti una persona che scrivo, non vedevo l'ora di utilizzarla.
Alla fine dell'ultimo anno di medicina, insomma, ho scoperto che fare il proprio lavoro con passione - al di fuori del semplice interesse personale - è un'idea che non si trova solo nei discorsi utopici di qualche babbeo. Ma è addirittura prevista e contemplata dalla Legge.
E se decidessimo di applicarla, questa legge? A questo punto, quelli che si iscrivono a Medicina con l'idea che "poi da dottore guadagno un sacco di soldi", andrebbero messi direttamente in galera.
Non male, vero? Anche se forse è una mia interpretazione un po' arbitraria, lo ammetto.
Sarebbe comunque un ottimo modo per risolvere, in via definitiva, il problema dell'affollamento della facoltà. Nonché per dare - finalmente - un taglio a tutte le noiose polemiche sul test di ammissione.
Simone